MACROSCOPICO ERRORE DELL’EQUIPE MEDICA: È PENALMENTE RESPONSABILE ANCHE LO SPECIALIZZANDO?
Cassazione, sez. IV, 22 febbraio 2012, n. 6981
Il medico specializzando non è presente nella struttura per la sola formazione professionale, la sua non è una mera presenza passiva né lo specializzando può essere considerato un mero esecutore d’ordini del tutore anche se non gode di piena autonomia; si tratta di un’autonomia che non può essere disconosciuta, trattandosi di persone che hanno conseguito la laurea in medicina e chirurgia e, pur tuttavia, essendo in corso la formazione specialistica, l’attività non può che essere caratterizzata da limitati margini di autonomia in un’attività svolta sotto le direttive del tutore. Ma tale autonomia, seppur vincolata, non può che ricondurre allo specializzando le attività da lui compiute; e se Io specializzando non è (o non si ritiene) in grado di compierle deve rifiutarne lo svolgimento perché diversamente se ne assume le responsabilità (c.d. colpa per assunzione ravvisabile in chi cagiona un evento dannoso essendosi assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all’agente modello di riferimento). Pertanto sussiste la responsabilità professionale sia per i medici strutturati che per gli specializzandi.
Cassazione, sez. IV, 22 febbraio 2012, n. 6981
(Pres. Brusco – Rel. Massafra)
Ritenuto in fatto
V.G. e G.A.S. , venivano condannati alta pena di mesi tre di reclusione per ognuno, con i benefici di legge, oltre al pagamento delle spese di costituzione di parte civile ed al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, fatta eccezione per una provvisionale di Euro 50.000,00 posta a carico di ciascuno degli imputati, con sentenza del Tribunale di Isernia, in composizione monocratica, in data 6 aprile 2010 (che al contempo assolveva il Professor Gu. , capo dell’equipe nella quale prestava servizio la G. ), per avere ciascuno concorso, con condotte colpose indipendenti ex art. 113 c.p., alla produzione di lesioni personali gravissime a danno del minore T.A. , nato il giorno (…). Il primo imputato, in particolare, nella qualità di medico radiologo in servizio presso l’ospedale di (…), sottopose a TAC il minore medesimo, in data (omissis) , redigendo un referto secondo cui non si riscontravano “…alterazioni apprezzabili densitometriche né processi espansivi dei parenchima cerebrale”, nonostante la radiografia effettuata, mostrasse con evidenza la presenza di un processo espansivo intracranico, nella regione immediatamente sovrastante la sella turcica, ovvero un tumore del tipo craniofaringioma, che si trovava allo stadio iniziale.
Alla seconda imputata, invece, quale sanitario dell’equipe guidata dal Dr. Gu. , che ebbe in cura il paziente con visite ambulatoriali dal (omissis) al (omissis) presso il Centro Cefalee del Policlinico di Roma, veniva contestato di non avere svolto i necessari approfondimenti diagnostici né esaminato i precedenti referti, nonostante lo strabismo e le persistenti cefalee lo rendessero opportuno, in tal modo formulando per il piccolo T. , diagnosi improprie e prescrivendo cure inadeguate.
Il concomitante apporto di tali condotte testé riassunte aveva determinato, secondo l’impostazione accusatoria, un accrescimento considerevole della massa tumorale, quando, a ben a tre anni di distanza dalla TAC effettuata dal V. , il T. , per qualche mese in cura dalla G. nell’istituto di (…), dovette essere sottoposto a ripetuti delicati e difficili interventi chirurgici, presso la “N.” di (…); interventi i quali, pur correttamente eseguiti, proprio per le notevoli dimensioni raggiunte dalla massa tumorale (accresciutasi dal (omissis) al (omissis) da 1 a circa 6 centimetri), cagionavano al minore le lesioni gravissime rubricate in imputazione ex art. 590 c.p., e consistite in danni neurologici costituiti dalla perdita del senso della vista e dall’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione e di quello della prensione.
La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza in data 7.7.2011, parzialmente riformava quella predetta, riducendo la pena inflitta ai due imputati a mesi due di reclusione per la G. e a mesi due e giorni 15 di reclusione per il V. .
Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione i rispettivi difensori di fiducia di V.G. e G.A.S. .
Nell’interesse della G. si deducono, in sintesi, i seguenti motivi.
1. Il difetto ed illogicità della motivazione circa la ritenuta differenziazione della posizione della prevenuta da quella del coimputato V. solo per il grado della colpa ritenuto minore per la G. , atteso che la sentenza aveva poi rinviato per la G. alla motivazione svolta per la posizione del V. .
