APPALTO E RICONOSCIMENTO IMPLICITO DEI VIZI DA PARTE DELL’APPALTATORE: NUOVA LUCE SU GARANZIA, NOVAZIONE E PRESCRIZIONE
Cassazione, sez. III, 20 aprile 2012, n. 6263
Il riconoscimento implicito dei vizi da parte dell’appaltatore (con l’attivazione di una condotta incompatibile con la volontà di avvalersi degli originari termini di garanzia) conduce ad escludere l’applicabilità dei limiti di cui all’art. 1667 c.c.: limiti, sia decadenziali, sia prescrizionali.
L’impegno dell’appaltatore – attivatosi per l’eliminazione dei vizi – non rappresenta, infatti, un quid novi con effetto estintivo/modificativo della garanzia (così S.U. in tema di compravendita), ma semplicemente un quid pluris che serve ad ampliarne le modalità di attuazione, nel senso di consentire al committente di essere svincolato dalle condizioni e dai termini di cui all’art. 1667 c.c., come la prescrizione biennale rispetto a quella decennale.
In sostanza l’appaltatore – con l’assunzione dell’attività diretta all’eliminazione dei vizi – pone in essere un comportamento finalizzato a fare ottenere al committente il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di appalto; ovvero il suo esatto adempimento.
Ed allora, non può ragionevolmente escludersi che il riconoscimento operoso – sia pure implicito, attraverso una condotta finalizzata ad ottenere l’esatto adempimento della prestazione ed il conseguimento del risultato per il committente – dell’appaltatore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul piano funzionale, una fase del rapporto fra le parti, ivi comprese le limitazioni temporali connesse con le esigenze di stabilità negoziale, con la sostituzione, agli originari termini dell’ordinaria regula iuris della prescrizione ordinaria, derivante dal nuovo assetto di interessi, diritti ed obblighi (riparazione/sostituzione) delle parti.
Cassazione, sez. III, 20 aprile 2012, n. 6263
Presidente Trifone – Relatore Vivaldi
Svolgimento del processo
1. R..Z. e R..P. , coniugi in regime di comunione dei beni, convennero, davanti al tribunale di Udine la srl F. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, ovvero alla diretta esecuzione dei lavori, per l’esistenza dei vizi riscontrati nell’appartamento acquistato dalla convenuta, oggetto anche di accertamento tecnico preventivo, nell’ambito del quale la perizia eseguita aveva verificato l’esistenza di gravi difetti costruttivi, riconducibili alla negligenza di F. srl nell’edificazione del fabbricato.
La società convenuta, costituitasi, contestava la fondatezza della domanda eccependo tempestività ed ammissibilità dell’azione, con riferimento ai termini di prescrizione e di decadenza.
Chiamava, quindi, in causa la Cooperativa Applicatori srl che aveva eseguito, in relazione agli inconvenienti lamentati, le opere di impermeabilizzazione.
Il tribunale, con sentenza dell’8.2.2006, rigettò la domanda.
Ad eguale conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con sentenza del 20.10.2009, rigettò l’appello proposto dai coniugi Z. .
Questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memorie.
Ha resistito con controricorso illustrato da memoria F. srl.
La causa originariamente trattata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata rinviata dalla Corte alla pubblica udienza.
Le parti hanno anche depositato memoria.
I ricorrenti hanno depositato note di udienza.
Motivi della decisione
2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2691 cc, 115 e 116 c.p.c., nonché artt. 1669, 2946 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3r c.p.c.).
Con il secondo motivo si denuncia la motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c.). I due motivi, per l’intima connessione delle censure con gli stessi proposte, sono trattati congiuntamente. 2.1 Essi sono fondati per le ragioni che seguono. Circostanze di fatto sono le seguenti: a) l’appartamento di proprietà degli attuali ricorrenti nel corso degli anni, dal momento del suo acquisto, era stato oggetto di frequenti infiltrazioni di acqua, così come la cantina e l’autorimessa; b) nel novembre 1997 la causa delle infiltrazioni era stata addebitata alla insufficienza delle opere di impermeabilizzazione, causa delle infiltrazioni lamentate, e si era provveduto, ad opera della società costruttrice – con l’esecuzione di tali opere da parte della Cooperativa Applicatori srl – ad un intervento effettuato mediante introduzione di silicone; intervento che si era dimostrato insufficiente; ciò che era stato ribadito con nota del 12.11.2000, ed aveva condotto gli attuali ricorrenti a richiedere un accertamento tecnico preventivo nell’ambito del quale il c.t. nominato aveva evidenziato – secondo la tesi degli originari attori – l’esistenza di vizi costruttivi.
