Nullità del contratto: può essere rilevata dal giudice se è stata proposta domanda di adempimento? Cassazione, sez. II, 30 aprile 2012, n. 6633

 

NULLITÀ DEL CONTRATTO: PUÒ ESSERE RILEVATA DAL GIUDICE SE È STATA PROPOSTA DOMANDA DI ADEMPIMENTO?

Cassazione, sez. II, 30 aprile 2012, n. 6633

Luca D’Apollo

 

Se la domanda di merito attiene alla risoluzione del contratto e non anche al relativo adempimento la dichiarazione di nullità del contratto non può essere rilevata di ufficio.

Questo principio di diritto è in attesa dell’imprimatur delle Sezioni Unite. Lo stesso tuttavia soffre delle eccezioni

Nel caso di specie, infatti, il contratto, diversamente qualificato e dichiarato nullo dai giudici di appello, era stato dalle ricorrenti dedotto a fondamento della domanda riconvenzionale, peraltro ribadita in secondo grado, di accertamento dell’avvenuto trasferimento di proprietà (o in subordine di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.).

Secondo la Cassazione la nullità richiesta di accertamento così proposta non snatura la concorrente richiesta di riduzione del prezzo (non implicante la risoluzione o la caducazione del negozio), e comporta la necessaria verifica, anche di ufficio, della validità del contratto stesso, quale necessario antecedente logico – giuridico dei diritti dallo stesso derivanti.

 

 

Cassazione, sez. II, 30 aprile 2012, n. 6633

(Pres. Rel. Piccialli)

 

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 14.12.98 le società A. s.r.l e V. s.r.l. citarono al giudizio del Tribunale di Venezia le società P. s.r.l. e Z. s.r.l., esponendo: che con scrittura privata del 20.4.98 si erano impegnate a vendere alla P., con facoltà di quest’ultima di designare un terzo destinatario dei trasferimenti, per i rispettivi prezzi di L. 500.000.000 e L. 2.000.000.000, la prima, un’azienda commerciale esercente attività di balneazione in (…), la secondagli immobili su cui insisteva il relativo complesso turistico; che la P., immessa contestualmente nel possesso del complesso, aveva versato a titolo di caparra confirmatoria la somma di L. 500.000.000, impegnandosi all’ulteriore pagamento di L. 400.000.000 entro il 30.9.98 ed al saldo all’atto del conseguimento del già richiesto finanziamento;che l’A. aveva dato esecuzione al contratto, trasferendo con atto pubblico del 3.6.98 l’azienda alla terza designata Z.; che quest’ultima, tuttavia, non aveva provveduto al saldo di L. 350.000.000 entro il 30.8.98, così come la P. si era resa inadempiente nel pagamento della rata di L. 400.000.000 in pari scadenza.

Su tali premesse e deducendo il grave inadempimento delle controparti, le attrici chiedevano, gradatamente: 1) dichiararsi legittimo il recesso di V. nei confronti di P., con diritto alla ritenzione della caparra, e risolversi per inadempimento di Z. il contratto del 3.6.98, con condanna della stessa alla restituzione dell’azienda ed al risarcimento dei danni in L. 250.000.000; 2) risolversi per inadempimento di P. il contratto concluso con V. il 20.4.98, con condanna dell’inadempiente al risarcimento dei danni in L. 100.000.000; 3) risolversi per inadempimento di P. i contratti del 20.4.98 stipulati con V. e A., dichiarandosi conseguentemente inefficace la designazione di terzo nella Z. e condannandosi quest’ultima alla restituzione dell’azienda.

Costituitesi le convenute, eccepivano che, contrariamente a quanto dichiarato e garantito dalle promittenti venditrici, i beni erano risultati in parte gravati da ipoteche ed esecuzioni immobiliari, in parte da vincolo di uso pubblico, che una delle particelle era stata, addirittura,  già venduta a terzi fin dal 1985, che le attrezzature e gli impianti non si trovavano in buono stato di manutenzione, per cui si erano rese necessarie spese per complessive L. 43.579, 210. Pertanto le convenute chiedevano respingersi, ex art. 1460 c.c., le avverse domande ed, in via riconvenzionale e gradatamente: I) accertato che la proprietà degli immobili era già stata trasferita a Z., in forza dell’originaria scrittura e della designazione del terzo, ridursi il prezzo in ragione di quanto sopra esposto e condannarsi le attrici al risarcimento dei danni; II) disporsi, ove ritenuto preliminare il contratto, il trasferimento ex art. 2932 c.c.; III) risolversi il contratto per inadempimento di V. e condannarsi la stessa al risarcimento dei danni in misura di almeno un miliardo di lire. Successivamente P. eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, in conseguenza dell’operata nomina di terzo in persona di Z..