2. L’inosservanza della legge penale per violazione degli artt. 40 e 41 c.p. attesa l’erronea formulazione del giudizio controfattuale con riferimento alla condotta dell’imputata, non tenendo affatto conto delle dichiarazioni testimoniali di tutti i medici della N. di (…) che avevano affermato che un intervento chirurgico effettuato qualche mese prima non avrebbe cambiato nulla circa le conseguenze riportate dalla parte offesa, a differenza di un intervento operato qualche anno prima e della circostanza, riferita sempre dagli stessi, relativa allo sviluppo del tumore come ad evoluzione lenta.
3. La violazione di legge in relazione al D.lvo 17.8.1999 n. 368 che, all’art. 38, prescrive che l’attività formativa e assistenziale dei medici in formazione specialistica si svolge sotto la guida di tutori. Essendo stato prosciolto il tutor, la condanna del medico specializzando obbligava alla stesura di una motivazione congrua che la Corte territoriale aveva omesso.
4. Rappresenta, infine, il decorso del termine prescrizionale. Nell’interesse del V. si articolano, in sintesi, le seguenti censure.
1. La violazione di legge per inosservanza dell’art. 129 c.p.p., per la tardività della querela e conseguente improcedibilità del giudizio.
2. La mancanza o insufficienza della prova con richiamo all’art. 606 comma 1 lett. b) e d). Assume che nel caso di specie, trattandosi di atto medico di rilevante complessità la colpa per imperizia ascrivibile al dr. V. risultava configurabile solo se riguardante un livello di inadeguatezza per così dire qualificata, secondo quanto prescritto dall’art. 2236 c.c. e che, quanto al nesso causale, era stata totalmente elusa dalla sentenza impugnata l’eventuale esistenza di eventuali fattori alternativi, la cui riscontrata presenza impediva di ritenere dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il nesso causale della condotta.
3. La contraddittorietà ed erronea valutazione dei fatti, essendosi basata sulle affermazioni del Prof. Z. consulente dette parti civili, che si era dovuto rivolgere ad neuroradiologo di fiducia per individuare nella TAC effettuata dal V. la rilevabilità del tumore, mentre il dr. C. (teste indicato dalle parti civili) aveva ammesso che il neuroradiologo ha una competenza in materia specifica e superiore a quella del comune radiologo, quale il V. .
4. Si ribadisce l’eccepita nullità originaria ex art. 546 lett. e) c.p.p. per difetto di motivazione della sentenza di primo grado ed in via derivata della sentenza di appello.
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati e vanno respinti.
Preliminarmente, si deve rilevare che il termine prescrizionale per il reato contestato, di sette anni e sei mesi, di cui è stato eccepito l’avvenuto decorso dalla difesa della G. , a causa del periodo di sospensione di mesi 5 e giorni 2, non è ad oggi spirato (venendo, infatti, a compimento il 12.2.2012).
Inoltre, quanto alla pretesa tardi vita della querela, dedotta dalla difesa del V. , la censura è aspecifica essendosi limitata a riproporre in questa sede pedissequa mente la medesima doglianza già rappresentata sia in sede di appello sia finanche in primo grado e da entrambi i giudici di merito disattesa con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile (pagg. 13-15 della sentenza del Tribunale e pagg. 11-12 di quella impugnata) che hanno ricondotto al 21.6.2004, data della chiara relazione del Prof. C. , il momento in cui i genitori esercenti la potestà sulla persona offesa hanno avuto piena e completa conoscenza del fatto reato astrattamente ascrivibile al V. nella sua “dimensione soggettiva ed oggettiva”. Onde correttamente è stata ritenuta la tempestività della querela del 29.7.2004. Ed è stato affermato che né inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute Infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191).
Quanto alle censure di carenza motivazionale si rammenta che il nuovo testo dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. V, n. 39048 del 25.9.2007, Rv. 238215). Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie per quel che concerne la ritenuta penale responsabilità, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., sez. II, 15.1.2008, n. 5994; Sez. I, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. IV, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636), evenienza non verificatasi nel procedimento in esame. Ancora, va rammentato (con particolare riguardo alle censure sub 2 di entrambi i ricorsi), che “nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette” (Cass. pen. Sez. IV, 24.10.2005, n. 1149, Rv. 233187).