2.2 La Corte di merito ha fondato il rigetto dell’appello su due argomenti:
Il primo, in ordine al riconoscimento dei vizi da parte di F. srl per facta concludentia.
La Corte, sul punto, ha affermato: “Non appare certamente possibile (tra l’altro a rito processuale profondamente mutato, con ben altro regime preclusivo su eccezioni e domande) introdurre nel giudizio di gravame addirittura una richiesta di accertamento che vi è stato riconoscimento, quantomeno per fatti concludenti, dei vizi da parte di F. s.r.l. e che… quindi… la presente azione non è soggetta ai termini di prescrizione e decadenza previsti per l’obbligazione di garanzia dell’appaltatore, bensì solo al termine di prescrizione ordinaria, precisando. Laddove in primo grado una domanda sul punto è senz’altro mancata, con ogni conseguenza sullo spettro di accertamenti e attività processuali compiuti”.
E concludendo per l’inammissibilità della contro eccezione di interruzione della prescrizione – a seguito degli interventi di siliconatura effettuati dalla F. srl, con il conseguente riconoscimento dei vizi per fatti concludenti – nel giudizio di appello.
3. Una tale conclusione in diritto è errata.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 27.7.2005 n. 15661, hanno affermato che, nel nostro ordinamento, le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare; e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale).
3.1. L’eccezione di interruzione della prescrizione, invece, – statuisce la Corte – integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, dovendosi escludere, altresì, che la rilevabilità ad istanza di parte possa giustificarsi in ragione della (normale) rilevabilità soltanto ad istanza di parte dell’eccezione di prescrizione; e ciò perché non ha fondamento di diritto positivo assimilare al regime di rilevazione di una eccezione in senso stretto quello di una controeccezione, quale è l’interruzione della prescrizione.
3.3. La giurisprudenza successiva della Corte di cassazione si è uniformata a tale indirizzo (v. Cass. 14.7.2010 n. 16542; Cass. 12.8.2009 n. 18250; v. anche Cass. ord. 21.2.2011 n. 4238); con la conseguente rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del processo.
Unico limite è che essa si fondi su allegazioni o prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo.
3.4. Nella specie, la controeccezione di interruzione della prescrizione, per il riconoscimento dei vizi, quantomeno per fatti concludenti, è stata sollevata – a fronte della decisione di primo grado che ha riconosciuta prescritta l’azione proposta – nel giudizio di appello, ma sulla base di fatti e circostanze già acquisiti nel giudizio di primo grado, come emerge dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado e correttamente indicata in ricorso (pag. 12 in particolare).
Perfettamente in termini era, quindi, la sua proposizione.
4. Emerge, poi, dalla sentenza impugnata che gli interventi di siliconatura ed impermeabilizzazione effettuati per conto della società costruttrice F. srl – a seguito delle frequenti infiltrazioni lamentate dagli odierni ricorrenti, con danni sempre più gravi all’immobile, alla cantina ed all’autorimessa – non sortirono l’effetto desiderato.
4.1. I vizi, in quel momento, si riteneva essere dovuti alla insufficiente impermeabilizzazione delle terrazze, ed in tal senso – ha rilevato la Corte di merito (pagg. 15-16 della sentenza) – depone la lettere del 25.11.1997 (cui si aggiunse, nella persistenza dei vizi lamentati, quella del 12.11.2000), che sollecitava l’intervento della società costruttrice, ed alla quale si richiama la Corte di merito per inferirne un pregressa conoscenza dei vizi esistenti da parte dei coniugi Z. .
4.2. L’intervento, però – come si legge nella parte espositiva della sentenza impugnata – si rivelò controproducente, tanto da condurre i proprietari a richiedere un accertamento tecnico preventivo datato 31.3.2001, il quale verificò l’esistenza di gravi vizi costruttivi e strutturali.
4.3. Ora, da un lato deve sottolinearsi che l’intervento operato dalla società costruttrice – anche se attraverso il concreto espletamento da parte di terzi (Applicatori scarl) e nel diniego formale dell’esistenza di vizi tali da giustificare l’intervento del costruttore -, con riferimento ai supposti vizi dovuti all’insufficiente impermeabilizzazione, non può che intendersi come conseguenza di un riconoscimento implicito degli stessi;
dato – questo – che consente di bypassare l’elemento dell’impegno alla loro eliminazione, in concreto già effettuato con l’intervento riparatore.
4.4. E, sotto questo profilo, la giurisprudenza della Corte di legittimità è nel senso che il riconoscimento dell’appaltatore di vizi e difformità dell’opera, perché sia valido agli effetti dell’articolo 1667, secondo comma, seconda parte, c.c., non deve accompagnarsi ad una confessione stragiudiziale della sua responsabilità; con la conseguente superfluità – in questo caso – della denuncia del committente prescritta a pena di decadenza (v. ad es. Cass. 24.11.2008 n. 27948).
4.5. Erra, pertanto, la Corte di merito, la quale, sull’affermato presupposto della novità dell’eccezione di interruzione della prescrizione fondata sul riconoscimento dei vizi, introdotta solo in appello, ha ritenuto gli odierni ricorrenti decaduti dall’azione di garanzia e prescritta l’azione.
5. Sotto questo profilo, è da rilevarsi che è principio enunciato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità quello per cui un tale riconoscimento, da parte dell’appaltatore, oltre a rendere superflua la tempestiva denuncia da parte del committente comporta l’assunzione di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa da quella originaria, svincolata dai termini di decadenza e soggetta al solo termine prescrizionale ordinario (Cass. 10.9.2009 n. 19560; Cass. 16.12.2004 n. 23461; Cass. 27.4.2004 n. 8026; v. anche Cass. 29.9.2009 n. 20853).
5.1. Ritiene questo Collegio che un tale risultato – con la soggezione al solo termine prescrizionale ordinario – possa essere perseguito anche senza ricorrere all’artificio giuridico della novazione della originaria obbligazione di garanzia dando seguito, anche in materia di appalto, alla giurisprudenza di questa Corte enunciata da Cass. 14.1.2011 n. 747 in materia di compravendita.
5.2. Con quest’ultima pronuncia la Corte ha ritenuto che il principio di diritto enunciato, in tema di compravendita da S.U. 21.6.2005 n. 13294, – per il quale l’impegno del debitore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) di per sé non da vita ad una nuova obbligazione estintiva – sostitutiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 cod. civ. – in ipotesi di domanda di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo sia predicabile anche qualora il compratore agisca per l’esatto adempimento dell’obbligo di riparazione o sostituzione della res.
5.3. In questo caso, l’assunzione spontanea da parte del debitore, sulla base del riconoscimento dell’esistenza dei vizi, non determina un effetto novativo dell’obbligazione originaria e la prescrizione – venuta meno la regola eccezionale dell’art. 1495 c.c. – decorre secondo l’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c..
5.4. Nel caso in esame gli attuali ricorrenti avevano chiesto di accertare i gravi difetti costruttivi al fine di ottenere “o il risarcimento del danno ovvero l’esecuzione delle opere necessarie per l’eliminazione dei vizi”.
I committenti, quindi, non avevano ritenuto di esercitare, né il diritto alla risoluzione, né alla riduzione del prezzo, ma si erano determinati ad agire per l’esatto adempimento dell’obbligo di garanzia attraverso l’esecuzione delle opere necessarie all’eliminazione dei vizi.
La società costruttrice aveva implicitamente riconosciuto – come già detto con l’esecuzione di opere finalizzate alla loro eliminazione ad opera di terzi – l’esistenza dei vizi, in un primo tempo ritenuti difetti di impermeabilizzazione, pur avendo invocato la decadenza e prescrizione ed avendo – formalmente – contestato la loro esistenza.
5.5. Ora, l’art. 1667, secondo comma c.p.c. – in tema di garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera – prevede che il committente debba, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta, ma che la denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.
Ed il terzo comma della stessa disposizione disciplina la prescrizione dell’azione di garanzia stabilendo che l’azione contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera, ma il committente, convenuto per il pagamento, può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.
6. Si tratta di stabilire se all’azione di garanzia – in tema di appalto – che si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera, intesa (anche) come azione di esatto adempimento dell’obbligo sostitutivo – riparatorio – possa ritenersi, o meno, applicabile, il principio, enunciato da Cass. 14.1.2011 n. 747 in materia di esatto adempimento in tema di compravendita con l’esclusione di qualsiasi effetto novativo della originaria obbligazione.
6.1. La volontà dell’appaltatore è integrata da un tacere che si sostanzia nella concreta attività di eliminazione dei vizi assunta spontaneamente, a fronte di una accettazione, in tal senso, da parte del committente. Con ciò può dirsi estinta la precedente obbligazione di garanzia, trasfusa in un nuovo, autonomo obbligo, consistente nella eliminazione dei vizi, come richiesto dalla controparte che abbia preferito agire per l’esatto adempimento.
6.2. Anche in tal caso, peraltro, può ritenersi superato il riferimento alla novazione, alla luce della qualificazione dell’impegno dell’appaltatore in termini di attuazione della precedente obbligazione, al fine di realizzare il risultato economico – non ancora conseguito – che il committente intendeva conseguire con la conclusione del contratto di appalto.
6.3. In questo senso, attraverso il richiamo alle regole di cui agli artt. 1176 c.c. in tema di diligenza nell’adempimento e 2058 c.c. in tema di adempimento in forma specifica, utilizzabile anche nell’ambito del contratto di appalto (arg. a contrario anche da Cass.18.4.2011 n. 8889), l’impegno sostitutivo riparatorio può finire per essere ricompreso all’interno del momento funzionale del rapporto obbligatorio, con esclusione della necessità di ricorrere alla novazione dell’originario rapporto.
7. Una volta escluso l’effetto novativo per le ragioni dette, il problema di sposta sul termine di prescrizione applicabile, vale a dire se il diritto azionato dagli originari attori sia soggetto alla prescrizione biennale prevista dall’art. 1667, terzo comma c.p.c. ovvero a quella ordinaria decennale, ex art. 2946 c.c..
8. In questa ottica il riconoscimento implicito dei vizi da parte dell’appaltatore (con l’attivazione di una condotta incompatibile con la volontà di avvalersi degli originari termini di garanzia) conduce ad escludere l’applicabilità dei limiti di cui all’art. 1667 c.c.: limiti, sia decadenziali, sia prescrizionali.
8.1. La ratio di una tale conclusione la si ritrova nei principi posti a base della decisione dalla richiamata S.U. 21.6.2005 n. 13294, una volta ritenuto che sia predicabile una omogeneità di presupposti fra i due istituti contrattuali (compravendita ed appalto) in relazione alla questione della garanzia per i vizi.
9. L’impegno dell’appaltatore – attivatosi per l’eliminazione dei vizi – non rappresenta, infatti, un quid novi con effetto estintivo/modificativo della garanzia (così S.U. in tema di compravendita), ma semplicemente un quid pluris che serve ad ampliarne le modalità di attuazione, nel senso di consentire al committente di essere svincolato dalle condizioni e dai termini di cui all’art. 1667 c.c., come la prescrizione biennale rispetto a quella decennale.
9.1. In sostanza l’appaltatore – con l’assunzione dell’attività diretta all’eliminazione dei vizi – pone in essere un comportamento finalizzato a fare ottenere al committente il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di appalto; ovvero il suo esatto adempimento.
9.2. Ed allora, non può ragionevolmente escludersi che il riconoscimento operoso – sia pure implicito, attraverso una condotta finalizzata ad ottenere l’esatto adempimento della prestazione ed il conseguimento del risultato per il committente – dell’appaltatore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul piano funzionale, una fase del rapporto fra le parti, ivi comprese le limitazioni temporali connesse con le esigenze di stabilità negoziale, con la sostituzione, agli originari termini dell’ordinaria regula iuris della prescrizione ordinaria, derivante dal nuovo assetto di interessi, diritti ed obblighi (riparazione/sostituzione) delle parti.
10. Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione. Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione.