IL GIUDICATO SOSTANZIALE E NE BIS IN IDEM
Il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.), quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, comprese le questioni e gli accertamenti che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico–giuridico ineludibile della pronuncia, che si ricollegano cioè in modo indissolubile alla decisione (giudicato esplicito) formandone l’indispensabile presupposto (giudicato implicito).
Il giudicato si forma dunque non soltanto su quel che è stato oggetto di contrasto tra le parti ed ha trovato soluzione nel dispositivo, ma su tutto ciò che il giudice ha ritenuto, non incidentalmente ma decisivamente. In tal senso conforme è l’orientamento di dottrina e giurisprudenza: si dice che il giudicato copre il dedotto e il deducibile.
Questo principio, secondo una lettura costituzionalmente educata, per il quale l’efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti, anche a quanto esse avrebbero potuto dedurre, si riferisce sempre a quelle ragioni non dedotte che rappresentano un antecedente logico necessario della pronuncia ed impedisce che possa essere introdotta una nuova controversia con lo stesso oggetto ma con nuove ragioni, che ben si potevano far valere nel primo giudizio, o comunque in sede di gravame, che è la sede naturale per la revisio prioris instantiae.
Di qui la violazione del principio del ne bis in idem: onde l’inammissibilità della domanda, il principio del ne bis in idem e quello dell’interesse ad agire essendo infatti tra loro ontologicamente connessi(in termini Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010 -Rv. 615854, secondo cui il principio de quo corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, consistente “nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione”; tale garanzia di stabilità è “collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata”; conf. Sez. 3, Sentenza n. 8379 del 07/04/2009 -Rv. 608254; in senso nomofilattico v. SS.UU, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006 -Rv. 589695-).
Sotto il presidio di tale inespugnabile avamposto (ponendosi esso, nota la migliore dottrina con un’affermazione che può essere tesaurizzata anche nel modulo civilistico, “a chiusura del sistema quale baluardo contro possibili abusi”), si palesa affatto ultronea l’indagine sia dell’altra eccezione pregiudiziale sollevata ex latere rei, sia nel merito delle (altre) eccezioni e contestazioni articolate da controparte nella comparsa di risposta, e ribadite nelle conclusioni.
Giudice di Pace di Civitanova Marche, 05 dicembre 2011
(GdP G. Fedeli)
MOTIVI DELLA DECISIONE
All’odierno giudizio è applicabile l’art. 58, comma II, legge 18 giugno 2009 n. 69 e, per l’effetto, la stesura della sentenza segue l’art. 132 c.p.c. cpv. e 118 comma 1 disp. att. c.p.c., come modificati dall’art. 45, comma 17, della legge 69/09. La domanda è inammissibile, e va dunque disattesa.
Premessa epistemologica: chi pone la domanda sul soggetto? Se si prendono le mosse da questa domanda per indagare lo spazio teoretico che si distende tra il soggetto che pone la domanda ed il soggetto che funge da oggetto della domanda stessa, si dovrà riconoscere che il percorso stesso dell’indagine riconduce, pur arricchito del riempimento che la domanda stessa esige, esattamente al punto d’inizio.
Qualora si supponga, infatti, che la domanda che chiede del soggetto e che tenta di strappare alla qualsiasi risposta una qualche legittimazione filosofica del soggetto stesso sia la domanda personale di un qualsiasi chi e non sia riducibile ad un domandare impersonale e desoggettivato; e quando, inoltre, si ponga circa il soggetto una quaestio juris e il soggetto in quanto tema venga indagato in una prospettiva ontologica, si dovrà riconoscere che nella risposta si ripropone la problematica differenza che ne contrassegna la forma gnoseologico-sintattica.
La risposta alla domanda iniziale si translittera in exitus iudicialis, non risolvendo, tuttavia, il problema, ma bensì riproponendo la struttura della domanda stessa. Scendendo intra mortales e in medias res esiste, infatti, perfetta corrispondenza in rerum natura (maxime sotto il profilo della “storicità”del fatto) tra gli elementi costitutivi della quæstio dibattuta dinnanzi al Tribunale Monocratico Civile di Macerata (nella persona del Dott. Pietro Merletti), rubricata al n° 617/99 R.G. e sfociata nella sentenza n° 837/08 e la querelle all’odierno scrutinio di questo Giudicante, anch’essa considerata in ogni suo elemento costitutivo, id est condotta, nesso etiologico ed evento, avuto riguardo alle identiche circostanze di tempo, luogo e persone: ergo sussiste piena coincidenza tra evento dedotto nel summenzionato giudizio ed evento per cui è causa.
