6. Il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. decreto Balduzzi).
E’ in questo contesto che viene emanato e poi convertito in legge il cd. decreto Balduzzi (decreto legge 13 settembre 2012, n. 158) il quale, all’art. 3 comma 3, estende alla liquidazione del danno biologico da colpa medica le tabelle normative contemplate in materia di sinistri stradali.
L’articolo 3 di questo provvedimento detta disposizioni che coinvolgono fondamentali aspetti della responsabilità da malpractice medica, incidendo sul rischio clinico e sui costi assicurativi. Esso, in particolare, prevede diverse aree di intervento, che vanno dalla responsabilità professionale sanitaria ai rischi sanitari fra l’altro attraverso la costituzione di un Fondo per la copertura assicurativa[48].
L’art. 3, al primo comma, prevede che l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attenga a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponda penalmente per colpa lieve. Sempre al comma 1° si legge che « resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. », ma che « il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo ». Il comma 2 dell’art. 3 è dedicato alla copertura assicurativa della responsabilità civile, demandando a D.P.R. da emanarsi entro il 30 giugno 2013 la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi ed uniformi per garantire l’idoneità dei relativi contratti assicurativi[49].
Benché numerosi siano gli spunti ed i profili di interesse del provvedimento, il problema in questa sede indagato è l’uniformazione dei criteri liquidativi del danno a persona: ed esso coinvolge piuttosto il comma 3 dell’art. 3 in commento, il quale incide sui principi di liquidazione del danno nel caso di malpractice medica applicando al danno biologico da responsabilità professionale in ambito sanitario le tabelle normative che gli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni prevedono per la circolazione stradale. Esso stabilisce infatti che « il danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto art. 138, e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo ».
La disposizione fa discutere, dati soprattutto i limiti all’entità dei risarcimenti ed alla possibilità di personalizzazione, con il rischio di rendere potenzialmente inadeguata la somma complessivamente riconoscibile[50]. A difesa della norma vi è invece l’argomento per cui il meccanismo della responsabilità civile assicurata richiede attenzione al danno risarcibile siccome inscindibilmente connesso alla determinazione dei premi assicurativi: se si vogliono evitare premi troppo elevati occorre porre limiti al risarcimento; se invece si desiderano risarcimenti più cospicui o comunque in linea con quelli di altri settori della responsabilità civile si dovrà accettare che salgano anche i premi[51]. Ciò vale a maggior ragione quando la responsabilità civile assicurata è obbligatoria[52], laddove la copertura assicurativa per gli esercenti le professioni regolamentate è prevista dal decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011 n. 148[53].
Sotto ulteriore profilo, e censendo gli aspetti strettamente tecnico-giuridici e le ricadute di ordine sistematico del provvedimento, si può osservare come la disposizione non crei l’auspicata armonizzazione del sistema, riguardano solo il settore della responsabilità medica, che viene uniformato a quella della responsabilità nella circolazione di veicoli. La norma appare allora sostanzialmente tesa a risolvere i problemi legati ai costi assicurativi in un settore specifico; mentre permangono le più volte stigmatizzate differenze di trattamento a fronte della medesima lesione in virtù dell’ambito in cui essa si origina. In questo modo sarà assoggettato ad un diverso regime risarcitorio chiunque cagioni un danno al di fuori della circolazione di veicoli o della responsabilità medica, ad esempio chi è chiamato a risarcire un danno cagionato da attività pericolosa ex art. 2050 c.c., o da cose in custodia ex art. 2051 c.c. oppure procurato da animale ai sensi dell’art. 2052 c.c. Per contro gli artt. 138 e 139 Cod. ass. sembrerebbero applicabili al danno da responsabilità medica sia che se ne chieda conto in via diretta all’assicurazione, sia che venga convenuto il danneggiante a sensi degli artt. 2043- 2054 c.c. A diversamente ritenere, e con riferimento al medesimo pregiudizio, l’assicurazione dovrebbe rispondere nei limiti della tabella di legge, mentre il danneggiante sarebbe tenuto al risarcimento nella misura contemplata dalle tabelle giurisprudenziali, potendo così essere condannato a corrispondere una somma superiore a quella dovuta dall’assicurazione[54]. Simile scenario sembra tuttavia scongiurato dal tenore letterale della norma la quale estende gli artt. 138 e 139 d.lgs. 209/2005, genericamente, al danno biologico conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria senza alcuna ulteriore distinzione o specificazione quanto al destinatario della domanda risarcitoria.
Per altro verso, il carattere settoriale della norma – con la mancata armonizzazione di cui si è detto – impedisce di considerare in toto superati gli approdi della Corte di Cassazione circa la valenza « universale » delle tabelle milanesi (ed il dibattito che ne è conseguito anche fra i giudici di merito), e come nemmeno siano vanificati gli anni di elaborazione giurisprudenziale sui criteri di corretta liquidazione equitativa del danno a persona di cui si è sopra dato atto. Le tabelle giurisprudenziali restano infatti il punto di riferimento ove non operano le tabelle normative; inoltre, poiché l’art. 138 Cod. ass. demanda a tabelle di legge ancora inesistenti, i criteri di liquidazione elaborati dalla giurisprudenza restano il punto di riferimento, sia pure temporaneamente, anche per le lesioni di non lieve entità anche nel settore della responsabilità medica oltre che per la responsabilità da circolazione di veicoli.
