IL MANDATO A TRANSIGERE PUÒ ESSERE DESUNTO DA ELEMENTI PRESUNTIVI?
Cassazione, Sez. III, 27 gennaio 2012, n.1181
1. In tema di transazione, l’esistenza del mandato a transigere o della ratifica di transazioni aventi ad oggetto controversie relative a rapporti obbligatori, per i quali non è richiesta la forma scritta – necessaria invece se la controversia in, relazione alla quale interviene ha ad oggetto rapporti giuridici concernenti beni immobili o diritti reali immobiliari – può essere desunta da elementi presuntivi, e per quanto riguarda la ratifica anche da facta concludentia, quale il comportamento del “dominus negotii”, che dimostri l’approvazione dell’operato di chi abbia agito a suo nome pur in assenza di poteri rappresentativi.
2. Perciò il pagamento di parte della somma spettante alla controparte sulla base di un contratto concluso da un falsus procurator di colui che l’ha corrisposta implica la ratifica dell’intero contratto e non della sola parte eseguita poiché l’esecuzione, anche parziale, manifesta la volontà del dominus di avvalersi degli effetti negoziali della transazione, che non è nulla se la causa è lecita (art. 1972 comma primo cod.civ.) e se sussistono i requisiti previsti dall’art. 1325 cod. civ..
Cassazione, Sez. III, 27 gennaio 2012, n.1181
( Pres. Trifone – Rel. Chiarini)
Con sentenza del 30 giugno 2009 la Corte di appello di Milano ha rigettato l’appello di R..V. sulle seguenti considerazioni: 1) non si era verificata la condizione apposta all’accordo del 30 settembre 1999 tra questi, socio accomandatario, e En.Ar..Ve. , socio accomandante, della s.a.s. Golden Bar di R. V., secondo cui il Ve. si obbligava a corrispondere al V. – che aveva ceduto la sua quota di questa società a Ti..Ve. per 25 milioni di lire, pagate – lire 36 milioni – da versare in “ratei di lire un milione ciascuno – nel momento in cui il Ve. avesse rilevato a titolo definitivo l’azienda di proprietà della s.a.s. Golden Bar di S.G., di cui era affittuaria all’epoca la s.a.s. Golden Bar di R. V., poiché né il Ve. né quest’ultima società avevano acquistato la predetta azienda, venduta il 7 gennaio 2003 dalla proprietaria ad un terzo, con conseguente preclusione definitiva dell’avveramento della condizione; 2) la transazione, avente ad oggetto detto accordo – inefficace per mancato avveramento della predetta condizione, ma non nullo, non essendo meramente potestativa – per effetto della quale il Ve. si obbligava a corrispondere detta somma al V. con rateazione di lire 500 mila mensili anziché un milione, previo obbligo del V. di estinzione di un contratto di leasing di un’autovettura concluso allorché erano soci, era stata scritta dai rispettivi legali privi di procura ad obbligare i loro clienti e non era stata ratificata dal Ve., né la parziale esecuzione di tale accordo da parte di costui è significativa avendo adempiuto soltanto in minima parte e poi negato ogni obbligazione. Ricorre per cassazione R..V. cui resiste Ve.En.Ar.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce: ‘Art. 360 c.p.c. n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1358 e 1359 c.c. Omessa motivazione su un fatto rilevabile d’ ufficio (art. 360 n. 5 c.p.c.)’, e conclude con il seguente quesito di diritto: ‘Dica la Corte se, in riferimento alla clausola contrattuale dell’accordo di cessione di quota della società Golden Bar s.a.s. del 30 settembre 1999 secondo cui l’obbligazione di pagamento ivi dedotta era subordinata all’acquisto da parte dell’obbligato dell’azienda gestita dalla società, fattispecie in cui la Corte di appello territoriale ha applicato il seguente principio di diritto:
a) il mancato avveramento della condizione sospensiva potestativa comporta sempre la mancata produzione degli effetti del negozio giuridico;
se non sia invece applicabile il seguente principio di diritto: b) in caso in cui in pendenza di condizione sospensiva il soggetto che ha interesse contrario all’avveramento della condizione stessa compia atti in malafede idonei ad impedire l’avveramento della condizione stessa, è applicabile l’art. 1359 c.c. con la conseguenza che la condizione si considera avverata. E pertanto se il comportamento dell’obbligato il quale, pur avendo assunto l’impegno ad acquistare l’azienda, abbia consentito dopo 4 anni dall’assunto impegno, e nonostante i continui solleciti all’adempimento dell’accordo da parte del ricorrente, che l’azienda fosse alienata ad un terzo, non costituisca fatto idoneo ad integrare l’avveramento della condizione previsto dall’art. 1359 c.c..
Il motivo è inammissibile perché introduce nuovi accertamenti: di fatto, estranei al thema decidendum.
Ed infatti per l’operatività dell’art. 1359 cod. civ., in virtù del quale la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, è necessario che colui che lo invoca provi la condotta dolosa o colposa di tale parte, non essendo a tal fine sufficiente il mero comportamento inattivo se non costituisce violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge, e poiché nessuno di tali diversi profili giuridici risulta esser stato tempestivamente prospettato nel giudizio di merito, la censura è inammissibile.
