È ESTORSIONE LA MINACCIA DEL PARCHEGGIATORE SCONTENTO DI DANNEGGIARE L’AUTOMOBILE
Cassazione, sez. II, 7 giugno 2012, n. 21942
Nell’estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia posta in essere non già per esercitare un diritto, bensì con il proposito di coartare la volontà di altri per conseguire fini illeciti. Nel caso in esame non solo la pretesa era illegittima, trattandosi di posteggiatore non autorizzato, ma anche portata con gli illeciti mezzi della violenza e della minaccia, tale dovendosi considerare quella di chiedere denaro (non importa se poco e molto essendo questo un elemento che può essere valutato solo ai fini del trattamento sanzionatorio) minacciando, anche larvatamente l’automobilista, di danneggiare l’auto in caso di mancata corresponsione.
Commette il reato di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che, con violenza o minaccia, pretenda il pagamento di un compenso per l’attività di parcheggiatore abusivo
Cassazione, sez. II, 7 giugno 2012, n. 21942
(Pres. Cosentino – Rel. Rago)
Fatto
p.1. Con sentenza del 3/06/2011, la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza con la quale in data 3/02/2009 il Tribunale della medesima città aveva ritenuto S.V. colpevole del delitto di estorsione per avere, nella sua qualità di posteggiatore abusivo in un’area libera adibita a parcheggio, costretto più volte e nella giornata del (omissis), P.S. a consegnargli la somma di 20-30 centesimi al fine di custodire l’auto, minacciandone, in caso contrario, il danneggiamento.
p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo contraddittorietà della motivazione per avere la Corte territoriale ricostruito i fatti sulla base della dichiarazioni della persona offesa che, però, non trovavano riscontro alcuno.
Il P. , infatti, aveva riferito che solo nell’episodio del 17/11/2005, l’imputato aveva profferito al suo indirizzo espressioni ingiuriose e minacciose, mentre, nei pregressi episodi, si era solo limitato a dolersi dell’esiguità della somma senza porre in essere alcuna minaccia. Peraltro, la mera richiesta di un obolo, non poteva essere considerata una minaccia rilevante ai fini del reato di estorsione atteso che l’imputato aveva comunque offerto un servigio. In ogni caso, nell’episodio del (omissis) , era ravvisabile un tentativo di estorsione atteso che il P., dopo le minacce ricevute, si era allontanato parcheggiando l’auto altrove.
Diritto
p.1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
p.2. La Corte territoriale, alla stregua delle dichiarazioni rese dalla parte offesa – ritenute precise ed attendibili – ha disatteso il gravame osservando che:
– non era vero che il P. elargiva spontaneamente le somme (benché modeste) che l’imputato gli chiedeva: egli s’indusse a farlo solo a seguito delle pressanti ed inequivoche minacce di danneggiamento all’auto che il S. gli rivolse se si fosse rifiutato di pagarlo;
– quanto all’episodio del (omissis) , era vero che il P. aveva corrisposto – more solito – una piccola somma di denaro, ma subito dopo, il S. , non soddisfatto, lo aveva minacciato ugualmente tanto che il P. decise di andare a parcheggiare altrove l’auto.
p.3. In questa sede, il ricorrente, in punto di fatto, non ha fatto altro che ribadire le medesime doglianze dedotte davanti alla Corte territoriale (cfr pag. 2 sentenza impugnata in cui viene riassunto l’atto di appello).
Al che deve replicarsi che la censura riproposta con il presente ricorso, va ritenuta null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile. Alla stregua della ricostruzione dei fatti così come effettuata dalla Corte territoriale, ineccepibile deve pertanto ritenersi la conclusione giuridica alla quale è pervenuta la Corte territoriale la quale, correttamente, anche per l’episodio del (OMISSIS) , ha rilevato che il fatto andava qualificato come estorsione consumata e non tentata proprio perché il P. – contro la sua volontà e perché minacciato – andò via dopo che aveva già corrisposto al S. una piccola somma denaro da questi però non ritenuta sufficiente.
p.4. Sotto il profilo più strettamente giuridico, deve ritenersi del tutto irrilevante, ai fini della configurabilità del reato, la modestia della somma.
Infatti, nell’estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia posta in essere non già per esercitare un diritto, bensì con il proposito di coartare la volontà di altri per conseguire fini illeciti (Cass. 2, 23.3.92 n. 3380, ud. 24.9.91, rv. 189950). Nel caso in esame non solo la pretesa era illegittima, trattandosi di posteggiatore non autorizzato, ma anche portata con gli illeciti mezzi della violenza e della minaccia, tale dovendosi considerare quella di chiedere denaro (non importa se poco e molto essendo questo un elemento che può essere valutato solo ai fini del trattamento sanzionatorio) minacciando, anche larvatamente l’automobilista, di danneggiare l’auto in caso di mancata corresponsione.
Va, pertanto, ribadito il principio di diritto secondo il quale commette il reato di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che, con violenza o minaccia, pretenda il pagamento di un compenso per l’attività di parcheggiatore abusivo: Cass. 15137/2010 riv. 247034.
p.5. In conclusione, l’impugnazione – essendo meramente infondata stante la questione giuridica dedotta – deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.