CONTRATTO D’APPALTO: PROFILI DI UN’EVENTUALE RESPONSABILITÀ DEL COMMITTENTE
Giuseppe Caristena
(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 3/2012)
1. LA VICENDA
Di seguito si esamineranno alcune interessanti questioni affrontate dai giudici della seconda sezione civile della Corte di Cassazione. La sentenza alla quale si fa riferimento è la n. 2363 del 17 gennaio 2012 (dep. 17 febbraio 2012).
Riepilogando brevemente la vicenda, i proprietari e gli occupanti di un appartamento agirono in giudizio avverso il condominio per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dei lavori effettuati da una ditta incaricata dal condominio di risolvere un problema d’infiltrazione d’acqua proveniente dai piani superiori (terrazzo). In particolare, il danno lamentato dagli attori è consistito in infiltrazioni d’acqua verificatisi nel loro appartamento in conseguenza, appunto, dei predetti lavori.
Il codominio, in difesa, chiamò in causa la ditta appaltatrice dei lavori quale asserita unica responsabile per il pregiudizio lamentato dagli attori.
In prima battuta i giudici di prime cure condannarono al risarcimento il solo appaltatore. Al contrario, i giudici della Corte d’Appello riformarono parzialmente la sentenza di primo grado e condannarono per una parte anche il condominio committente. Secondi i giudici la colpa sia del committente sia dell’appaltatore sarebbe consistita, rispettivamente, nella programmazione dei lavori in un periodo tipicamente piovoso, come quello autunnale, e nell’aver accettato detta pianificazione, oltre che, alla luce di ciò, nell’aver omesso di predisporre le opportune precauzioni nell’esecuzione dei lavori.
Il ricorso in Cassazione è stato proposto da una parte del condominio (“Condominio scala D”)[1] nonchè da alcuni condomini. La ditta appaltatrice è rimasta inattiva. Mentre i proprietari dell’appartamento, oltre che costituirsi, hanno proposto ricorso incidentale.
Di seguito si affrontano i passaggi più interessanti della sentenza in esame.
2. LE QUESTIONI PRELIMINARI: L’ISTANZA DI TRATTAZIONE E LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA
In relazione alla prima questione preliminare, cominciamo, anzitutto, col dire che: 1) l’art. 26 Legge 12 novembre 2011 n. 183 stabiliva che le impugnazioni erano da considerarsi rinunciate “se nessuna delle parti … dichiara[va] la persistenza dell’interesse alla loro trattazione”[2]; 2) tale disposizione normativa è stata abrogata dalla Legge 17 febbraio 2012, n. 10, che ha convertito con modificazioni il Decreto Legge 22 dicembre 2011 n. 212.
Alla luce di questa novità, ad oggi risulterebbe inutile discutere di ciò se non fosse che nel caso di specie sussisteva ancora tale obbligo in capo alle parti. Vale, quindi, la pena spendere qualche parola a riguardo.
Dunque, nel caso in esame è successo che lo scorso gennaio i condomini, ricorrenti principali in Cassazione, hanno depositato, appunto, l’istanza ai sensi dell’ormai abrogato e sopra menzionato art. 26, manifestando così la persistenza del loro interesse alla trattazione del procedimento[3].
A questo punto, i giudici di Piazza Cavour si sono domandati se la suddetta iniziativa avrebbe consentito loro di esaminare e decidere anche sul ricorso incidentale, per il quale, al contrario, nessuna istanza di trattazione era stata presentata dai controricorrenti.
Al quesito i giudici hanno risposto affermativamente, già in forza della sola interpretazione letterale.
Inoltre, per attuare il principio di unità del giudizio di impugnazione ex art. 333 cod. proc. civ., secondo il quale ai fini di unità del procedimento il ricorso incidentale si introduce, a pena di decadenza, nel processo instaurato mediante ricorso principale.
Infine, per garantire il rispetto dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso.
Per tutti i motivi appena elencati i giudici hanno deciso che bastasse l’istanza alla trattazione del procedimento presentata anche da una sola delle parti per poter esaminare anche i ricorsi delle altre.
