QUANDO SI HA DOMANDA NUOVA E INAMMISSIBILE IN APPELLO?
Cassazione, sez. III, 7 febbraio 2012, n. 1684
Si ha domanda nuova, inammissibile in appello, per modificazione della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio.
Cassazione, sez. III, 7 febbraio 2012, n. 1684
(Pres. Trifone – Rel. Musso)
Svolgimento del processo
Con atto di precetto del 18-1-1994 la Finanziaria San Giorgio intimava a M.G. il pagamento di lire 106.609.927, a cui faceva seguire atto di pignoramento notificato il 5 febbraio 1994 alla Banca di Roma s.p.a., quale terzo debitore.
All’udienza dell’11 aprile 1994 la Banca di Roma, terza pignorata, dichiarava che sebbene sussistesse una regione di credito a favore della M., relativamente al canone di locazione dovuto, in data 26 gennaio 1994 le era stata notificato atto di cessione di credito, a favore di terzi per l’intero importo di canoni di locazione e che quindi ormai nulla doveva alla M..
Su istanza della San Giorgio il giudizio proseguiva in sede contenziosa al fine di accertare l’esistenza della ragione di credito dedotta.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 5063/2004 accertava l’obbligo della Banca nei confronti della M. in virtù di contratto di locazione, mancando la prova della data della notifica della cessione del credito.
A seguito dell’appello di Capitalia, costituitesi la Finanziaria San Giorgio e M.G., la Corte d’Appello di Roma, con la decisione in esame depositata in data 5.3.2009, in accoglimento del gravame respingeva la domanda proposta dalla Finanziaria San Giorgio di accertamento del debito del terzo.
Ricorre per cassazione la San Giorgio s.r.l. con tre motivi e relativi quesiti; resiste con controricorso Unicredit s.p.a. (incorporante Capitalia).
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 149 c.p.c., artt. 1264-1265 c.c. e art. 2914 c.c., n. 2 e art. 2700 c.c., L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, per aver ritenuto provata la notifica della cessione del credito effettuata da M.G., a mezzo del servizio postale, al proprio figlio D.P., in assenza del deposito in giudizio dell’avviso di ricevimento dell’atto di cessione”.
Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per aver ritenuto domande nuove, e come tali inammissibili in appello,essendo state prospettate con la comparsa conclusionale e non con l’atto di citazione, la domanda d’inefficacia della cessione del credito per violazione dell’artt. 1344 e 2740 c.c., anzichè ritenere tali domande perfettamente tempestive in quanto prospettate solo in via incidentale ai fini dell’accertamento dell’obbligo del terzo e non in via principale, e, quindi non soggette al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 3.
Con il terzo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c. per non aver annullato la sentenza di primo grado e rimesso al giudice di primo grado causa del difetto di contraddittorio nei confronti del cessionario D.P. nell’ipotesi in cui fosse stata ritenuta necessaria l’integrazione del contraddittorio nonostante la domanda di revocatoria e frode alla legge fosse stata prospettata solo in via occidentale”.
Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.
Infondato è il primo motivo: nella impugnata decisione si fa presente che “appare altresì evidente che ai fini della prova occorre anche tener conto del cosiddetto criterio della vicinanza… nel caso di specie la Banca, dopo aver dichiarato l’intervenuta cessione del credito non poteva far altro che depositare il contenuto della busta in cui era inserita la notifica della cessione avvenuta tramite servizio postale. Non potevano trarsi argomenti di prova dalla circostanza che non era stata depositata la relata di notifica costituita dalla ricevuta di ritorno che come è noto è restituita a colui che ha chiesto la notifica”, aggiungendo che “da tali documenti può trarsi la prova che la notifica sia avvenuta proprio il 26 gennaio come dedotto dalla Banca nella dichiarazione di terzo”. A fronte di ciò la società ricorrente afferma che nel caso di specie “l’esibizione dell’avviso di ricevimento della raccomandata con la quale avviene la notificazione a mezzo del servizio postale, avviso che ai sensi dell’art. 149 c.p.c., deve essere allegato all’originale per dimostrare l’avvenuta consegna del piego al destinatario, sia richiesta per il medesimo fine anche al destinatario dell’atto”; in tal modo la ricorrente non solo non censura la specifica ratio decidendi sul punto (tra l’altro fondata non su aspetti procedurali ma su aspetti fattuali e di merito), ma deduce una carenza di onere probatorio non configurabile nel caso in esame. Infatti, deve in proposito ribadirsi che, in tema di notifica al debitore ceduto dell’atto di cessione del credito, la notificazione della cessione (come il correlativo atto di accettazione) non si identifica con quella effettuata ai sensi dell’ordinamento processuale e costituisce atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline o formalità (tra le altre, Cass. n. 28300/2005).
Anche il secondo motivo è infondato: correttamente la Corte di merito ha applicato l’art. 345 c.p.c. là dove afferma che “neppure possono essere esaminate le domande di revocatoria o di negozio posto in essere in frode ai creditori avanzate dalla Finanziaria San Giorgio in quanto in primo grado non era stato evocato in giudizio il cessionario del credito, direttamente interessato dalla decisione.
Del resto tale domanda deve ritenersi anche nuova e come tale inammissibile visto che la Finanziaria San Giorgio all’udienza del 21 12 2001 si riportò alla conclusione dell’atto introduttivo in cui non vi era traccia di tali domande”; tale affermazione è in linea con quanto già affermato da questa Corte (tra le altre, Cass. n. 27890/2008), secondo cui si ha domanda nuova, inammissibile in appello, per modificazione della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio.
Tra l’altro il motivo manca di autosufficienza.
Assorbito, infine, è il terzo motivo in quanto è ovvio che la questione dell’integrità del contraddittorio non è esaminabile in relazione a domande ritenute nuove.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese la presente fase che liquida in complessivi Euro 3.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessorie, come per legge