Disdetta del contratto di locazione per fissare la sede di un patronato: legittima se non c’è malizia Cassazione, sez. III, 19 marzo 2012, n. 4367

 

DISDETTA DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE PER FISSARE LA SEDE DI UN PATRONATO: LEGITTIMA SE NON C’È MALIZIA

Cassazione, sez. III, 19 marzo 2012, n. 4367

 

  • Solo quando il recesso del locatore è costituito da malizioso comportamento, preordinato a creare una stato di necessità, tale recesso non si configura legittimamente esercitato ai sensi dell’art.3 della legge n. 431/98.
  • Al di fuori di tale ipotesi, il locatore può agire liberamente ogni qual volta si presentino particolari esigenze di carattere, come in questo caso, personali che appaiono, in base ad un’equa valutazione, meritevoli di protezione secondo la comune esperienza e nel normale svolgimento dei rapporti umani, personali e giuridici.
  • In tal caso, il relativo accertamento va compiuto prescindendo dalla valutazione comparativa con le esigenze del conduttore e senza pretendere giustificazioni di ordine sociale che limiterebbero la libertà di scelta di ogni cittadino

 

 

Cassazione, sez. III, 19 marzo 2012, n. 4367

(Pres, Trifone – Rel, Uccella)

 

Svolgimento del processo

Il 21 marzo 2008 il Tribunale di Cosenza, ritenuto che l’immobile locato da A..D.S. a R..G. non fosse stato destinato ad abitazione del locatore, come da disdetta del relativo contratto alla prima scadenza, accoglieva la domanda di risarcimento danni proposta dal G. e condannava il D.S. al pagamento in favore dell’attore – ex conduttore – della somma di Euro 13.140 oltre interessi dalla domanda e spese.

Su gravame principale del D.S. ed incidentale del G. la Corte di appello di Catanzaro riformava integralmente la sentenza di primo grado il 26 novembre 2009 rigettava l’appello incidentale e compensava in ragione della metà le spese dei due gradi del giudizio.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il G. , affidandosi a due motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il D.S..

 

Motivi della decisione

 

1. – Con il primo motivo (insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art.360 n.5 c.p.c. in ordine al fatto che l’immobile sia stato ritenuto condotto da locatore per sua abitazione) il ricorrente lamenta che il giudice dell’appello non abbia ritenuto sufficientemente dimostrato che la destinazione dell’appartamento a sede dell’Associazione territoriale Domina – Patronato Informa – famiglia avesse determinato l’esclusivo godimento da parte di quest’ultima dell’intero appartamento in modo tale da pregiudicare ogni possibilità di contemporanea abitazione da parte del D.S. .

Rileva il ricorrente che la motivazione sarebbe contraddittoria, ove si consideri la natura stessa del patronato, che è persona giuridica di diritto privato, che svolge un servizio di pubblica utilità per una categoria di soggetti e non solo per i propri aderenti ex dec.leg.vo CPS 29 luglio 1947 n.804 e legge 30 marzo 2001 n.152. Solo attraverso un attento esame delle produzioni documentali dell’attore, ora ricorrente, allegate alla citazione introduttiva ed, in particolare, di alcune fotografie, nonché del fatto che a prescindere dal documento formale di residenza, il D.S. sarebbe sempre convissuto con la famiglia di origine ed, inoltre, che le utenze dei servizi erano tutte intestate all’Associazione Domina e non già al locatore, la Corte territoriale avrebbe potuto giungere ad una soluzione diversa.

Non avendolo fatto, la decisione sarebbe affetta dal vizio sopra indicato.

2.-Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art.3 comma 1 lett. a) e 3 e 5 della legge 9 dicembre 1998 n.431 in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c.) il ricorrente lamenta che sarebbe impropria l’applicazione di un risalente principio affermato da questa Corte – sent. n.7974/97-, secondo cui alla prima scadenza, come nella specie, l’effettiva utilizzazione del bene da parte del locatore, atta ad evitare l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 31 della citata legge, è da ritenersi rispettata anche nel caso in cui esso si riveli solo parziale perché la ratio dell’art.3 citato è quella di consentire la disdetta alla prima scadenza onde non privare il proprietario dell’immobile di abitarlo per ragioni personali o dei suoi familiari, ma non per finalità di pubblico interesse (e richiama Cass. n. 4050/09).

3. – Le due censure vanno esaminate congiuntamente per la loro interconnessione che ne fanno, in sostanza, un unico motivo. Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

In linea di principio va affermato che solo quando il recesso del locatore è costituito da malizioso comportamento, preordinato a creare una stato di necessità, tale recesso non si configura legittimamente esercitato ai sensi dell’art.3 della legge n. 431/98.