Interrotto e poi riassunto il giudizio per il fallimento di A., la cui curatela non si costituiva intervenuta rinuncia da parte di Z. agli atti nei confronti del fallimento, a seguito di transazione con lo stesso conclusa, ammessa ed espletata consulenza tecnica e disattese le istanze istruttorie delle convenute, con sentenza non definitiva del 16.7.02 il Tribunale: dichiarava cessata la materia del contendere tra P., Z. ed il fallimento A.; accertata la natura di “preliminare improprio” del contratto stipulato il 20.4.98, dichiarava trasferiti in proprietà di Z., in virtù della nomina effettuata da P. con l’atto introduttivo del giudizio, i beni immobili indicati nel contratto di proprietà di V.; accertata la legittimità dell’eccezione ex art. 1460 c.c. sollevata dalle convenute, rigettava le domande nei confronti delle stesse proposte da V. e dichiarava il diritto di Z. alla riduzione del prezzo;riservava al prosieguo del giudizio le ulteriori questioni. Proposto appello da V., resistito da P. e Z., con proposizione da parte della prima di appello incidentale, contumace il fallimento di A., con sentenza del 19.12.06-11.7.07, la Corte di Venezia, “rigetta(va) parzialmente l’appello proposto da V. s.r.l…e, in parziale riforma della sentenza.., dichiara (va) la nullità del contratto stipulato in data 20.4.98, con il quale è stata trasferita la proprietà dei beni immobili ivi indicati a Z. s.r.l. per effetto della nomina di terzo effettuata da P. s.r.l….”, condannava quest’ultima e Z., in solido, a rifondere all’appellante le spese di entrambi i gradi di giudizio e poneva a carico della medesime quelle della consulenza tecnica di ufficio.

La corte lagunare, premessa la scindibilità dell’ormai definito rapporto tra le attrici ed A. (e per essa del relativo fallimento), confermato, quanto all’eccepito difetto di legittimazione passiva di P., che in mancanza di prova dell’electio amici e, comunque, di accettazione da parte di Z. anteriore al giudizio, soltanto con la costituzione delle convenute e con le rispettive richieste si fossero perfezionate detta nomina e la relativa accettazione, con conseguenti successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. e legittimazione processuale di entrambe, confermata altresì la natura immediatamente traslativa del contratto in data 20.4.98, desumile, al di là della nominale intestazione, dal complessivo tenore, sia letterale, sia sostanziale delle pattuizioni, dalla relativa esecuzione immediata della consegna e non esclusa dalla rateizzazione del prezzo, né dalla stipula in data 3.6.98 di una locazione degli immobili tra V. e Z. (che, anzi, la confermava, dandosi atto della già avvenuta alienazione A. – Z. dell’azienda e prevedendosi che il canone sarebbe stato scomputato dal prezzo di acquisto degli immobili, così integrando una sostanziale corresponsione anticipata del prezzo), pur rilevato che la maggior parte del prezzo non era stata ancora versata, riteneva tuttavia giustificato, dalla successiva scoperta delle ipoteche e delle procedure esecutive il mancato pagamento da parte delle acquirenti, che per liberare i beni dalle stesse avevano sopportato un costo complessivo, documentalmente provatoci circa un miliardo di lire, in ragione del quale l’effettivo valore dei beni stessi si riduceva all’incirca a quello, di L. 500.000.000, della caparra. Disatteso, per tali ragioni, l’appello di V., ne andava tuttavia accolta l’eccezione, sollevata nel corso del giudizio di secondo grado e, comunque, evidenziante un’invalidità rilevabile di ufficio ex art. 1421 c.c., in quanto afferente il negozio posto a base delle reciproche domande delle parti, di nullità del contrattoci sensi degli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 (il cui contenuto era stato poi ribadito dall’art. 46 L. 380/01), non essendo stati indicati gli estremi del permesso di costruire o di quello in sanatoria. Detta pronuncia assorbiva e rendeva superfluo l’esame delle ulteriori questioni, ivi comprese quelle dal primo giudice rimesse al prosieguo del giudizio, tutte presupponenti la validità ed efficacia del contratto. Avverso tale sentenza le società P. e Z. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito la società V. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo le ricorrenti censurano, per violazione degli artt. 1421 c.c., 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 co 1 n. 4 c.p.c., la dichiarazione di nullità del contratto in data 20.4.98 a seguito di eccezione sollevata soltanto in grado di appello, che a loro avviso e secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità non avrebbe potuto essere rilevata di ufficio in quanto, nel caso di specie, la domanda di merito atteneva alla risoluzione del contratto stesso e non anche al relativo adempimento.

