“TASSE SUI CELLULARI” ILLEGITTIME: NORMATIVA E STRATEGIE DIFENSIVE
di Dario Marsella, Avvocato Specializzato in diritto tributario e penale tributario
(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 5/2012)
Normativa.
Il D.P.R. n. 641 del 1972, (“Disciplina delle tasse sulle concessioni governative), nel suo primo articolo statuisce che sono soggetti alle tasse sulle concessioni governative: “I provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa”.
Per quanto concerne l’utilizzo dei cellulari, si deve riferimento all’art. 21 della tariffa allegata al predetto decreto del Presidente della Repubblica, il quale indica quale oggetto di tassazione: “Licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (art. 318 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 145, e art. 3 del decreto-legge 13 maggio 1973 n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202).
Con art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. viene previsto, ai fini dell’utilizzo di un licenza o di un documento sostituivo, il pagamento mensile di € 5,16 in caso di utenza cd. residenziale e di € 12,91 nell’ipotesi di possesso di utenze affari (denominate business). La debenza della tassa è esclusa per le licenze/documenti sostitutivi intestate ad invalidi, non vedenti e a sordi; inoltre, si specifica, che l’invalidità dev’essere certificata dalla competente unità sanitaria locale.
In merito all’utilizzo della licenza, con l’art. 318 del D.P.R. n. 156/1973 (“Codice Postale), si precisava che: “Presso ogni singola stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l’esercizio deve essere conservata l’apposita licenza rilasciata dall’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni”. Successivamente, a seguito dell’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.lgs. n. 259/2003), è stato privatizzato il settore delle comunicazioni, garantendo, di tal che, i diritti inderogabili di libertà delle persone nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica e il suo esercizio in regime, non più di concessione, ma di concorrenza. In effetti, si è passati da un sistema concessorio (avente natura pubblicistica) ad uno privatistico che richiede, ai fini dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione, la stipula di un contratto, ovvero di uno strumento di diritto privato.
In tema di tasse sulle concessioni governative per l’utilizzo dei telefoni cellulari, va precisato, inoltre, che l’art.218 del predetto Codice ha abrogato il citato art. 318 del D.P.R. n. 156/1973, e che l’art. 2 del D.M. n.33 del 1990 (in tema di: Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione) ha equiparato in toto – quindi, anche dal punto di vista fiscale – il contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile alla licenza di stazione radio.
Strategie difensive.
Le pronunce giurisprudenziali aventi ad oggetto la questio relativa alla debenza o meno delle tasse sulle concessioni governative per l’utilizzo dei telefoni cellulari, sono di notevole importanza al fine di recepire i principi necessari per poter preparare un’adeguata strategia difensiva.
A tal riguardo, la Commissione Tributaria Regionale di Venezia, Sez. II, con la sentenza n. 5 si è pronunciata sull’appello presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza che accoglieva il ricorso presentato da alcuni Comuni della Provincia di Venezia.
L’atto introduttivo veniva presentato, dai predetti enti, dinanzi la Commissione tributaria provinciale vicentina a seguito di rigetto, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, dell’istanza di rimborso delle somme versate ai sensi dell’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972.
I Comuni eccepivano, in primis, l’assenza del “presupposto soggettivo” della tassa di concessione, sulla base del fatto che gli stessi, essendo pubbliche amministrazioni non erano assoggettabili alla tassa di concessione governativa. I Comuni, infatti., sono considerati dall’art.1, comma 2, del D.lgs. n. 156 del 30.03.2001 quali pubbliche amministrazioni, esonerate, di tal che, dal versamento delle tasse di concessione governative. Tale assunto veniva confermato anche dalla Circolare n. 44461 del 17.07.2001 dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale Lazio, con cui si precisava che:” (…)le pubbliche amministrazioni che sottoscrivono contratti di abbonamento per la fornitura di servizi di telefonia mobile non sono soggette al pagamento della tassa di concessioni governative”. I ricorrenti, lamentavano oltre all’assenza del presupposto soggettivo d’imposizione, anche quello di “natura oggettiva”, alla luce del fatto che, con l’entrata in vigore del Codice delle Telecomunicazioni elettroniche (D.lgs. n.259 del 2003) veniva liberalizzato il mercato dei servizi di comunicazione, con conseguente abrogazione (tacita) della normativa disciplinante la T.C.G (in quanto il passaggio da un regime pubblicistico a quello di natura privata costituiva una nuova e totale regolamentazione della materia). Nello specifico, i Comuni precisavano che con l’art. 218 del predetto Codice veniva esplicitamente abrogato l’art. 318 del D.P.R. n. 156 del 1973, costituente il presupposto ai fini del pagamento della T.C.G: per l’utilizzo dei cellulari, e che, quindi, difettava il presupposto oggettivo.
