GIUDIZIO D’APPELLO. DOMANDA SUBORDINATA NON RIPROPOSTA? IL SUO ESAME È PRECLUSO
Cassazione, sez. III, 18 aprile 2012, n. 6064
In tema di impugnazioni, la parte integralmente vittoriosa in primo grado, qualora abbia in detto grado proposto, oltre alla domanda principale integralmente accolta, anche una domanda subordinata assorbita dall’accoglimento della domanda principale, è tenuta, in caso di appello della controparte, a riprodurre la relativa questione al giudice dell’impugnazione; tale riproposizione, peraltro, può ritenersi rituale ai sensi dell’art. 346 c.p.c., solo se la relativa domanda sia proposta con chiarezza e precisione sufficienti a renderla inequivocamente intellegibile per la controparte ed il giudicante
Cassazione, sez. III, 18 aprile 2012, n. 6064
(Pres. Petti – Rel. D’Amico)
Svolgimento del processo
F..R. convenne dinanzi al Giudice di Pace di Alatri A..L. chiedendo il risarcimento dei danni che asseriva di aver subito in seguito all’aggressione di un cane lupo proveniente dalla proprietà dello stesso L. .
Il convenuto si costituiva sostenendo la propria estraneità alla vicenda per cui è causa e presentava domanda riconvenzionale per lite temeraria.
Il Giudice di Pace rigettava la domanda attrice e la domanda riconvenzionale.
La sentenza veniva impugnata da F..R. il quale riteneva non correttamente applicato il criterio di imputazione della responsabilità dell’art. 2052 c.c..
Il Tribunale respingeva l’appello proposto difettando la prova del nesso causale tra il comportamento dell’animale e l’evento dannoso.
Propone ricorso per cassazione F..R. con quattro motivi e presenta memoria.
Resiste con controricorso A..L. .
Motivi della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 333, 343 e 345 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.); illogicità, erronea rappresentazione dei fatti e dei presupposti processuali e contraddittorietà della sentenza gravata (art. 360, n. 5, c.p.c.), laddove il giudice d’appello ritiene che non fosse necessaria la proposizione di appello incidentale, pur avendo, il primo giudice, ritenuta e sussistente e veritiera la rappresentazione attorea dei fatti per come giudizialmente accertata e laddove il Tribunale omette di considerare che, in primo grado, l’aspetto dell’esistenza di nesso di causalità non risultava in alcun modo contestato dal convenuto nella sua comparsa di costituzione”.
Secondo parte ricorrente la Corte d’Appello ha errato laddove non ha ritenuto necessario un appello incidentale da parte dell’appellato, in ordine all’insussistenza del nesso eziologico tra condotta dell’animale e lesioni lamentate.
Dall’altro lato lo stesso ricorrente lamenta che il problema del nesso causale non è stato introdotto con la comparsa di costituzione di primo grado e configura pertanto una domanda nuova.
Il motivo è infondato.
In tema di impugnazioni, la parte integralmente vittoriosa in primo grado, qualora abbia in detto grado proposto, oltre alla domanda principale integralmente accolta, anche una domanda subordinata assorbita dall’accoglimento della domanda principale, è tenuta, in caso di appello della controparte, a riprodurre la relativa questione al giudice dell’impugnazione; tale riproposizione, peraltro, può ritenersi rituale ai sensi dell’art. 346 c.p.c., solo se la relativa domanda sia proposta con chiarezza e precisione sufficienti a renderla inequivocamente intellegibile per la controparte ed il giudicante (Cass., 14 dicembre 2005, n. 27570; Cass., 19 luglio 2005, n. 15223).
Nel caso in esame l’impugnata sentenza ha correttamente rilevato che la parte integralmente vittoriosa nel merito non aveva l’onere di proporre appello incidentale avendo il giudice di prime cure ritenuto assorbita la questione del nesso di causalità, reputando pregiudiziale quella della legittimazione.
Con il secondo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione artt. 116 e 257 c.p.c., nonché 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; Insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Secondo parte ricorrente il Tribunale avrebbe dovuto riconvocare la teste oculare C..R. ex art. 257 c.p.c. ed assumere personalmente le dichiarazioni necessarie, al fine di ricostruire correttamente il fatto e chiarire la effettiva dinamica dell’aggressione.
Contesta ancora parte ricorrente che il medesimo giudice non ha tenuto in considerazione le dichiarazioni degli altri testi ed in particolare la dichiarazione del L. , il quale non avrebbe mai contestato l’avvenuta verificazione del fatto.
Secondo il ricorrente il L. si è limitato a contestare solo l’aspetto della carenza della sua legittimazione passiva, non disconoscendo l’accaduto e non contestando l’attribuzione dell’aggressione a quel cane.
In conclusione, secondo R. , il Tribunale ha errato nella valutazione delle prove, in presenza di fatti pacifici e incontestati.
Con il terzo motivo si denuncia “Violazione e inapplicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e omessa, insufficiente, contraddittoria – e, comunque, illogica – motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 cpc nn. 3 e 5.”.
Secondo parte ricorrente la natura probabilistica dell’accertamento avrebbe dovuto richiedere l’individuazione che viceversa è mancata, del grado di conoscenza circa l’esistenza del nesso causale che la presunzione ha fornito. Il Tribunale non ha tenuto conto che la presunzione (di causalità) si fonda su circostanze di fatto corrette e rilevanti; non ha tenuto conto delle deposizioni dei testimoni dalle quali emergono circostanze di fatto che conducono a concludere per l’esistenza del nesso causale tra l’aggressione di quel cane e le lesioni subite, incorrendo in tal modo nel vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia e, di conseguenza, di illogicità della sentenza gravata.
Con il quarto motivo si denuncia “Violazione e inapplicazione degli artt. 359 e 257 ult. Co. cpc e omessa, insufficiente, contraddittoria – e, comunque, illogica motivazione su punto decisivo della controversia (altro profilo) in relazione, rispettivamente, all’art. 360 cpc nn. 3 e 5”.
Secondo parte ricorrente il Tribunale, fondando la propria decisione sulla dichiarazione resa da C..R. e rilevando che detta dichiarazione è contraddittoria e non chiarificatrice delle circostanze, per come avvenute, avrebbe dovuto disporre il riesame della teste così da assumere personalmente quei chiarimenti che si ritenevano utili ai fini del decidere e dirimere le contraddittorietà emerse nella prima audizione.
I motivi 2, 3 e 4, che per via della loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può infatti rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 6 aprile 2011, n. 7921).
Nel caso in esame:
1) il L. non era presente sul luogo del sinistro e pertanto nulla poteva dire sulle circostanze dello stesso;
2) i veterinari hanno parlato del cane morsicatore facendo riferimento al cane indicato dal danneggiato;
3) dalla testimonianza di C..R. emerge che la stessa non ha assistito al morso; essa ha però riferito che sulla scena vi erano altri cani.
Emerge dalle esposte circostanze che il danneggiato non ha provato i fatti sui quali si fonda la sua domanda e non ha dimostrato in particolare quale cane lo abbia aggredito rimanendo così non provato il nesso di causalità tra la condotta del cane del L. e l’evento lesivo denunciato.
Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere in conclusione rigettato mentre la peculiarità della fattispecie induce a ritenere che sussistano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.