CONTRATTI AD ESECUZIONE CONTINUATA: LA RISOLUZIONE È RETROATTIVA? E PER LE PRESTAZIONI GIÀ ESEGUITE SI PUÒ ANCORA DOMANDARE L’ADEMPIMENTO?
Cassazione, sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26199
Il principio della non retroattività della risoluzione, rispetto ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, non può non implicare, relativamente alle prestazioni già eseguite, la conservazione del diritto di ricevere la controprestazione, nonostante la risoluzione del vincolo negoziale, di talché per tali contratti il valore abdicativo della domanda di risoluzione, rispetto alla domanda di adempimento, secondo le previsioni dell’art. 1453 secondo comma cod. civ., va circoscritto a quella sola parte del rapporto per la quale è logicamente configurabile una scelta, su un piano di alternatività, fra risoluzione ed adempimento, mentre è inestensibile a quella parte che rimane ope legis insensibile alla vicenda risolutiva, perché adempimento, sia pure di uno solo dei contraenti, vi è stato.
Cassazione, sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26199
(Pres. Amatucci – Rel. Amendola)
Svolgimento del processo
L’Assessorato alla Cooperazione Commercio Artigianato e Pesca della Regione Siciliana propose opposizione al decreto del Presidente del Tribunale con il quale, a istanza del Fallimento di S. s.p.a., gli era stato ingiunto di pagare la somma di lire 96.749.931, oltre interessi dalla scadenza al saldo, per prestazioni di promozione pubblicitaria di prodotti tipici siciliani, rese dalla società nell’anno 1991, in esecuzione di convenzione stipulata con l’ingiungente il 12 maggio 1989. Costituitasi in giudizio, la curatela chiese che il provvedimento monitorio venisse confermato e, in ogni caso, che venisse accertato il credito da essa vantato nei confronti dell’Assessorato.
Con sentenza del 18 maggio 2004 il giudice adito, revocato il decreto, condannò l’opponente al pagamento in favore dell’opposto della somma di Euro 47.772,26, oltre interessi.
Proposto gravame dall’Assessorato, la Corte d’appello, in data 21 luglio 2008, in riforma della decisione impugnata, ha dichiarato inammissibile la domanda di adempimento proposta dalla curatela, compensando interamente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio. Così ha motivato il giudicante il suo convincimento. L’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dall’Assessorato doveva ritenersi preclusa dal passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Palermo n. 1599 del 6 aprile /18 maggio 2004 che, relativamente ad altra pretesa creditoria avanzata dal Fallimento di S. nei confronti dell’Assessorato e originata dalla medesima convenzione, aveva affermato la giurisdizione del giudice ordinario e deciso la causa nel merito.
La pretesa del Fallimento era tuttavia inammissibile, in base al disposto dell’art. 1423, secondo comma, cod. civ., norma che impedisce di chiedere l’adempimento di un contratto, quando ne sia stata richiesta la risoluzione. E nella fattispecie, con citazione del 5 dicembre 1992, la curatela aveva chiesto la risoluzione della convenzione stipulata tra le parti in data 12 maggio 1989, per inadempimento dell’amministrazione.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte il Fallimento di S. s.p.a., in persona del curatore, avvocato G..D.P. . Formula cinque motivi, con pedissequi quesiti. Resiste con controricorso l’Assessorato alla Cooperazione, Commercio, Artigianato e Pesca della Regione Siciliana.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo l’impugnante lamenta violazione degli artt. 2909 cod. civ., 324, 112 e 113 cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali, ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. Le critiche si appuntano contro l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla curatela nella comparsa di costituzione innanzi ai giudici di appello, eccezione radicata sul passaggio in giudicato di due sentenze del Tribunale di Palermo che, relativamente ad altre pretese creditorie originate dalla medesima convenzione, avevano ritenuto infondata l’eccezione di improponibilità della domanda di adempimento ex art. 1453, secondo comma, cod. civ..
1.2 Con il secondo mezzo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2909 cod. civ., 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., con riferimento al medesimo punto. Sostiene che il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno dei principi in materia di cosa giudicata e, senza alcuna motivazione, avrebbe implicitamente escluso che l’incontestabilità delle richiamate pronunce potesse fare stato sulla questione di ammissibilità della domanda di condanna proposta dal Fallimento nel presente giudizio.