Per il resto, nettamente infondate s’appalesano le censure sub 2) e 3) nell’interesse della G. e quelle sub 3) e 4) nell’interesse del V. , tenuto conto delle esaurienti argomentazioni addotte in ordine al ravvisato nesso eziologico tra condotte ed evento sulla scorta dei principi della nota sentenza c.d. “Franzese” ed in particolare del corretto giudizio controfattuale svolto alla luce delle deposizioni dei dottori Ca. e C. della N. che operarono il T. , essendo pacifico l’andamento ingravescente della patologia riscontrata e la possibilità di successo terapeutico dipendente dalla tempestività dell’intervento chirurgico.
È palese, inoltre, il contenuto prettamente generico del riproposto motivo sub 4) nell’interesse del V. (v. pag. 14 sent. impugnata), escludendosi in radice la ricorrenza nel caso di specie della ventilata Ipotesi della c.d. “motivazione apparente”, ravvisabile soltanto quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Cass. pen. Sez. V, n. 24862 del 19.5.2010, Rv. 247682). Si evidenzia, ancora, l’infondatezza delle censure sub 2) e 3) del ricorso del V. , dal momento che il Giudice a quo, sulla scorta della non meno attenta ed approfondita motivazione della sentenza di primo grado e della relazione del Prof. C. , ha non solo evidenziato che il dr. V. aveva omesso di diagnosticare al piccolo T. “lo slargamento della regione sellare all’interno della quale era presente un tessuto con pareti calcifiche ed a contenuto pseudo cistico con la componente posteriore più voluminosa…” (pag. 15 sent.) ma altresì evidenziato che la detta omissione diagnostica andava ritenuta sicuramente macroscopica, secondo quanto correttamente rilevato dal consulente di parte civile Z.P. ed escluso che l’eventuale rarità della patologia potesse confondersi con la difficoltà della diagnosi. E, sulla scorta dei rilievi dello stesso consulente della difesa, dr. F. , i giudici di merito sono giunti ad affermare che il V. disponeva di tutte le cognizioni necessarie per l’effettuazione di una corretta diagnosi, in tal modo escludendo la necessità a tal fine di una peculiare ed ulteriore specializzazione. Peraltro, la Corte territoriale ha puntualizzato come nel caso di specie non possa trovare applicazione in sede penale il principio civilistico della colpa grave sancito dall’art. 2236 c.c. (Cass. pen. Sez. IV, n. 46412 del 28.10.2008, Rv. 242251).
Analoghe considerazioni (pagg. 19-25, non meno approfondite e puntuali di quelle svolte dal Tribunale nella sentenza di I grado a pagg. 19-31, dalle quali si evince il grado macroscopico dell’errore della G. , laddove trascrisse in modo del tutto difforme la diagnosi oculistica della dr.ssa Cr. , particolarmente significativi delle implicazioni che comportano le vantazioni prettamente neurologiche di competenza della ricorrente che neppure valutò correttamente – senza nutrire il minimo sospetto di anomalie in atto, come dalla stessa sostanzialmente ammesso – quegli ulteriori dati dalla medesima imputata annotati in cartella clinica circa la sintomatologia – cefalee, risvegli notturni e vomito – lamentata dal piccolo paziente) sono state correttamente svolte in relazione alla G. , che, ormai prossima alla specializzazione, non aveva rifiutato l’incarico affidatole: di qui la “c.d. colpa per assunzione”.
In proposito è stato affermato che “Il medico specializzando non è presente nella struttura per la sola formazione professionale, la sua non è una mera presenza passiva né lo specializzando può essere considerato un mero esecutore d’ordini del tutore anche se non gode di piena autonomia; si tratta di un’autonomia che non può essere disconosciuta, trattandosi di persone che hanno conseguito la laurea in medicina e chirurgia e, pur tuttavia, essendo in corso la formazione specialistica, l’attività non può che essere caratterizzata da limitati margini di autonomia in un’attività svolta sotto le direttive del tutore. Ma tale autonomia, seppur vincolata, non può che ricondurre allo specializzando le attività da lui compiute; e se Io specializzando non è (o non si ritiene) in grado di compierle deve rifiutarne lo svolgimento perché diversamente se ne assume le responsabilità (c.d. colpa per assunzione ravvisabile in chi cagiona un evento dannoso essendosi assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all’agente modello di riferimento). Pertanto sussiste la responsabilità professionale sia per i medici strutturati che per gli specializzandi” (Cass. pen., Sez. IV, 10.12.2009, n. 6215, non massimata nel CED e richiamata in sentenza).
Consegue il rigetto del ricorsi e, ai sensi dell’art.616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese di questo giudizio in favore delle parti civili liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta t ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.