QUALE PRESCRIZIONE PER L’ILLECITO CIVILE ASTRATTAMENTE CONFIGURABILE COME REATO?
Cassazione, sez. III, 15 maggio 2012, n. 7543
Sul punto della durata del termine di prescrizione applicabile, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 27337 del 18 novembre 2008, rivisitando la precedente giurisprudenza relativa all’improcedibilità del reato per mancanza di querela, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto – reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto”. È, infatti, irrilevante, ai predetti fini, che non sia stata iniziata l’azione penale perché la sostituzione del più lungo termine non è condizionata al concreto inizio dell’azione penale contro il soggetto dell’atto illecito.
Come si desume dalla stessa formulazione letterale della norma in esame -infatti – non è la perseguibilità del reato, ma l’accertamento della sua esistenza, ancorché effettuata incidenter tantum del giudice civile, che rende applicabile il più ampio termine prescrizionale.
Cassazione, sez. III, 15 maggio 2012, n. 7543
(Pres. Petti – Rel. Giacalone)
In fatto e in diritto
1. C..B. e G..G. , quali genitori del minore D..B. , convenivano S.T. e Assicurazioni Generali S.p.A. avanti al Tribunale di Lucca, esponendo: che il (OMISSIS) il predetto loro figlio era stato investito dall’autovettura condotta dal S. , riportando la frattura del femore destro; che l’impresa assicuratrice aveva versato, quale risarcimento del danno, la somma di L. 20.000,000, comprensiva anche dei postumi, sulla base di una valutazione effettuata il (OMISSIS) dal Dott. L.P. di XXXXX; che tra la fine del XXXX e l’inizio del XXXX si era manifestata una crescita difforme della gamba destra rispetto alla sinistra, così da rendere necessario un ulteriore intervento chirurgico e successiva fisioterapia. Poiché l’evoluzione traumatica successiva alla precedente valutazione del danno era stata imprevedibile per le modalità e la gravità della sua realizzazione, la richiesta di risarcimento del danno sopravvenuto alla transazione era possibile pur in presenza di formule abdicative contenute nell’atto di quietanza predisposto dall’assicuratore. Chiedevano dunque la condanna dei convenuti al risarcimento dell’ulteriore danno. Si costituivano i convenuti, deducendo che quelli che erano stati allegati come danni ulteriori non erano in realtà conseguenze imprevedibili e che l’atto di transazione rendeva rinunciata qualsiasi pretesa. Nel corso del giudizio, oltre a precisare che la somma versata quale risarcimento era di L. 25.000.000 e non di L. 20.000.000, i convenuti eccepivano la prescrizione. Il Tribunale accoglieva l’eccezione di prescrizione, ritenendo che il verificarsi di nuove lesioni era riconducibile alla visita del Dott. L. e del perito incaricato dall’impresa assicuratrice. Compensava le spese di lite. Avverso la decisione di primo grado proponeva appello D..B. , nel frattempo divenuto maggiorenne, deducendo che non era maturato il termine di prescrizione. Gli appellati contestavano la fondatezza del gravame e chiedevano che il B. fosse condannato alla rifusione delle spese.
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, la Corte di Appello di Firenze respingeva l’appello principale del danneggiato e, in accoglimento di quello incidentale delle controparti, condannava l’stante al pagamento delle spese del primo grado, ponendo a carico dello stesso anche quelle di appello.
2.1. In particolare, confermava la maturazione del termine di prescrizione, osservando che la relazione dei C.T.U., aveva ricordato che già nel gennaio 1989 lo specialista chiamato a valutare i danni subiti dai minore aveva espresso l’avviso dell’opportunità di un controllo clinico “per la possibile presenza di alterazioni nell’accrescimento del femore”, dal momento che la frattura aveva interessato la cartilagine del femore. Nel (OMISSIS) , il medico fiduciario dell’impresa assicuratrice aveva individuato un accorciamento dell’arto destro di 0,5 centimetri, mentre in seguito la differenza tra gli arti veniva misurata, ad opera di quello stesso Dott. L. che era intervenuto nel gennaio su richiesta dei genitori del minore, in un centimetro. Il C.T.U. aveva affermato che la gravità dell’evoluzione non era prevedibile, ma che la possibilità che le lesioni fratturative che interessano il nucleo di accrescimento di un osso diano luogo ad un danno come quello di cui si tratta era prevista e descritta in letteratura (e di questo costituiva riprova ciò che il medico cui la famiglia si era rivolta aveva già prospettato nel (OMISSIS) ). Richiamava l’orientamento di questa S.C. (Cass. sez. III, 10 gennaio 2008. n. 236), secondo cui qualora lo stesso fatto doloso o colposo determini, dopo un primo evento lesivo, ulteriori conseguenze pregiudizievoli, la prescrizione dell’azione risarcitoria (che è biennale, allorché per il fatto, astrattamente configurabile come reato, non sia stata proposta querela) per il danno inerente a queste ultime decorre dalla loro verificazione solo nel caso in cui esse non costituiscano un mero sviluppo ed aggravamento del danno già insorto, ma integrino nuove ed autonome lesioni. Nel caso concreto, le indicazioni del C.T.U., che meritavano di venir condivise per la loro correttezza logica e la loro aderenza alle comuni conoscenze scientifiche, consentivano di avere per certo che le conseguenze negative dell’incidente costituivano un aggravamento della lesione già correttamente diagnosticata nel (OMISSIS) , non certamente un fenomeno patologico nuovo. Che la gravità di quegli sviluppi avesse superato ciò che usualmente avviene ed è prevedibile non costituiva fenomeno tale da modificare la natura della lesione, si da consentire che per essa si potesse parlare di lesione nuova ed autonoma da quella in precedenza accertata.