1.3 Con il terzo motivo l’impugnante deduce violazione degli artt. 1453, secondo comma, 1458 cod. civ., e 113 cod. proc. civ. Oggetto della critiche è la ritenuta inammissibilità della domanda di pagamento di prestazioni già eseguite, in ragione della proposizione di domanda di risoluzione del contratto, laddove la giurisprudenza di legittimità costantemente afferma, in relazione ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, che il valore abdicativo della domanda di risoluzione per inadempimento va circoscritto a quella parte del rapporto per la quale è logicamente configurabile una scelta, su un piano di alternatività, tra risoluzione e adempimento, con esclusione, dunque, di quella parte che rimane ope legis insensibile alla vicenda risolutiva, essendovi già stato adempimento da parte di uno dei contraenti.
1.4 Con il quarto mezzo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ. nonché vizi motivazionali, con riferimento alla mancata valutazione del materiale istruttorio e alla mancata pronuncia sull’appello incidentale volto a far valere l’erroneità del riconoscimento degli interessi a partire dalla data del ricorso monitorio, laddove già con lettera del 6 luglio 1992 l’Assessorato era stato costituito in mora.
1.5 Con il quinto motivo lamenta violazione del principio della soccombenza di cui agli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., con riferimento alla compensazione delle spese di causa.
2 Le censure svolte nei primi due motivi di ricorso, che si prestano a essere esaminate congiuntamente in quanto intrinsecamente connesse, sono fondate per le ragioni che seguono.
Il ricorrente ha dedotto e dimostrato, attraverso la produzione della sentenza del Tribunale di Palermo n. 1599 del 2004, corredata da certificazione che ne attesta l’avvenuto passaggio in giudicato, che la questione dell’incidenza della proposizione di domanda di risoluzione, nei contratti a esecuzione continuata o periodica, sul diritto a ricevere il corrispettivo delle prestazioni già eseguite, è stata positivamente risolta con statuizione non più contestabile.
Segnatamente tale sentenza, ribadito che il principio della non retroattività della risoluzione, rispetto ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, non può non implicare, relativamente alle prestazioni già eseguite, la conservazione del diritto di ricevere la controprestazione, nonostante la risoluzione del vincolo negoziale, di talché per tali contratti il valore abdicativo della domanda di risoluzione, rispetto alla domanda di adempimento, secondo le previsioni dell’art. 1453 secondo comma cod. civ., va circoscritto a quella sola parte del rapporto per la quale è logicamente configurabile una scelta, su un piano di alternatività, fra risoluzione ed adempimento, mentre è inestensibile a quella parte che rimane ope legis insensibile alla vicenda risolutiva, perché adempimento, sia pure di uno solo dei contraenti, vi è stato ha ritenuto proponibile la domanda di condanna ad adempiere del Fallimento S. con il ricorso in monitorio, in relazione alle prestazioni già effettuate dall’impresa in bonis in esecuzione della medesima convenzione.
Ne deriva che questo punto non poteva più essere oggetto di rivalutazione, né poteva essere tout court ignorato dal giudice a quo, in applicazione del principio per cui, qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto comuni ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, ne preclude il riesame nel giudizio non ancora definito (confr. Cass. civ. 16 settembre 2011, n. 18923; Cass. civ. 29 luglio 2011, n. 16675).
Ed è appena il caso di aggiungere che, costituendo il giudicato esterno un elemento che non può essere incluso nel fatto ma è assimilabile a un dato normativo, il suo rilievo e il suo accertamento, esclusa l’applicabilità del regime delle eccezioni in senso tecnico, può avvenire anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (confr. Cass. civ. 6 giugno – 2011, n. 12159; Cass. civ. 14 gennaio 2011, n. 779).
3. Deriva da tanto che, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, il cui positivo scrutinio assorbe l’esame degli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione che, nel decidere, terrà conto del giudicato intervenuto tra le stesse parti sulla proponibilità della domanda di condanna ad adempiere avanzata dalla curatela del Fallimento S. con riferimento ad altre prestazioni eseguite in esecuzione della medesima convenzione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione