Se l’assicurato, poi deceduto, ha taciuto in mala fede la sua malattia, il beneficiario ha diritto a riscuotere il capitale della polizza? Cassazione, sez. III, 20 dicembre 2011, n. 27578

SE L’ASSICURATO, POI DECEDUTO, HA TACIUTO IN MALA FEDE LA SUA MALATTIA, IL BENEFICIARIO HA DIRITTO A RISCUOTERE IL CAPITALE DELLA POLIZZA?

Cassazione, sez. III, 20 dicembre 2011, n. 27578

(Pres. Finocchiaro – Rel. De Stefano)

 

 

Svolgimento del processo

1. V..M. e A.I..P. ricorrono, affidandosi a sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 4158 del 16.10.08 della Corte di appello di Roma, con la quale, in riforma della sentenza del tribunale capitolino, è stata rigettata la loro domanda di conseguire dalla SARA Vita spa il capitale rivalutato della polizza di assicurazione sulla vita stipulata dal loro dante causa S..P., pari a L. 41.293.870, mancato ai vivi il 26.7.99; e tanto perché quest’ultimo, che aveva taciuto la circostanza di essere affetto da diabete mellito all’atto della stipula del contratto, doveva considerarsi in mala fede ai fini dell’art. 1892 cod. civ. ; resiste l’intimata con controricorso.

Motivi della decisione

2. Le ricorrenti dispiegano sei motivi:

2.1. con un primo, di “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1892, 1893, 2697 c.c.”, contestano la ritenuta incidenza della pretesa reticenza dolosa nella determinazione del consenso alla stipula del contratto e concludendo con il seguente quesito: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se vi è stata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1892, 1893 e 2691 per avere il giudice di merito ritenuto sussistente il requisito della sussistenza della reticenza determinante del consenso, sulla base del contenuto del questionario sottoposto dall’Assicuratore al Contraente, omettendo di considerare che non era stata formulata alcuna specifica domanda sulla sofferenza della malattia asseritamente non dichiarata;

2.2. con un secondo, di vizio di motivazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., relativamente alla ritenuta reticenza resa con dolo o colpa grave ed alla inapplicabilità della clausola di incontestabilità della reticenza ai sensi dell’art. 3 del contratto, concludono con la sola indicazione del fatto controverso e dei motivi della sua decisività;

2.3. con un terzo, di vizio di motivazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. relativamente alla mancata disamina delle istanze istruttorie formulate in primo grado e riformulate in appello, concludono con la sola indicazione del fatto controverso e dei motivi della sua decisività;

2.4. con un quarto, di “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 324 e 346 cpc in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., nonché nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., con riferimento alla pronuncia di inammissibilità delle domande subordinate in quanto domande nuove, nonostante l’accettazione del contraddittorio e la formazione del giudicato e l’acquiescenza dell’appellante”, concludono con il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se vi è stata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 324 e 346 c.p.c. per avere la Corte d’appello pronunciato l’inammissibilità delle domande subordinate proposte dalle appellate rilevandone la novità, nonostante la mancata riproposizione da parte del l’appellante, ex art. 346 c.p.c., dell’eccezione di novità delle domande e nonostante la mancata censura della sentenza di primo grado in ordine al mancato accoglimento dell’eccezione stessa;

2.5. con un quinto, di “nullità della sentenza e/o del procedimento… con riferimento alla pronuncia di inammissibilità delle domande subordinate in quanto domande nuove, nonostante l’accettazione del contraddittorio e la formazione del giudicato e l’acquiescenza dell’appellante”, concludono con il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se vi è nullità della sentenza e/o del procedimento d’appello, per avere il Giudice di secondo grado violato gli artt. 112, 324 e 326 c.p.c., nell’essersi pronunciato sull’inammissibilità delle domande subordinate proposte dalle appellate rilevandone la novità, nonostante la mancata riproposizione da parte dell’appellante ex art. 346 c.p.c. dell’eccezione di novità delle domande e nonostante la mancata censura della sentenza di primo grado in ordine al mancato accoglimento dell’eccezione stessa;

2.6. con un sesto, di “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1919 e ss. c.c., 1892, 1893 c.c. e degli artt. 112 e 346 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per non essersi la Corte d’appello pronunciata nel merito delle domande subordinate proposte dall’appellante”, concludono con il seguente quesito: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se vi è violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1919 e ss. c.c., 1892, 1893 c.c. e degli artt. 112 e 346 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente qualificato come domande nuove la domanda subordinata di pagamento della somma corrispondente ai premi versati al netto di imposte e spese o alla somma pari alla componente previdenziale contenuta nei premi versati, nonché la domanda ulteriormente subordinata versamento della somma corrispondente ai premi versati ridotta secondo quanto previsto dall’art. 1893 u.c. cod. civ. rispetto alla domanda principale di pagamento del capitale assicurato rivalutato e, per l’effetto, per non essersi pronunciata nel merito delle domande subordinate proposte dalle appellate.

