ATTI SESSUALI. LA MANCANZA DI QUERELA NON FERMA IL PROCESSO PER VIOLENZE SU MINORI
Cassazione, sez. III, 2 marzo 2012, n. 8145
L’ipotesi di cui all’art. 609 bis, ultimo comma, c.p. costituisce un’attenuante ad effetto speciale e non una fattispecie autonoma di reato, sicché la stessa, in assenza di un’espressa previsione normativa, non esplica alcun effetto sul regime della perseguibilità di ufficio del reato.
È noto che per i reati contro la libertà sessuale la perseguibilità a querela è stabilita in via generate per evitare che la persona offesa subisca, a causa del procedimento penale e della notorietà che da esso deriva, un ulteriore danno rispetto a quello derivante dal reato stesso.
In tale ottica è prevista la perseguibilità di ufficio della fattispecie di abuso sessuale nell’ipotesi di connessione con altro reati) perseguibile di ufficio, dovendosi procedere in ogni caso per il fatto commesso (art. 609 septies, comma 4 n. 4), c.p.).
Anche negli altri casi previsti dall’art. 609 septies, comma 4, c.p. la perseguibilità di ufficio non risulta affatto connessa alla vantazione legislativa della particolare gravità che il fatto di per sé assume, ad esempio se commesso in danno di un minore, quanto dettata dall’esigenza di impedire che la perseguibilità del reato non sia conseguenza della libera determinazione della persona offesa, ma risulti, invece, ostacolata da fattori esterni, come dimostrano le varie ipotesi di cui ai n. 1), 2), 3) e 5) di tale comma.
Trattandosi di persona offesa minore (n. 1), 2), e 5), tali ostacoli vanno ravvisati nei condizionamenti che la stessa può subire più facilmente ad opera dello stesso autore del reato o di ambienti familiari, oppure a causa di una comprensione non corretta della natura dell’azione subita, mentre nell’ipotesi di fatto commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (n. 3) si palesa evidente che l’esercizio del diritto di querela può trovare un ostacolo nel metus reale o presunto inculcato nella persona offesa dalla posizione di potere pubblico dell’autore del reato.
In tutte tali ipotesi, pertanto, la perseguibilità di ufficio appare finalizzata proprio ad elidere il pericolo che la punibilità del reato sia condizionata da fattori diversi dalla libera scelta della persona offesa e non genericamente legata ad una valutazione della maggiore gravità del fatto, sicché a nulla rileva ai fini di tale vantazione la possibilità di inquadrare il fatto nell’ipotesi di minore gravità.
Cassazione, sez. III, 2 marzo 2012, n. 8145
(Pres. Mannino – Rel. Lombardi)
Considerato in fatto e diritto
Con la impugnata sentenza il G.I.P. del Tribunale di Treviso ha applicato nei confronti di K.R. , ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena stabilita dall’accordo delle parti, quale imputato del reato di cui agli art. 81 cpv., 609 bis, comma 3, 609 ter, comma 1 n. 1), c.p., a lui ascritto per avere costretto con violenza e minacce la nipote minorenne H.J. a subire atti sessuali, consistiti nello stringerla da dietro, nel toccarla anche nelle parti intime, nel tentare di sfilarle i pantaloni con la forza, nel denudarsi davanti a lei.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il K. che la denuncia per omessa applicazione dell’art. 129 c.p.p., stante la improcedibilità dell’azione penale per mancanza di querela.
Si deduce, in sintesi, che la perseguibilità di ufficio prevista dall’art. 609 septies, comma 4 n. 1), c.p. per l’ipotesi in cui il fatto di cui all’art. 609 bis è commesso nei confronti di minore degli anni diciotto non trova applicazione nel caso di minore gravità di cui all’ultimo comma del predetto articolo. Si sostiene sul punto che la perseguibilità di ufficio, quale eccezione alla regola generale della perseguibilità a querela, trova la propria giustificazione nella particolare gravità del fatto commesso in danno di minore, sicché la stessa deve essere esclusa, in via interpretativa, quando il fatto sia caratterizzato da minore gravità.
Il ricorso non è fondato.
L’interpretazione prospettata dal ricorrente non trova riscontro nel sistema normativo.
L’ipotesi di cui all’art. 609 bis, ultimo comma, c.p. costituisce un’attenuante ad effetto speciale e non una fattispecie autonoma di reato, sicché la stessa, in assenza di un’espressa previsione normativa, non esplica alcun effetto sul regime della perseguibilità di ufficio del reato.
L’interpretazione prospettata dal ricorrente, in ogni caso, non trova neppure rispondenza nella ratio dell’istituto.
È noto che per i reati contro la libertà sessuale la perseguibilità a querela è stabilita in via generate per evitare che la persona offesa subisca, a causa del procedimento penale e della notorietà che da esso deriva, un ulteriore danno rispetto a quello derivante dal reato stesso.
In tale ottica è prevista la perseguibilità di ufficio della fattispecie di abuso sessuale nell’ipotesi di connessione con altro reati) perseguibile di ufficio, dovendosi procedere in ogni caso per il fatto commesso (art. 609 septies, comma 4 n. 4), c.p.).
Anche negli altri casi previsti dall’art. 609 septies, comma 4, c.p. la perseguibilità di ufficio non risulta affatto connessa alla vantazione legislativa della particolare gravità che il fatto di per sé assume, ad esempio se commesso in danno di un minore, quanto dettata dall’esigenza di impedire che la perseguibilità del reato non sia conseguenza della libera determinazione della persona offesa, ma risulti, invece, ostacolata da fattori esterni, come dimostrano le varie ipotesi di cui ai n. 1), 2), 3) e 5) di tale comma.
Trattandosi di persona offesa minore (n. 1), 2), e 5), tali ostacoli vanno ravvisati nei condizionamenti che la stessa può subire più facilmente ad opera dello stesso autore del reato o di ambienti familiari, oppure a causa di una comprensione non corretta della natura dell’azione subita, mentre nell’ipotesi di fatto commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (n. 3) si palesa evidente che l’esercizio del diritto di querela può trovare un ostacolo nel metus reale o presunto inculcato nella persona offesa dalla posizione di potere pubblico dell’autore del reato.
In tutte tali ipotesi, pertanto, la perseguibilità di ufficio appare finalizzata proprio ad elidere il pericolo che la punibilità del reato sia condizionata da fattori diversi dalla libera scelta della persona offesa e non genericamente legata ad una valutazione della maggiore gravità del fatto, sicché a nulla rileva ai fini di tale vantazione la possibilità di inquadrare il fatto nell’ipotesi di minore gravità.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.