3. Propone ricorso per cassazione il B. , sulla base di quattro motivi, di seguito indicati; resistono gli intimati con controricorso, in cui chiedono rigettarsi il ricorso.
3.1. A) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 Cod. Civ., B) Correlativo vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. per mancanza di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale, nel confermare l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, nonostante l’espresso riferimento fatto al riguardo dal ricorrente nella comparsa conclusionale in appello, aveva del tutto ignorato la sentenza n. 27337 del 18 novembre 2008 delle Sezioni Unite di questa Corte che, superando il precedente indirizzo difforme, aveva affermato il principio (oggi non più controverso: Cass. 19 agosto 2009 n. 18401; Cass. 23 giugno 2009 n. 14644) in forza del quale “nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato, si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto – reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto, atteso che la chiara lettera dell’art. 2947, c. 3, c.c., a tenore della quale se il fatto è considerato dalla legge come reato, non consente la differente interpretazione, secondo cui tale maggiore termine sia da porre in relazione con la procedibilità del reato”.
L’applicazione di tale principio, nella fattispecie, era decisiva: l’incidente, infatti, si verificò il (OMISSIS) e l’atto introduttivo del presente giudizio (peraltro preceduto da formale richiesta di risarcimento del danno a mezzo della lettera raccomandata a. r. spedita il 03.01.1992 e ricevuta il 07.01.1992) fu notificato in data 14.10.1992, cioè meno di cinque anni dopo l’incidente stesso. Poiché, all’epoca, il termine di prescrizione del reato di lesioni colpose (cui si deve fare riferimento ai sensi della citata Giurisprudenza) era di cinque anni, il termine prescrizionale non era ancora spirato al momento della notifica dell’atto di citazione, quand’anche si fosse voluto far coincidere il dies a quo del suo decorso con il (OMISSIS) .
La sussistenza di una fattispecie integrante gli estremi di un fatto – reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi sarebbe stata agevolmente verificabile dal giudice del merito. Sul punto, invece, la motivazione era stata totalmente omessa e si era applicata la prescrizione biennale tout court, ignorando il nuovo e ormai costante indirizzo giurisprudenziale di cui si è detto. La violazione dell’art. 2947 Cod. Civ., dunque, si legherebbe intimamente alla mancanza di motivazione sul fatto – decisivo per il giudizio proprio con riferimento all’applicazione del terzo comma di tale norma – della sussistenza di una fattispecie corrispondente al fatto — reato di lesioni colpose.
3.2. Vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. per mancanza di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, perché la Corte di Appello ha limitato la sua disamina alla valutazione della natura di “fatto nuovo” delle lesioni lamentate dal ricorrente al solo fine di determinare se il diritto azionato fosse da considerarsi prescritto ai sensi dell’art. 2947 c.c., senza svolgere alcuna considerazione in merito alla fondatezza della domanda nell’ipotesi che la prescrizione non potesse essere ritenuta e senza tenere conto che la giurisprudenza di legittimità, invero, quanto alle formule abdicative contenute nei cosiddetti “atti di quietanza” predisposti dalle Compagnie assicurative avrebbe sempre ritenuto legittima e ammissibile la richiesta di risarcimento del danno sopravvenuto posteriormente alla transazione purché si tratti di danno non prevedibile all’epoca della liquidazione, cioè, in tutte le ipotesi in cui, al momento della prima liquidazione, non fossero obiettivamente accettabili, nell’ambito di una ragionevole previsione, elementi attuali capaci di determinare l’aggravamento futuro o non potessero prevedersi gli effetti dei medesimi (si tratterebbe proprio del presente caso, secondo il ricorrente alla luce delle C.T.U.).