E, tuttavia, anche – ed a maggior ragione – a motivo del carattere settoriale dell’intervento normativo di cui si discute, esso è esposto ai sospetti di incostituzionalità che hanno portato a sollevare la relativa questione con riguardo all’art. 139 Cod. ass. sotto il profilo, sia della disparità di trattamento, sia della circostanza che questa norma, prevedendo limiti al risarcimento e comunque alla personalizzazione, potrebbe non consentire un’adeguata conformità all’effettiva incidenza del pregiudizio.
Per la verità, si dubita da più parti che la regola dell’integrale riparazione del danno goda di copertura costituzionale[55], potendo per contro il legislatore introdurne limitazioni sia nell’ambito della responsabilità contrattuale (è quanto avviene ad esempio negli artt. 1783 e 1786 c.c. o nell’art. 275 cod. nav.)[56], che della responsabilità aquiliana. L’intervento normativo di contenimento della misura risarcitoria deve però essere ispirato a ragionevolezza[57], dovendo risultare giustificato dalla presenza di interessi pubblici che motivino la riduzione del diritto soggettivo del danneggiato al risarcimento integrale[58] e dall’esigenza di equilibrato componimento degli opposti interessi che vengono in considerazione. Dunque, non è, in sé, illegittimo l’importo massimo imposto al danno risarcibile, quanto la mancanza di adeguata giustificazione nel caso concreto e nell’ambito del contesto normativo di riferimento (laddove la necessità di valutazione caso per caso rende verosimilmente rilevante anche la misura del sacrificio, e cioè della riduzione imposta al risarcimento in contrapposizione ai benefici suscettibili di derivarne)[59].
In questo modo la Corte costituzionale ha, ad esempio, dichiarato costituzionalmente illegittimo il tetto risarcitorio fissato dal legislatore all’ammontare del danno arrecato dal vettore aereo al passeggero[60], non già in quanto imponeva un limite al risarcimento, quanto piuttosto perché quelle norme non contemperavano equamente l’interesse del danneggiato alla riparazione del pregiudizio e quello del vettore alla propria attività d’impresa[61]. Parimenti la Corte costituzionale ha reputato contraria agli art. 3 e 42 Cost. la norma[62] che, nel caso di accessione invertita da occupazione con modifiche irreversibili del suolo fondata su dichiarazione di opera pubblica non seguita da legittima espropriazione, riduceva l’ammontare della riparazione conseguente all’illecito della pubblica amministrazione sino a renderla coincidente con l’entità dell’indennizzo per legittima procedura ablatoria: tanto, però, non in modo aprioristico ed astratto, bensì a motivo «dell’irragionevole sbilanciamento in favore dell’interesse pubblico» che si riteneva ricorrere nell’ipotesi concreta[63].
Problematiche non dissimili a quelle qui indagate, potrebbero, poi, quantomeno in astratto, porsi anche in altri casi. Si potrà, ad esempio, ricordare la proposta di legge n. 881 dell’8 maggio 2008 (cd. proposta di legge Pecorella – Costa) recante « Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale ed al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante ». Questo disegno di legge, assurto di recente alle cronache soprattutto per la parte in cui prevede l’eliminazione delle pene detentive per la diffamazione a mezzo stampa (ma numerosi sono i profili di interesse, primo fra tutti l’estensione della legge sulla stampa anche ad internet)[64], limita l’entità massima del risarcimento del danno non patrimoniale da liquidarsi in via equitativa, il quale non potrebbe eccedere la somma di 30.000 euro[65]. Anche qui, ragionando nei termini sopra delineati, la valutazione di costituzionalità della previsione dovrebbe passare da una corretta indagine circa il contemperamento fra diritti contrapposti, in particolare quello ad una effettiva tutela dell’onore e della reputazione delle persone offese dalla notizia o dal giudizio diffamatorio, e quello alla libertà di espressione e di manifestazione del pensiero[66].
Altrettanto potrebbe dirsi in merito alla recente introduzione, nella disciplina della r.c. auto, di categorie di « danni non risarcibili »[67]. Ed, infatti, l’art. 32, comma 3 ter, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27, ha integrato il 2° comma dell’art. 139 Cod. ass., prevedendo che «in ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente». L’art. 32, comma 3 quater, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 stabilisce inoltre che « il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione »[68]. Anche per queste norme potrebbero, almeno in linea di principio, porsi interrogativi – e soluzioni – omologhi a quelli più sopra delineati quanto all’introduzione di tetti risarcitori.
E tuttavia, occorrerà anche tenere presente come i limiti posti dall’art. 139 Cod. ass. coinvolgano il diritto alla salute sia pure con riferimento al profilo risarcitorio in conseguenza della sua lesione. Trattandosi di diritto fondamentale costituzionalmente garantito, la Corte costituzionale ha invero in alcuni casi sostenuto la necessità di protezione piena[69] escludendo che possa rientrare nella discrezionalità del legislatore, altrimenti sussistente, l’adozione di discipline differenziate per la tutela risarcitoria[70].
Appare pertanto essenziale la decisione della Corte costituzionale sulle questioni alla stessa sottoposte circa l’art. 139 Cod. ass., al fine di sciogliere ogni nodo interpretativo. Essa dovrà infatti stabilire se debba operarsi, e con quale esito, un bilanciamento fra i contrapposti interessi in gioco, così fra l’altro offrendo indicazioni utili per la redazione della tabella delle lesioni di non lieve entità ai sensi dell’art. 138 Cod. ass.[71].