Il motivo, a prescindere dall’opinabilità dell’affermazione di principio su cui si basa (tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, essendo stata la questione rimessa alle S.S.U.U. di questa Corte) è, comunque infondato, considerato che nel caso di specie, come si rileva dalla narrativa, il contratto, diversamente qualificato e dichiarato nullo dai giudici di appello, era stato dalle odierne ricorrenti dedotto a fondamento della domanda riconvenzionale, ribadita in secondo grado, di accertamento dell’avvenuto trasferimento di proprietà (o in subordine di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.), che, non snaturata dalla concorrente richiesta di riduzione del prezzo (non implicante la risoluzione o la caducazione del negozio), comportava la necessaria verifica, anche di ufficio, della validità del contratto stesso, quale necessario antecedente logico – giuridico dei diritti dallo stesso derivanti, in conformità a giurisprudenza costante ed in tale senso ancora oggi univoca (tra le altre v. Cass. nn. 5901/06, 21632/06, 12398/07, 27088/07 e, per quanto riguarda la rilevabilità anche in sede di legittimità, Cass. n. 8810/03)).

Con il secondo motivo, deducente violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. ex. in relazione all’art. 17 L. 47/85, come sost. dall’art. 41 del D.P.R. 380/01, ed all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., nonché per vizio di motivazione ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., le ricorrenti, pur ammettendo di avere, “paradossalmente”, sin dal primo grado ed in via principale, chiesto di accertare la natura di “preliminare improprio”, immediatamente traslativo, del contratto suddetto, mentre la controparte ne aveva sostenuto la natura di vero e proprio preliminare, premesso il proprio sopravvenuto interesse, in considerazione dell’esito del giudizio di appello, a sostenere la tesi subordinata della natura obbligatoria del negozio, censurano la diversa interpretazione fornita dalla corte territoriale, con particolare riferimento alla valutazione, quale comportamento successivo delle parti, del contratto di locazione, che al riguardo sarebbe stato illogicamente ed arbitrariamente considerato alla stregua di negozio inesistente, simulato o, comunque privo di causa, laddove la chiarezza del dato letterale, l’assenza di alcuna controdichiarazione e la conformità alla pratica, riconosciuta anche in giurisprudenza, di un collegamento negoziale tra locazione e contratto preliminare, avrebbero dovuto farne ritenere l’effettività, sì da confermare la natura obbligatoria del contratto collegato.

Il motivo, pur frutto di un ripensamento rispetto all’ordine delle richieste formulate nei gradi precedenti (in cui si era, in via principale, sostenuta la natura di contratto definitivo ed immediatamente traslativo di quello in questione e solo in subordine quella di preliminare), contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, è ammissibile sotto il profilo dell’art. 100 c.p.c., derivando l’evidente interesse all’impugnazione dall’esito sostanzialmente sfavorevole del giudizio di merito, conclusosi con la reiezione dell’una e dell’altra domanda.