3.3. A) – Vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., per insufficienza e contraddittorietà di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. B) – Correlativo vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 c.c. (in ipotesi). Subordinatamente al mancato accoglimento del primo motivo, vale a dire nella denegata ipotesi che possa venire in considerazione il termine biennale di prescrizione, la sentenza impugnata risulterebbe viziata ex art. 360, n. 5 c.p.c. perché ha argomentato in modo insufficiente e contraddittorio (attraverso l’asserita condivisione delle C.T.U. e la sostanziale contrapposizione alle risultanze stesse) in ordine alla considerazione delle lesioni sopravvenute quale effettivo “fatto nuovo” (consistendo tale “fatto nuovo”, certamente ravvisato dal C.T.U.) in uno “sviluppo anomalo” della lesione originaria. Ne deriverebbe l’ulteriore violazione dell’art. 2947 c.c., anche nella contestata ipotesi di applicabilità della prescrizione biennale, dal momento che detto termine avrebbe potuto iniziare a decorrere solo dal momento in cui l’odierno ricorrente ebbe la sufficiente consapevolezza di tale “sviluppo anomalo” e della sua riferibilità al trauma riportato nell’incidente. Sarebbe stato corretto, dunque, far coincidere il dies a quo con la data in cui ebbe luogo il ricovero presso l’Ospedale Gaslini di Genova, in vista dell’intervento chirurgico, ritenuto “non prevedibile” dal C.T.U. (04.07.1991).
3.4. Vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione delle norme in materia di gravame sulle spese, perché la fondatezza dei precedenti motivi di ricorso travolgerebbe la sentenza impugnata anche per quanto riguarda la liquidazione delle spese di lite.
4. Si rivela fondato, nei termini di seguito specificati, il primo motivo di ricorso, nella parte in cui deduce la violazione dell’art. 2947 c.c..
4.1. In effetti, il giudice di appello ha accertato l’applicabilità nella specie del termine breve di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., sul presupposto che il fatto integrava gli estremi di un reato perseguibile a querela e che la querela non era stata presentata, stante l’intervenuta transazione, concludendo che, pertanto, poiché le ulteriori conseguenze pregiudizievoli integravano un mero sviluppo ed aggravamento del danno già insorto, doveva considerarsi interamente decorso il termine biennale decorrente dall’evento.
4.2. Sul punto della durata del termine di prescrizione applicabile, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 27337 del 18 novembre 2008, rivisitando la precedente giurisprudenza relativa all’improcedibilità del reato per mancanza di querela, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto – reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto”. È, infatti, irrilevante, ai predetti fini, che non sia stata iniziata l’azione penale perché la sostituzione del più lungo termine non è condizionata al concreto inizio dell’azione penale contro il soggetto dell’atto illecito (principio ribadito da Cass. 13 luglio 2011 n. 15368, 25 maggio 2010 n. 12699, 23 febbraio 2010 n. 4332, 12 novembre 2009 n. 23930, 18 agosto 2009, n. 18401, 23 giugno 2009 n. 14644, 30 gennaio 2009 n. 2487; e in precedenza da Cass. 15 febbraio 1980 n. 1147, 10 giugno 1999 n. 5701, 28 luglio 2000 n. 9928, nonché, sempre nella stessa ottica, Cass. 12 luglio 1999, n. 7344 e Cass. 15 aprile 1996, n. 3535). Come si desume dalla stessa formulazione letterale della norma in esame -infatti – non è la perseguibilità del reato, ma l’accertamento della sua esistenza, ancorché effettuata incidenter tantum del giudice civile, che rende applicabile il più ampio termine prescrizionale.
4.3. Poiché è mancata nel caso di specie un’indagine siffatta, la sentenza impugnata deve essere cassata, ed il Giudice di rinvio – che si designa nella medesima Corte territoriale in diversa composizione – dovrà accertare se nel caso di specie ricorressero tutti gli estremi di un fatto – reato, ai fini della applicazione del termine più lungo di prescrizione previsto per il reato (art. 2947 c.c. comma 3) e provvederà in ordine alle spese, incluse quelle del presente giudizio di legittimità.
5. L’accoglimento di tale motivo ed il relativo nuovo esame che esso comporterà in sede di rinvio assorbono ogni decisione in ordine a tutte le altre censure di cui al ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il primo profilo del primo motivo, assorbita ogni altra censura di cui al ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.