3. Dal canto suo, la controricorrente contesta i motivi di doglianza: quanto al primo ed al secondo, negando la necessità che nel questionario fossero indicate analiticamente tutte le patologie in astratto configurabili come influenti sul rischio assicurato e sostenendo la sufficienza dell’interpello in concreto formulato; quanto al terzo, negando l’ammissibilità della doglianza di mancato esame di istanze istruttorie ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e comunque per l’omessa formulazione di motivo di appello incidentale o in quanto relativa alla valutazione del merito della controversia; quanto al quarto ed al quinto motivo, ritenendo necessaria non la semplice riproposizione delle domande subordinate, ma la formulazione di appello incidentale affinché in secondo grado queste potessero essere esaminate, comunque nuove in appello e del resto infondate per il dichiarato annullamento del contratto; quanto al sesto, contestandone l’ammissibilità perché attinente al merito ed infondato perché nessuna valida pretesa poteva fondarsi su di un contratto non già valido, ma annullato.

4. Va preliminarmente rilevato che alla fattispecie, in cui oggetto del ricorso è una sentenza pubblicata il 16.10.08, si applica l’art. 366 bis cod. proc. civ.;

infatti:

4.1. quest’ultima norma è stata introdotta dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e resta applicabile – in virtù del comma secondo dell’art. 27 del medesimo decreto -ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera dell’art. 47, comma 1, lett. d), della legge 18 giugno 2009, n. 69, in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma quinto, di quest’ultima;

4.2. quanto ai quesiti previsti dal primo comma del richiamato art. 366-bis cod. proc. civ.:

4.2.1. essi non devono risolversi in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420);

4.2.2. essi non devono risolversi in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008, n. 11210);

4.2.3. devono al contempo comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, tanto che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339);

4.2.4. devono essere formulati in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri termini, devono compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v. : Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704);

4.3. in forza del capoverso dell’art. 366 bis cod. proc. civ., poi, per le doglianze di vizio di motivazione occorre la formulazione di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009): occorrendo, in particolare, la formulazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso, nel quale e comunque anche nel quale si indichi non solo il fatto controverso riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, ma anche – se non soprattutto – quali siano le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., ord. 1.8 luglio 2007, n. 16002); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).

5. In applicazione dei principi di cui al paragrafo precedente, sono inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso, in quanto – strutturati, per libera scelta delle ricorrenti, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. – del tutto mancanti dei momenti di sintesi o riepilogo contenenti non solo il fatto decisivo e controverso, ma anche le indicazioni del ritenuto vizio.

6. Quanto agli altri motivi, il primo è infondato.

Nella concreta e limitata portata che si ricava dalla formulazione del quesito, occorre stabilire soltanto se sia errata l’interpretazione data dalla corte territoriale al contratto nel senso di non escludere la reticenza, rilevante ai fini degli artt. 1892 e 1893 cod. civ., dinanzi ad un formulario che non conteneva alcuna specifica domanda sulla sofferenza della malattia asseritamente non dichiarata.

È ben vero che il mancato inserimento nel questionario informativo o anamnestico di alcune particolari circostanze può denotare il disinteresse dell’assicuratore per le medesime (Cass. 24 novembre 2003, n. 17840) in tema di assicurazione contro i danni, qualora l’impresa assicuratrice abbia chiesto ed ottenuto dall’assicurato, con apposito questionario, specifiche informazioni sulle circostanze afferenti il rischio dedotto in contratto, la mancata inclusione, fra i quesiti così formulati, di determinati profili di fatto evidenzia un atteggiamento di indifferenza dell’assicuratore medesimo, nel senso di estraneità dei profili stessi all’ambito del proprio interesse di conoscenza, valutabile al fine dell’esclusione a carico dell’assicurato che li abbia taciuti di un comportamento reticente, secondo la previsione degli artt. 1892 e 1893 cod. civ..

E tuttavia la domanda cui l’assicurando ha dato risposta negativa – quale si ricava dalla trascrizione ed anzi dalla riproduzione del formulario nel ricorso per cassazione (“dagli eventuali accertamenti effettuati è emersa qualche malattia?”, ovvero “soffre di malattie..?” con un’ampia indicazione di gruppi di patologie) – non può dirsi affatto generica, ma generale e riferita ad ogni potenziale stato morboso, quale potenzialmente idoneo a determinare l’entità del rischio (salvo poi a valutarne la rilevanza ai fini della formazione del consenso da parte dell’assicurato: ma la valutazione dell’incidenza della reticenza su questo, affermata dalla gravata sentenza a pag. 6, non è resa oggetto di puntuale denuncia in questa sede); e, siccome – se non altro per nozioni di comune esperienza – il diabete rientra certamente nella nozione comunemente percepita di “malattia”, non si può sostenere, come vorrebbero oggi le ricorrenti, che l’affezione indicata fosse indifferente per l’assicuratore. Mentre non risponde a criteri di normalità e buona fede sostenere che, dinanzi alla richiesta di conoscere ogni eventuale stato morboso o patologia in atto, vi fosse l’onere, per l’assicuratore, di indicare nel formulario anamnestico analiticamente tutti quelli, indefiniti, astrattamente in grado di influire sul rischio; tanto che la mancata elencazione analitica non equivale affatto a disinteresse per il riconoscimento, da parte del contraente nel questionario, di quelli; deve al contrario ritenersi sufficiente, nel quesito successivo, la loro specificazione mediante raggruppamento per tipologie.

Del resto, la corte territoriale, con valutazione non resa oggetto di puntuale censura in questa sede, ascrive il diabete alle patologie metaboliche, queste inserite in una specifica domanda nel questionario stesso, anch’essa seguita dalla risposta “no” dell’assicurando.

In conclusione, al primo quesito deve darsi risposta negativa.

7. Più complesso discorso a farsi è per i motivi quarto, quinto e sesto, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione; e riguardando essi l’inammissibilità per novità delle domande subordinate dispiegate dalle odierne ricorrenti, nonostante l’omessa doglianza sul punto da parte dell’assicuratrice, sia in primo grado che in appello. In particolare, sostengono le M. – P. di avere, con comparsa ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. (senza indicare la data del deposito), chiesto – in via subordinata e per l’ipotesi di rigetto della domanda di pagamento del capitale rivalutato – la condanna della controparte al pagamento di una somma corrispondente ai premi versati al netto di imposte e spese od alla somma pari alla componente previdenziale contenuta nei premi versati, ovvero – in via ancora più subordinata – la condanna di controparte al pagamento della somma corrispondente ai premi versati ridotta secondo quanto previsto dall’art. 1893 ult. comma cod. civ.

7.1. Vanno, per esigenze di ordine logico, esaminati dapprima i motivi quarto e quinto.

Al riguardo:

7.1.1. in primo luogo, non può rilevare la mancata reazione dell’assicuratrice, convenuta in primo grado, avverso il dispiegamento delle domande suddette, perché l’eventuale novità non è sanata, dopo la riforma di cui alla legge n. 353 del 1990, da alcuna condotta di acquiescenza della controparte: nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ. introdotto dalla legge n. 353 del 1990, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti – e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice – essendo l’intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano – in quanto espressione di un interesse pubblico – l’ampliamento successivo del thema decidendi anche se su di esso si venga a registrare il consenso del convenuto (Cass. 13 dicembre 2006, n. 26691; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19453);

7.1.2. in secondo luogo, il giudicato implicito (sul quale è notevole l’elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, sulla quale, per tutte, v. : Cass. Sez. Un. 26 gennaio 2011, n. 1764; Cass. Sez. Un. 24 ottobre 2008, n. 24883), comportante la limitazione del potere del giudice di conoscere ex officio di determinate questioni, può formarsi tutte le volte in cui tra la questione risolta espressamente e quella risolta implicitamente sussista un rapporto indissolubile di dipendenza, nel senso che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza cade su questioni che si risentano come la necessaria premessa o il presupposto logico e giuridico della decisione, coprendo il dedotto e il deducibile, e cioè non solo le questioni espressamente fatte valere in giudizio, ma anche tutte le altre che si caratterizzano per la loro inerenza ai fatti costitutivi delle domande o eccezioni dedotte in giudizio (negli esatti termini, tra le altre: Cass. 18 giugno 2001, n. 14055; Cass., ord. 17 dicembre 2010, n. 25553); infatti, la formazione del giudicato implicito esige che gli elementi nei quali si annidano possibili questioni preliminari o pregiudiziali in rito o in merito siano stati specificamente valutati, ancorché nell’ambito di una cognizione volta alla pronuncia su un oggetto che sta a valle del loro positivo esame: dalla motivazione del provvedimento impugnato deve in definitiva risultare, con la chiarezza necessaria ad allertare i presidi difensivi delle parti, che il decidente è entrato in contatto con la questione, che l’ha percepita e scrutinata, sicché l’esito di tale apprezzamento, pur non costituendo un autonomo nucleo argomentativo della pronuncia, emerga in trasparenza dal tessuto argomentativo che la sorregge (tra le altre: Cass. 20 maggio 2009, n. 11707);