2.- Con il secondo motivo deduce: ‘Violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1967, 1392, 1399, 2729 e 2739 c.c. ex art. 360 c.p.c. n. 3. Insufficiente e/o omessa motivazione su un fatto rilevabile di ufficio o prospettato dalle parti (art. 360 n. 5 c.p.c.), in relazione al contratto di transazione:
a) la Corte territoriale ha ritenuto altresì che la richiesta di pagamento avanzata dal ricorrente non potesse trovare titolo nemmeno nell’accordo transattivo intervenuto in data 10 ottobre 2001 tra i legali C. e P. in nome e per conto delle parti rappresentate e difese. In particolare ha rilevato che non v’ era alcuna prova in ordine al conferimento del mandato a transigere da parte del V. e del Ve. ai rispettivi legali e che, in ogni caso, non era intervenuta alcuna ratifica e comunque non v’ era alcuna prova della suddetta ratifica operata dal Ve., e conclude con il seguente quesito di diritto: ‘Dica la Corte adita, nella fattispecie concreta di transazione raggiunta dai legali delle parti in causa e consistente nel riconoscere al ricorrente la somma di lire 36 milioni oltre interessi da pagarsi in rate mensili di lire 500 mila, con successivo comportamento dell’obbligato consistente nell’adempimento dell’accordo con il versamento di numerose rate mensili per complessive lire 5.258.698, e successiva interruzione dei pagamenti su consiglio di diverso legale, ed altresì in base alla dichiarazione da costui resa in giudizio di essersi affidato ad un avvocato che gli ha consigliato di transigere la controversia nei termini descritti e pertanto di aver provveduto ad effettuare i pagamenti rateali di lire 500 mila su indicazione dell’avvocato stesso, e ove la Corte territoriale ha applicato il seguente principio di diritto:
a) la transazione conclusa dal falsus procurator può esser ratificata per fatti concludenti, purché risultanti da atti scritti; b) salvo il caso che il medesimo abbia accettato gli effetti del contratto con l’integrale esecuzione dei relativi patti;
se invece debba esser applicato alla fattispecie il diverso principio di diritto secondo cui: a) l’esistenza del mandato a transigere o la ratifica della transazione raggiunta dal falsus procurator non esigono la forma scritta ad probationem, ma la loro esistenza può esser desunta anche da semplici elementi presuntivi; b) per quanto concerne la ratifica questa può essere provata in ogni modo e risultare da fatti concludenti, anche non risultanti da atti scritti, vale a dire attraverso un comportamento del dominus negotii da cui sia chiaramente desumibile l’approvazione dell’operato di chi abbia assunto iniziative a nome di lui, pur in assenza dei relativi poteri rappresentativi, e pertanto se sulla base degli elementi di fatto quali l’adempimento parziale dell’accordo consistente nell’effettuazione del pagamento di alcune rate previste dalla transazione stessa, la dichiarazione resa dall’avvocato dell’obbligato secondo cui il cliente accettava di pagare l’importo concordato transattivamente e la dichiarazione della parte resa in giudizio in sede di interrogatorio di ammissione di aver cominciato a pagare le rate su consiglio del proprio legale che aveva concluso la transazione con il collega, possono costituire prova della esistenza di un mandato a transigere o comunque ratifica per fatti concludenti della transazione conclusa dal falsus procurator con la conseguente efficacia dell’intero negozio.
Il motivo è fondato.
In tema di transazione, l’esistenza del mandato a transigere o della ratifica di transazioni aventi ad oggetto controversie relative a rapporti obbligatori, per i quali non è richiesta la forma scritta – necessaria invece se la controversia in, relazione alla quale interviene ha ad oggetto rapporti giuridici concernenti beni immobili o diritti reali immobiliari – può essere desunta da elementi presuntivi, e per quanto riguarda la ratifica anche da facta concludentia, quale il comportamento del ‘dominus negotii’, che dimostri l’approvazione dell’operato di chi abbia agito a suo nome pur in assenza di poteri rappresentativi. Perciò il pagamento di parte della somma spettante alla controparte sulla base di un contratto concluso da un falsus procurator di colui che l’ha i corrisposta implica la ratifica dell’intero contratto e non della sola parte eseguita (Cass. 992/1967) poiché l’esecuzione, anche parziale, manifesta la volontà del dominus di avvalersi degli effetti negoziali della transazione, che non è nulla se la causa è lecita (art. 1972 comma primo cod.civ.) e se sussistono i requisiti previsti dall’art. 1325 cod. civ..
Quanto alla giurisprudenza invocata dal controricorrente secondo cui per la ratifica della transazione conclusa da un falsus procurator per facta concludentia è necessario che l’esecuzione del patto sia integrale, il principio è stato enunciato in relazione a fattispecie per le quali era necessario dissipare ogni incertezza sull’oggetto di essa in mancanza di prova documentale. Ma nella specie il Ve. non contesta il contenuto della transazione, bensì dichiara di averne cessato l’adempimento e pertanto il predetto principio non è pertinente.
P.Q.M.
Concludendo la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte di appello di Milano. Il giudice di rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese anche del giudizio di cassazione.