RAPPRESENTANZA APPARENTE E RATIFICA DEL DOMINUS PUTATIVO
Silvio Campidelli
I. La pronuncia del Collegio arbitrale del 16.01.2012.
Con il lodo arbitrale in commento, il Collegio si è allineato al tradizionale insegnamento giurisprudenziale in materia di rappresentanza apparente e di ratifica ex art. 1399 c.c., ad opera del dominus putativo, del contratto concluso dal falsus procurator, lasciando trasparire, tuttavia, la forte affinità fra i due predetti istituti.
Nel caso di specie, K. F., promittente acquirente, stipulava un compromesso di vendita, avente ad oggetto un immobile da costruire, con G. C., qualificatosi, nel regolamento contrattuale, quale “procuratore dell’amministratore” della società E., promittente venditrice.
Convenuta avanti il Collegio per l’adempimento delle obbligazioni di edificare e di alienare l’unità abitativa, la società E. eccepiva la carenza di potere rappresentativo in capo a G. C., sottolineando, altresì, che, nella vicenda in argomento, ove fosse stata rilasciata verbalmente o per facta concludentia, la procura, in virtù dell’art. 1392 c.c., sarebbe comunque risultata congenitamente inidonea alla produzione di qualsivoglia effetto giuridico, stante la forma scritta ab substantiam richiesta per i contratti traslativi di diritti reali su beni immobili ex art. 1350, n. 1), c.c. e per le relative procure ex art. 1392.
Il Collegio, tuttavia, giudicava la società E. vincolata al preliminare in questione, argomentando che l’analisi dell’intera dinamica negoziale avrebbe reso evidenza della necessità di applicare, al rapporto intercorso fra le parti, la fattispecie della rappresentanza apparente, astrattamente ricorrente, ad avviso dell’Organo Giudicante, in presenza di un duplice requisito[1]:
· la formazione, in capo al deceptus, di un incolpevole affidamento circa la sussistenza di una valida procura;
· l’ascrivibilità causale dell’affidamento incolpevole del deceptus ad un contegno doloso o colposo, commissivo od omissivo, del dominus putativo[2].
In concreto, la sussistenza del fenomeno dell’apparenza è stata diagnosticata alla stregua di una pluralità di indici sintomatici, tutti riferibili al contegno adottato dalla società E. – ciascuno dei quali, peraltro, alla luce della giurisprudenza in termini, ritenuto da solo sufficiente a giustificare il rimedio in parola –, ossia:
a) l’apposizione delle firme di girata sugli assegni riscossi dalla società E., assegni emessi da K.F. allo scopo di provvedere al pagamento della caparra confirmatoria[3];
b) la materiale apprensione della somma incorporata sugli assegni[4];
c) il rilascio, in favore di K.F., di una fattura su carta intestata della società E., comprovante il buon esito del pagamento[5];
d) lo stretto rapporto di collaborazione professionale intercorrente tra la società E. e G.C., suo presunto procuratore[6].
Ad abundantiam, il Collegio osservava che le circostanze di cui ai punti a) e c) configurerebbero, altresì, la fattispecie della ratifica ex art. 1399 c.c., argomentando, a tal riguardo, che, anche allorché, per il contratto concluso dal falsus procurator, sia richiesta la forma scritta ab substantiam, la volontà del dominus di acquisire la piena paternità dell’affare non dovrebbe necessariamente manifestarsi in maniera esplicita, a condizione, però, che la stessa sia evincibile da un documento scritto[7].
Avendo recepito, praticamente in toto, gli ormai consolidati insegnamenti provenienti dalla giurisprudenza di legittimità, il Collegio arbitrale, ovviamente, non ha avuto necessità di ricostruire, sotto il profilo interpretativo, la genesi dei vari istituti giuridici menzionati, di marca squisitamente giurisprudenziale, in relazione ai quali, qui di seguito, si tenterà di offrire una succinta ricostruzione analitica.