Con la sentenza n. 37 del 15.02.2011 la Commissione Tributaria Regionale di Perugia, ha preso in esame un ulteriore aspetto concernente il presupposto oggettivo d’imposizione tributaria. A differenza della precedente pronuncia che sorgeva a seguito di rigetto, dell’Agenzia delle Entrate, di un’istanza di rimborso, in questo caso, la pendenza del giudizio derivava dall’impugnazione da parte di un Comune della provincia di Perugia, di tre avvisi di accertamento aventi ad oggetto le T.C.G.
ll giudice di seconde cure precisava che a seguito dell’avvenuta abrogazione esplicita dell’art. 318 del D.P.R. n. 156 del ’73, l’ulteriore presupposto indicato nell’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del ’72, ovvero l’art. 2 del D.M. n.33 del 1990, (in tema di: Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione) che ha equiparato il contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile alla licenza di stazione radio, essendo norma di natura secondaria, non poteva costituire fonte normativa del tributo in esame. Tutto ciò, alla luce dell’art. 23 della Costituzione, il quale statuisce che:”Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
La Commissione Tributaria del Veneto con la sentenza n. 04.16.11, depositata il 17 gennaio 2011, considerava, inoltre, abrogata implicitamente la disciplina delle T.C.G., alla luce della liberalizzazione del mercato delle comunicazioni, che ha sostituito il precedente sistema concessorio (di natura pubblica) con un nuovo sistema di gestione del servizio telefonico, di natura privatistica, costituito dal contratto di abbonamento con la compagnia telefonica. Quindi: “tale mutamento ha fatto venir meno, ai fini dell’utilizzo dei telefoni cellulari, la necessità della previa concessione governativa”.
Alla luce della recenti pronunce giurisprudenziali, si evince che le strategie difensive che possono utilizzare i Comuni al fine di ottenere il rimborso delle Tasse sulle concessioni governative versate per poter utilizzare le utenze mobili, o al fine di impugnare eventuali atti di accertamento di violazione e di irrogazione di sanzioni, possono essere, in parte, adottate anche dai privati e dalle imprese.
Nello specifico, la Commissione Tributaria Provinciale di Bari con la recente sentenza del 02.11.2011 in merito all’impugnazione da parte del legale rappresentante di un’impresa di un atto di accertamento ed irrogazioni di sanzioni emesso dall’Agenzia delle Entrate per non aver pagato le tasse sulle concessioni governative dell’anno 2008, accoglieva le istanze del ricorrente annullando l’atto impugnato e precisava che:” La liberalizzazione del settore ha di fatto abrogato l’art. 318 del DPR 156/1973, secondo il quale, oggetto della tassazione sarebbe l’abbonamento sostitutivo della licenza; nell’attuale sistema, invece, l’autorizzazione generale prevista dall’art. 104 è obbligatoria esclusivamente per il gestore del servizio di telefonia mentre il cliente non è più soggetto a provvedimenti amministrativi di concessione o autorizzazione, neppure in modo virtuale”. Con tale pronuncia il giudice di prime cure sottolineando che con l’entrata in vigore del Codice delle Telecomunicazioni (D.lgs. 01.08.2003 n. 259) è venuto meno il regime concessorio ha esteso anche alle società e, non solo ai Comuni, la possibilità di difendersi e di chiedere il rimborso delle tasse sulle concessioni governative per l’utilizzo dei cellulari illegittimamente versate.
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Conclusioni
Alla luce delle pronunce esaminate i Comuni e i privati, al fine di far valere le proprie istanze, potranno indicare quali motivi di doglianza:
1) L’assenza del presupposto oggettivo:
in quanto, a seguito dell’entrata in vigore del Codice delle Comunicazioni è stato abrogato esplicitamente l’art. 318 del D.P.R. n. 156 del 1973 e (tacitamente) l’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641/72, facendo venir meno, di tal che, la legittimità impositiva dell’amministrazione Finanziaria. Ed inoltre, va sostenuto che in nessun caso una norma secondaria (in questo caso: l’art. 3 D.M. n. 33/1990) può legittimare l’imposizione di un tributo;
2) La mancanza del presupposto soggettivo:
I Comuni, essendo pubbliche amministrazioni, non possono essere considerati quali soggetti passivi della tassa sulle concessioni governative, alla luce dell’art. 114 della Costituzione, e dell’’art.1, comma 2, del D.lgs. n. 156 del 30.03.2001