Venendo alla seconda delle questioni preliminari, i controricorrenti hanno eccepito il difetto di legittimazione sia del Condominio scala D sia dei condomini, sulla base del fatto che parte dei precedenti gradi di giudizio era stato il Condominio per intero.
Ora, da un lato i giudici hanno chiarito che, premesso che il Condominio sta in giudizio in persona dell’amministratore, ciò non priva i singoli condomini del loro diritto di agire in giudizio per evitare gli effetti di una sentenza sfavorevole per la collettività condominiale, nonostante l’amministratore non intenda impugnare detto provvedimento.[4]
Dall’altro, i giudici hanno però accolto l’eccezione con riferimento al Condominio scala D, soggetto diverso dall’intero condominio, che, in qualità di committente e parte processuale nelle precedenti fasi di giudizio, è stato condannato al risarcimento dei danni. A nulla è valso che la persona rappresentante in giudizio il Condominio scala D fosse la stessa che in precedenza aveva rappresentato l’intero condominio.
Si è dunque proceduti con la trattazione dei motivi di ricorso, in via principale, dei condomini e, in via incidentale, dei proprietari controricorrenti.
3. SULL’EVENTUALE RESPONSABILITÀ DEL COMMITTENTE
In apertura di questo paragrafo bisogna subito evidenziare il principio ormai consolidato che regola il contratto d’appalto, ossia che “l’autonomia dell’appaltatore il quale esplica la sua attività nell’esecuzione dell’opera assunta con propria organizzazione apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, l’appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera”.[5]
Ciò premesso, nel nostro caso i ricorrenti principali si son lamentati, tra l’altro, del fatto che i giudici di merito avessero riconosciuto e dichiarato la responsabilità in capo al condominio, sebbene il contratto d’appalto in questione contenesse una clausola di responsabilità esclusiva dell’appaltatore in relazione a qualsivoglia danno ai terzi derivante dalla sua prestazione.
Tuttavia, gli ermellini, nel confutare la suddetta argomentazione, hanno precisato che una previsione contrattuale del genere non può garantire riparo a una parte nei confronti di quei terzi che agiscono per il risarcimento dei danni. A ben riflettere, tale soluzione è ricavabile dal principio generale ex art. 1372 cod. civ., secondo cui il contratto ha efficacia tra le parti, esplicando effetti nei confronti dei terzi solo nei casi previsti dalla legge.
Detto questo il contratto non ha la forza di vincolare il terzo nella scelta della parte contro cui agire in giudizio per il risarcimento dei danni derivatigli dall’esecuzione dello stesso.[6] In caso contrario si assisterebbe a un’irragionevole contrazione della tutela del suo diritto.
Inoltre, secondo i condomini nel caso di specie non si era verificata nemmeno una di quelle condizioni che consentono di affermare la responsabilità del committente.
In effetti esistono talune eccezioni al principio per cui l’appaltatore è unico responsabile.
Si tratta, per esempio, di quei casi in cui al committente è imputabile una culpa in eligendo, “che ricorre qualora il compimento dell’opera o del servizio siano stati affidati ad un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi”[7], o una culpa in vigilando, per non aver fatto adeguato uso dei poteri conferitigli ex art. 1662 cod. civ.[8]
Ancora, si pensi al caso in cui il committente abbia ridotto l’appaltatore a nudus minister, ossia mero esecutore dei suoi ordini, così spogliandolo di quell’autonomia nell’esecuzione dell’opera che è invece una caratteristica dello schema contrattuale dell’appalto; o quando il committente abbia condizionato le modalità esecutive del contratto, concordandole o meno con l’appaltatore.[9]
Ebbene, in casi del genere il committente, in deroga al suddetto principio, potrà rispondere direttamente per i danni patiti dai terzi e derivanti dall’esecuzione del contratto d’appalto.
I condomini hanno ulteriormente contestato la decisione dei giudici d’appello nella parte in cui essi hanno addebitato al committente la programmazione dei lavori in un periodo tipicamente piovoso quale è autunno, traendo da ciò motivo per ritenerlo responsabile. A detta dei ricorrenti però la data dei lavori era stata pattuita con la ditta appaltatrice.