Le censure, tuttavia, non meritano accoglimento, proponendo una rivisitazione delle risultanze istruttorie, in senso del tutto difforme dalla valutazione compiuta dalla corte territoriale, che, ancorché obiettivamente controvertibile, in quanto esente da vizi logici testualmente evidenti o da malgoverno dei canoni di interpretazione negoziale, non può essere sindacata in questa sede sulla base di un raffronto con alternative, ancorché astrattamente plausibili, ipotesi di lettura delle risultanze suddette, dovendo il vaglio di legittimità essere limitato all’intrinseca tenuta – logico giuridica del modulo argomentativo adottato dal giudice di merito in sé considerabile nella specie risulta comprensibile, esauriente e ragionevole. La Corte d’Appello, infatti, nel confermare la natura definitiva ed immediatamente traslativa del contrattoci di là dell’intestazione (notoriamente di per sé sola irrilevante), si è basata (peraltro recependo una tesi strenuamente sostenuta fino a quel momento proprio dalle odierne ricorrenti) su una serie di indici ritenuti, a ragione, inequivocabili, sia di ordine testuale (qualificazione delle parti quali “venditrice” e “acquirente”, coniugazione del verbo “vende” al presente indicativo e non al futuro), sia sostanziali, tra i quali in particolare l’immediata consegna, previa corresponsione di un consistente acconto e, soprattutto, la mancata previsione di un termine per la stipulazione dell’atto pubblico e del saldo, ritenendo per converso non incompatibile tale natura con la generica previsione di un atto pubblico riproduttivo. Quanto alla “locazione” successiva, i cui canoni sarebbero stati scomputati dal prezzo all’atto del regolamento finale5ne ha del pari ritenuta l’irrilevanza ex post, ai fini della qualificazione del contratto anzidetto, in quanto solo apparente, al riguardo argomentando che una rinuncia “a posteriori” a tali canoni sarebbe stata poco plausibile, nell’ipotesi in cui la società V., avendo stipulato un semplice preliminare, fosse rimasta proprietaria degli immobili, così ravvisando nella previsione di tali canoni una effettiva natura solutoria del rateizzato prezzo di vendita, ulteriormente confermante la natura del negozio de quo. La tesi può essere opinabile, ma non è illogica, e pertanto le censure devono essere disattese, anche sotto il profilo della violazione della norme di ermeneutica contrattauale, avendo la corte di merito, in particolare, tenuto conto di tale comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto, pervenendo ad una motivata valutazione dello stesso che, già sostenuta dalle odierne ricorrenti e contrastata dalla controparte nel giudizio a quo, viene in questa sede, oggi, melius re perpensa, rimessa in discussione con argomenti, richiamanti prassi negoziali asseritamente diffuse, ma non costituenti la regola, di puro merito.

Né coglie nel segno il richiamo al canone interpretativo della conservazione del contratto di cui all’art. 1367 c.c., che sarebbe stato disatteso non riconoscendo effetto alcuno all’anzidetta “locazione”, posto che l’interpretazione del negozio fornita dalla corte di merito non ne ha vanificato la portata pratica, ma ha solo ascritto allo stesso effetti sostanziali diversi, quelli di porre in essere un meccanismo solutorio, collegato al precedente contratto di vendita a prezzo rateizzato, diverso da quello dichiarato e desumibile dalla complessiva operazione negoziale posta in essere dalle parti.

Non miglior sorte merita, infine, il terzo motivo, deducente violazione dell’art. 1424 c.c. in rel. all’art. 17 L. 47/85 e succ. modd., con il quale si lamenta la mancata osservanza del principio di conservazione del negozio, che anche nell’ipotesi di formale nullità quale contratto immediatamente traslativo, avrebbe potuto, conformemente alle intenzioni delle parti, confermate dalle conclusioni rispettivamente rassegnate, spiegare i minori effetti di un contratto preliminare proprio, contenendone tutti i requisiti di forma e di sostanza. Al riguardo, a prescindere dalla possibilità, in linea di principio, di ravvisare i requisiti di sostanza e forma di un contratto, quello preliminare, comportante l’obbligo di una futura stipula traslativa, in un altro (invalido), che tale trasferimento abbia previsto quale immediato, negozi caratterizzati dunque da cause diverse, dei quali non può ritenersi che l’uno rappresenti un minus contenuto nell’altro (essendo comunque necessaria una manifestazione di volontà delle parti propria del negozio diverso: v. Cass. nn. 10498/01, 2912/02), è sufficiente osservare che l’accertamento, ex art. 1424 c.c. ai fini della conversione del negozio nullo, dell’ipotetica volontà delle parti, nel caso che avessero conosciuto l’invalidità del contratto da esse stipulato, implica un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, che non può essere compiuta nella presente sede e che, non essendo stata in alcun modo sollecitata dall’una o dall’altra parte in quella di merito, non avrebbe potuto essere compiuta di ufficio dal giudice, come già precisato dalla giurisprudenza di legittimità a questo collegio condivisa (v. in particolare Cass. nn. 10498/01, 3443/73).

Ne consegue l’inammissibilità del motivo, per novità della relativa questione.

Il ricorso va conclusivamente respinto.

Giusti motivi, tuttavia, tenuto conto dell’assoluta singolarità e, particolare complessità della vicenda processuale, che ha visto le parti in questa sede assumere posizioni inverse rispetto a quelle sostenute in sede di merito, circa la qualificazione del contrattola cui nullità è comunque da ritenersi ad entrambe imputabile, comportano infine la compensazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

 

 

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