Essa quæstio (naturalisticamente e giuridicamente intesa, anche nelle sue ridondanze quoad processum) è, dunque, coperta da regiudicata, dal momento che la sentenza pronunciata in prime cure, che aveva respinto le istanze risarcitorie avanzate dall’attore, andava gravata davanti la corte dorica: il che non è stato fatto. In definitiva, il T. aveva l’onere di opporre il dictum di primo grado e in quella sede formulare le doglianze ed eccezioni che invece, sia pure sotto una diversa gestalt, formula in hac sede, tardivamente. Non può pertanto ella “rimodulare” la domanda sulla scia del primo pronunciamento, sia pure nei confronti di altro convenuto (Allianz Assicurazioni SpA).
In sostanza, il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.), quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, comprese le questioni e gli accertamenti che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico–giuridico ineludibile della pronuncia, che si ricollegano cioè in modo indissolubile alla decisione (giudicato esplicito) formandone l’indispensabile presupposto (giudicato implicito). Il giudicato si forma dunque non soltanto su quel che è stato oggetto di contrasto tra le parti ed ha trovato soluzione nel dispositivo, ma su tutto ciò che il giudice ha ritenuto, non incidentalmente ma decisivamente.
In tal senso conforme è l’orientamento di dottrina e giurisprudenza: si dice che il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Questo principio, secondo una lettura costituzionalmente educata, per il quale l’efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti, anche a quanto esse avrebbero potuto dedurre, si riferisce sempre a quelle ragioni non dedotte che rappresentano un antecedente logico necessario della pronuncia ed impedisce che possa essere introdotta una nuova controversia con lo stesso oggetto ma con nuove ragioni, che ben si potevano far valere nel primo giudizio, o comunque in sede di gravame, che è la sede naturale per la revisio prioris instantiae.
Di qui la violazione del principio del ne bis in idem: onde l’inammissibilità della domanda, il principio del ne bis in idem e quello dell’interesse ad agire essendo infatti tra loro ontologicamente connessi(in termini Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010 -Rv. 615854, secondo cui il principio de quo corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, consistente “nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione”; tale garanzia di stabilità è “collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata”; conf. Sez. 3, Sentenza n. 8379 del 07/04/2009 -Rv. 608254; in senso nomofilattico v. SS.UU, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006 -Rv. 589695-).
Sotto il presidio di tale inespugnabile avamposto (ponendosi esso, nota la migliore dottrina con un’affermazione che può essere tesaurizzata anche nel modulo civilistico, “a chiusura del sistema quale baluardo contro possibili abusi”), si palesa affatto ultronea l’indagine sia dell’altra eccezione pregiudiziale sollevata ex latere rei, sia nel merito delle (altre) eccezioni e contestazioni articolate da controparte nella comparsa di risposta, e ribadite nelle conclusioni. Sussistono nondimeno ragioni di equanimità (compendiate sopra ogni altra considerazione nella diversa “lettura” offerta in relazione al principio nomofilattico che assorbe ogni altro punto questionabile, ergo nella sia pur relativa “incertezza” della “materia” d’indagine: cd “complessità in diritto”) per la compensazione tra le parti delle spese di lite (cfr. Cass. Civ. sez. III 29.09.2005 n. 19161)
PQM
Il Giudice di Pace, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: rigetta la domanda attorea in quanto inammissibile per violazione del principio del ne bis in idem e, in endiadi, per difetto d’interesse valutabile ai sensi dell’art. 100 c.p.c. Ai sensi dell’art. 92 cpv cpc, compensa integralmente inter partes le spese di lite.
Così deciso in Civitanova Marche il 05.12.2011
Il Giudice di Pace
Avv. Giuseppe Fedeli