Tuttavia, a prescindere dalla pattuizione o meno del periodo dei lavori, per i giudici di Cassazione spetta comunque all’appaltatore organizzare le proprie risorse e predisporre le appropriate precauzioni, tenuto anche conto delle condizioni atmosferiche prevedibili nel periodo programmato per i lavori.
Alla luce di quanto esposto, i giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che “la Corte d’appello [abbia] attribuito la corresponsabilità dell’accaduto … al Condominio committente, in un caso nel quale essa non era configurabile”.
4. L’INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO INCIDENTALE
Come si evince dal titolo del paragrafo, il ricorso dei controricorrenti è stato dichiarato inammissibile. In particolare, i sette motivi del ricorso incidentale sono stati spazzati via con un’unica motivazione.
I giudici di Cassazione hanno, infatti e anzitutto, richiamato il loro insegnamento[10], secondo cui il ricorso, sia principale sia incidentale, deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa. E’ questa la regola che si ricava dal combinato disposto degli artt. 366, co. 1, 3), e 371, co. 3, c.p.c.
Ciò che si richiede è un’esposizione che, seppur sommaria, sia comunque chiara e sufficientemente completa; tale, insomma, da permettere al Collegio di comprendere il significato e il valore dei motivi del ricorso.
A tal proposito, si riporta certa giurisprudenza di legittimità che ha considerato valida quell’esposizione del ricorso che consenta “l’immediata percezione delle censure sollevate, senza dover ricorrere ad altri atti del processo” o ad altre fonti. [11]
Alla luce della suddetta finalità, è facile comprendere la ragione per cui debba dichiararsi inammissibile quel ricorso in cui la rappresentazione dei fatti manca del tutto o è insufficiente.[12] Ed è quanto accaduto, appunto, nel caso in esame, dal momento che il ricorso incidentale presentava, nel suo complesso, un’esposizione dei fatti frammentaria, confusa e in alcune parti anche lacunosa.
L’incompletezza che permeava l’intero ricorso incidentale non ha perciò permesso ai giudici di cogliere gli elementi essenziali per una corretta trattazione dello stesso; l’insufficiente contenuto non ha infatti consentito ai giudici di appurare la bontà e la fondatezza delle contestazioni mosse alla sentenza della Corte d’appello, concernenti sia il rito che il merito della controversia.
E’ dunque bastato quest’unico e rilevante motivo per dichiarare inammissibile il ricorso incidentale in questione.
5. CONCLUSIONI
In conclusione, i giudici, quanto alle questioni preliminarmente esaminate, hanno riconosciuto l’estensione dell’efficacia dell’istanza di trattazione, presentata dai ricorrenti principali, nei confronti del ricorso incidentale; e hanno accolto l’eccezione di difetto di legittimazione soltanto nei confronti del Condominio Scala D.
Quanto ai ricorsi, i giudici hanno dichiarato inammissibile l’intero ricorso incidentale e accolto il ricorso principale, con esclusione del motivo a sostegno dell’esclusiva responsabilità dell’appaltatore in forza della clausola contrattuale.
Sulla base di quanto detto sopra, la causa è stata così rinviata ad altra sezione della Corte d’appello.
[1] Il condominio parziale è una figura che in pratica semplifica la gestione dei rapporti della collettività condominiale. Ad esempio, quando in assemblea si deve discutere di argomenti che interessano la comunione di determinati beni o servizi limitati soltanto a una parte dei condomini, il quorum, e costitutivo e deliberativo, va calcolato in relazione ai soggetti effettivamente interessati e coinvolti nella questione.
Sulla configurabilità del condominio parziale si veda: Cass. civ., Sez. II, 27 settembre 1994 n. 7885, in Riv. giur. edilizia 1995, I, 331 con nota di DE TILLA e in Giur. it. 1995, I, 1, 2108; Cass. civ., Sez. II, 28 aprile 2004, n. 8136, in Giust. civ. Mass. 2004, 4; Cass. civ., Sez. II, 24 novembre 2010, n. 23851, in Giust. civ. Mass. 2010, 11, 1505 e in Riv. giur. edilizia 2011, 2-3, I, 484.
