PER USUCAPIRE UN IMMOBILE DEL COMUNE È NECESSARIO L’ANIMUS POSSIDENDI
Cassazione, sez. II, 2 febbraio 2012, n. 1483
Perché la detenzione del bene possa divenire possesso utile ad usucapionem, occorre la prova di una successiva interversione nel titolo del possesso, sino a quel momento consapevolmente dovuto a tolleranza del proprietario, espressamente riconosciuto come tale.
La presunzione di cui all’art. 1441 cc risulta dunque vinta dalla stessa intenzione (anche se non realizzata) di concludere un contratto di locazione dell’immobile predetto che ne dimostra l’insussistenza dell’animus utile al fine [Massima redazionale]
Cassazione, sez. II, 2 febbraio 2012, n. 1483
(Pres. Triola – Rel. Goldoni)
Svolgimento del processo
Con atto del 1994, R..M. conveniva il comune di Sirolo onde ottenere declaratoria di intervenuta usucapione a suo favore di un immobile, sito in via Tripoli; resisteva il Comune, che in via riconvenzionale, chiedeva il rilascio dello stesso immobile siccome detenuto sine titulo. Deceduta nelle more l’attrice, la causa veniva riassunta da A. e M..P. , quali eredi della predetta. In esito alla compiuta istruzione, il tribunale di Ancona, con sentenza del 2003, rigettava la domanda attorea ed accoglieva la riconvenzionale, regolando le spese. Proponeva impugnazione P.A. , cui resisteva il Comune.
Con sentenza in data 25.5/22.7.2005, la Corte di appello di Ancona rigettava il gravame e regolava le spese del grado; osservava la Corte distrettuale che l’immobile de quo era stato in vita condotto in locazione dal padre della M. , la quale, subentrata al genitore, non aveva in alcun modo dimostrato una interversione del possesso, e, nel 1971 aveva avuto a manifestare al Comune l’intento di dar vita, relativamente all’immobile, ad un rapporto di locazione, senza peraltro che il contratto si concludesse, cosa questa di per sé significativa di consapevolezza della condizione di mera e precaria detentrice in capo all’originaria attrice. Non risultava che tale atteggiamento di mera detentrice fosse mutato nel corso del tempo, in quanto non erano emersi, dalla prova acquisita, riferimenti ad atti o comportamenti di valenza univoca, tali da dimostrare l’interversione del possesso con espressione in forma concretamente effettuale di un animus rem sibi habendi contra dominum.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria, la P. ; resiste con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, il Comune, mentre l’altra intimata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Va premesso che è stata presentata istanza di trattazione, attestante il perdurante interesse alla decisione.
Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1141, 1144, 1158. 1165, 2944 e 2728 c.c.: ci si duole del fatto che la sentenza impugnata abbia dedotto dalla manifestata intenzione della M. di stipulare un contratto di locazione con il Comune la sussistenza della consapevolezza della mera detenzione del bene da parte di costei, anche in ragione della ritenuta inettitudine del materiale istruttorio raccolto a dimostrare l’esercizio di un potere di fatto da ricondursi nell’ambito del possesso, finendo per omettere di valutare la presunzione di cui al primo comma dell’art. 1441 cc..
Con il secondo mezzo, si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la valutazione ei tutto il materiale probatorio raccolto in correlazione al mero indizio rappresentato dalla intenzione della M. di concludere un contratto di locazione.
Il primo mezzo, invero articolato con qualche approssimazione nelle sue connotazioni essenziali, ha peraltro trovato nella memoria esplicitazioni e precisazioni che ne ampliano il senso e la portata.
L’affermazione infatti secondo cui il rapporto di locazione tra il comune ed il marito della M. era cessato al momento della morte del predetto non risulta contraddetta da alcun elemento probatorio acquisito o comunque valutato dalla sentenza impugnata, di talché non può dirsi che la donna fosse subentrata in detto rapporto a qualsivoglia titolo.
Ciò posto, va peraltro evidenziato che permanendo la disponibilità del magazzino da parte della M. , costei aveva chiesto, nel 1971, al Comune di concludere un contratto di locazione analogo a quello già esistente con il proprio marito.
Detto che, si ignora per volontà di chi, tale contratto non era poi stato mai concluso, la fattispecie assume la singolarità di una ipotesi in cui il detentore si rivolge al proprietario per proporre di prendere il bene posseduto in locazione.
Non può sottacersi come tale comportamento fosse significativo e determinante circa l’insussistenza dell’animus sibi habendi di un bene che si riconosceva espressamente come di proprietà altrui.
Se dunque, nella M. l’animus utile all’usucapione era carente, come dimostra la proposta di prendere il bene in locazione dimostra, non erra la Corte anconetana nel richiedere che, perché la detenzione del bene divenisse possesso utile ad usucapionem, occorreva la prova di una successiva interversione nel titolo del possesso, sino a quel momento consapevolmente dovuto a tolleranza del proprietario, espressamente riconosciuto come tale.
La presunzione di cui all’art. 1441 cc risulta dunque vinta dalla stessa intenzione (anche se non realizzata) della M. di concludere un contratto di locazione dell’immobile predetto che ne dimostra l’insussistenza dell’animus utile al fine. La mancanza di prova della interversione del titolo del possesso poi è argomento che attiene al regime probatorio, ed investe pertanto una questione di merito, che non può essere sollevata in sede di legittimità, se non con i limiti insiti in tale tipo di censura e che del resto viene esplicitata più ampiamente nel secondo motivo.
Il mezzo in esame non può pertanto trovare accoglimento.
Il secondo motivo censura la sentenza lamentandosi, in qualche misura cripticamente, la motivazione con cui la impugnata decisione ha escluso, sul piano della prova, che fosse stata data adeguata dimostrazione della sussistenza di un possesso utile ad usucapionem anche relativamente all’animus; la Corte anconetana ha esaminato le testimonianze raccolte al riguardo ed ha concluso, in ragione della genericità delle stesse, che la prova della richiesta interversione del titolo del possesso non fosse stata compiutamente data.
Tale valutazione, che si basa su di una effettiva genericità, oltretutto trasmodante in analisi valutative da parte dei testi escussi, non appare priva di obiettivi riscontri e, pertanto deve concludersi nel senso che il lamentato vizio motivazionale non sussista. Anche tale motivo deve essere pertanto respinto e, con esso, il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari di avvocato, oltre agli accessori di legge.