7.1.3. in terzo luogo, se colui il quale ha visto accolto in primo grado la propria domanda principale non ha l’onere di proporre appello incidentale per fare valere le domande ritenute assorbite, essendone sufficiente la riproposizione in appello con la comparsa di costituzione (Cass. 9 giugno 2004, n. 10966; Cass. 14 novembre 2001, n. 14458; Cass. 19 luglio 2005, n. 15223), analogamente va ritenuto per le doglianze avverso le medesime, proprio in quanto rivolte contro domande non rese oggetto di pronuncia anche solo implicita; simmetricamente, qualunque eccezione proposta in relazione a domande subordinate ritenute assorbite dal giudice di primo grado per effetto dell’accoglimento della domanda principale, si intende rinunciata in grado di appello soltanto se sia stata omessa nell’impugnazione e non sia stata chiaramente formulata dopo che l’altra parte abbia spiegato gravame incidentale per riproporre la domanda subordinata (Cass. Sez. Un., 17 ottobre 1979, n. 5412);

7.1.4. nel caso di specie:

la delibazione di ammissibilità delle domande subordinate, operata con ordinanza dal giudice istruttore, non può pregiudicare in alcun modo il merito;

– la stessa valutazione non risulta affatto affrontata dal giudice di primo grado, proprio perché ininfluente ai fini della decisione, risoltasi con l’accoglimento della principale, sicché la detta ordinanza non può in alcun modo dirsi “confermata” dalla mancata disamina delle relative questioni, non concependosi una sorta di ultra attività delle valutazioni interinali o a fini ordinatori;

non si è formato quindi alcun giudicato implicito sull’ammissibilità delle subordinate;

– in mancanza di questo, a nulla rileva la condotta inerte della convenuta in primo grado, appellante principale: così come non vi era onere, per le appellate, di specifico appello incidentale per riproporre le subordinate ritenute assorbite per l’accoglimento integrale della principale, così non vi era onere, per la controparte, di dispiegare specifico motivo di appello sulla novità delle domande o su altri vizi o profili di infondatezza di queste, essendo il relativo rilievo rimesso, per le stesse ragioni già viste per il primo grado, al giudice del gravame;

7.1.5. pertanto, i motivi quarto e quinto vanno rigettati, non essendo precluso alla corte di merito valutare l’eventuale inammissibilità, per novità, delle domande subordinate, nonostante la mancata reazione della controparte in primo grado e, non potendosi configurare un giudicato implicito, con il gravame.

7.2. Per finire con il sesto motivo, esso è inammissibile; infatti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in esso:

7.2.1. non viene integralmente trascritto il passaggio dell’atto processuale con cui sarebbero state dispiegate le descritte subordinate: rilevando invece oltre alla parte conclusiva anche quella motiva, dove verosimilmente saranno state indicate le ragioni di fatto e di diritto, il cui esame è pure indispensabile per valutare la novità o meno della domanda;

7.2.2. non viene specificato di quale delle memorie previste dall’art. 183 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis si tratta (in relazione alle attività consentite all’attore in dipendenza delle difese del convenuto) ed in quale data, in rapporto ai termini perentori necessariamente assegnati dal giudice, essa sia stata depositata: così impedendosi a questa Corte di verificare non tanto se le domande stesse siano state ritualmente introdotte nel thema decidendum, quanto piuttosto di valutare il loro contenuto e, quindi, se sia corretta o meno la qualificazione di novità o comunque di inammissibilità operata dal giudice del merito.

8. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato; e le ricorrenti, tra loro in solido per l’identità della posizione processuale, vanno condannate al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna M.V. e A.I..P. , tra loro in solido, al pagamento, in favore della Sara Vita spa, in pers. del leg. rappr.nte p.t., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

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