Al di fuori di tale ipotesi, il locatore può agire liberamente ogni qual volta si presentino particolari esigenze di carattere, come in questo caso, personali che appaiono, in base ad un’equa valutazione, meritevoli di protezione secondo la comune esperienza e nel normale svolgimento dei rapporti umani, personali e giuridici.

In tal caso, il relativo accertamento va compiuto prescindendo dalla valutazione comparativa con le esigenze del conduttore e senza pretendere giustificazioni di ordine sociale che limiterebbero la libertà di scelta di ogni cittadino (Cass. n. 26526/09; v. anche per quanto valga Cass. n. 10127/10).

Nel caso in esame, il giudice dell’appello, alla luce di quanto sopra evidenziato in linea di principio, ha emesso una decisione che non può non trovare conferma e va rilevato che tutto il ricorso, sembra partire da una presupposto eccentrico rispetto all’argomentare del giudice dell’appello, in quanto questi non ha ritenuto sufficientemente provato l’uso esclusivo da parte dell’Associazione, in virtù di elementi documentali e fattuali rispetto ai quali il ricorrente richiede una diversa lettura.

Di vero, in base all’istruttoria condotta in primo grado, il giudice dell’appello ha esaminato:

1) le fotografie delle targhe apposte all’edificio di cui fa parte l’immobile, dalle quali effettivamente risulta la “domiciliazione” dell’Associazione Domina e dell’ente Partecipazione – Verso il Partito Democratico;

2) le dichiarazioni dei testi escussi;

3) il certificato di residenza del Comune di Cosenza;

4) il verbale dell’assemblea dei soci della Domina del 26 novembre 2005 nel quale si da atto che il D.S. abita in quell’appartamento.

In virtù di questi elementi, di cui alcuni offerti dallo stesso D.S., che era tenuto a provare proprio la serietà della disdetta (Cass. n. 977/10), il giudice dell’appello ha potuto ritenere che effettivamente l’Associazione Domina, di cui il Patronato era una articolazione, avesse la propria sede nell’appartamento del D.S., ma che non fosse stato in alcun modo provato che ciò conseguisse ad un contratto di locazione con esclusivo godimento e detenzione da parte di essa associazione.

Cosi come non era stato dimostrata né dedotta quale fosse la tipologia di attività in concreto svolte dal associazione ed, in particolare, se si trattava di attività aperta al pubblico o che riguardava solo riunioni di soci o altre attività intrinsecamente compatibili con la contestuale destinazione abitativa del locatore, all’epoca celibe e studente.

Ne ha, quindi, dedotto una intrinseca insufficienza delle prove poste a sostegno della domanda, che, peraltro, era a carico del G. offrire, e, in concreto, ha concluso che si trattava di un uso promiscuo dell’appartamento, perché si trattava di indizi univoci e concludenti e riteneva che quantomeno dal settembre 2005, e, quindi, entro l’anno dal rilascio avvenuto nel maggio 2005 il D.S. abitava nell’appartamento de quo.

In altri termini, la prova circa la prevalenza delle attività svolte dalla Associazione rispetto al fatto che il D.S. abitasse l’appartamento, che era a carico del G. , quale conduttore, è stata ritenuta insufficiente (Cass. n. 10962/10).

Si tratta di argomentare appagante sotto ognuno dei vizi denunciati e pienamente rispondente ai criteri ermeneutici di questa Corte, così come sopra indicati, e, quindi, le censure del ricorrente non ne scalfiscono la logica articolazione, anche sotto il profilo, rinvenibile nel ricorso, dell’errore di diritto.

Infatti, così come prospettato con questo ultimo vizio, da cui sarebbe affetta la sentenza impugnata, il ricorrente sembra contestare al giudice del merito di avere erroneamente ravvisato nella situazione di fatto in concreto accertata la ricorrenza degli elementi costitutivi di una fattispecie normativamente regolata e, quindi, comporta non un giudizio di diritto, ma un giudizio di fatto da impugnarsi, se del caso sotto il vizio di motivazione, che essendo stato dedotto già con il primo motivo, si appalesa come duplicato dello stesso (v. Cass. n. 10385/05; Cass. n. 9185/11).

In altri termini, la sentenza impugnata non si è espressa, così come sembra evidenziare il ricorrente, nel senso di non disconoscere all’appartamento anche la funzione di sede dell’associazione, lo svolgimento di una sua attività, ma dovendo prendere atto delle risultanze processuali iuxta alligata et probata ha disatteso la domanda del G. perché gli elementi da lui addotti e/o allegati, nonché le deposizioni testimoniali non integravano una probatio piena ma, al contrario, deponevano per un uso promiscuo dell’appartamento, pienamente legittimo dal punto di vista normativo.

Conclusivamente il ricorso va respinto, ma soccorrono giusti motivi, atteso l’alterno esito delle fasi di merito e il nucleo centrale della decisione impugnata, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

 

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