[2] Tale articolo, prima di essere abrogato, è stato modificato dall’art. 14 del Decreto Legge 22 dicembre 2011 n. 212.
[3] L’obbligo di presentare l’istanza di trattazione, con dichiarazione della persistenza dell’interesse, sussisteva in relazione sia ai procedimenti pendenti innanzi alla Corte di Cassazione per impugnazione di provvedimenti pubblicati prima del 4 luglio 2009 (data di entrata in vigore della legge n. 69/2009), sia ai procedimenti pendenti innanzi alla Corte d’Appello nel periodo antecedente il 1° gennaio 2009.
Detto obbligo imponeva agli interessati di presentare l’istanza in questione entro e non oltre il 30 giugno 2012, ossia entro 6 mesi dall’entrata in vigore del Decreto 212/2011 (1° gennaio 2012).
[4] Cfr. Cass. civ., Sez. II, 28 agosto 2002, n. 12588, in Il civilista, 2010, 9, 27 (s.m.) con nota di PIANEZZE; Cass. civ., Sez. II, 7 agosto 2002, n. 11882, in Giust. civ. Mass. 2002, 1498; Cass. civ., Sez. II, 11 novembre 2004, n. 21418; Cass. civ., Sez. II, 21 febbraio 2007, n. 4014; Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 2011, n. 10717, in Giust. civ. Mass. 2011, 5, 750.
[5] Cass. civ., Sez. III, 21 giugno 2004, n. 11478, in Giust. civ. Mass. 2004, 6.
[6] Cass. civ., Sez. Un., 14 ottobre 1980, n. 5496, in Giust. civ. 1981, I,537.
[7] Cass. civ., Sez. lav., 27 maggio 2011, n. 11757, in Guida al diritto 2011, 28, 64 (s.m.) e in Giust. civ. Mass. 2011, 5, 818.
[8] Il potere di verificare l’andamento dei lavori ha la funzione di consentire l’intervento del committente per rimediare a eventuali irregolarità. Tuttavia deve trattarsi di una verifica giustificata, senza che il committente sconvolga l’ordinario andamento dei lavori, né la attui con spirito vessatorio. La verifica finale è volta invece ad accertare la bontà dell’opera ormai completa, per poter decidere se accettarla o meno.
[9] Cass. n. 11478/2004 cit.; Cass. civ., Sez. III, 1° giugno 2006, n. 13131, in Giust. civ. Mass. 2006, 6; Cass. civ., Sez. III, 30 settembre 2008, n. 24320, in Giust. civ. Mass. 2008, 9, 1405, e in Diritto & Giustizia 2008.
[10] Cass. civ., Sez. III, 3 giugno 2002, n. 7998, in Giust. civ. Mass. 2002, 949; Cass. civ., Sez. III, 29 luglio 2004, n. 14474, in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8; Cass. civ., Sez. III, 11 ottobre 2005, n. 19756, in Giust. civ. Mass. 2005, 10; da ultimo, Cass. civ., Sez. III, 8 gennaio 2010, n. 76, in Giust. civ. Mass. 2010, 1, 25.
[11] Così Cass. civ., Sez. III, 3 febbraio 1999, n. 921, in Giust. civ. Mass. 1999, 247. Conformemente: Cass. civ., Sez. II, 25 gennaio 2000, n. 822, in Giust. civ. Mass. 2000, 137; Cass. civ., Sez. lavoro, 11 luglio 2000, n. 9206, in Giust. civ. Mass. 2000, 1531; Cass. civ., Sez. II, 22 febbraio 2001, n. 2613, in Giust. civ. Mass. 2001, 304.
[12] E’ stato affermato che il requisito della sommaria esposizione dei fatti non può considerarsi rispettato “quando il ricorrente si limiti ad una brevissima ed insufficiente narrativa della vicenda processuale, integrandone il contenuto mediante “spillatura” al ricorso di copia della sentenza impugnata”, Cass. civ., Sez. I, 27 febbraio 2009, n. 4823, in Giust. civ. Mass. 2009, 2, 334.