Preliminare di compravendita in nome di: attenzione quando la spendita del nome manca o è equivoca Cassazione, sez. II, 30 maggio 2012, n. 8640

 

PRELIMINARE DI COMPRAVENDITA IN NOME DI: ATTENZIONE QUANDO LA SPENDITA DEL NOME MANCA O È EQUIVOCA

Cassazione, sez. II, 30 maggio 2012, n. 8640

 

La contemplatio domini, pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, deve comunque risultare per iscritto dallo stesso documento e non aliunde, atteso il carattere essenziale della forma scritta a pena di nullità richiesta per i negozi relativi al trasferimento di immobili; di conseguenza è esclusa la contemplatio domini” tacita o in altro modo desumibile.

Nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam”, particolare rigore è richiesto anche per la spendita del nome del rappresentato, con la conseguenza che, in mancanza di formule che consentano di individuare la spendita del nome altrui, non è ammissibile una “contemplatio domini” tacita, desunta da elementi presuntivi.

 

 

Cassazione, sez. II, 30 maggio 2012, n. 8640

(Pres. Schettino – Rel. Bursese)

 

Svolgimento del processo

O..M. con atto di citazione notificato il 21 dicembre del 1999, evocava in giudizio avanti il tribunale di Milano, A.E.M. e ne chiedeva – previa declaratoria del suo inadempimento al contratto preliminare di compravendita di un immobile in corso di costruzione sito in …, con lui stipulato in data 18.6.87 – la condanna al pagamento della somma di 600.000.000 o altra che fosse risultata in corso di causa. A tal fine deduceva di avere concluso il predetto contratto tramite G.A.C. che aveva agito nell’occasione per conto dell’A. , in base ad una procura di quest’ultimo datata 16.6.1996; che il prezzo di acquisto era stato stabilito in L. 615.000.000 e che aveva versato acconti per complessive L. 300.000.000, di cui L. 100.000.000 risultavano percepiti direttamente dal promittente venditore A. . Questi si costituiva in giudizio contestando la pretesa del M. siccome infondata; chiedeva di essere autorizzato a chiamare in giudizio il nominato A.C..G. ; deduceva di avere avuto con lui complessi rapporti d’affari, avendogli appaltato i lavori edili di edificazione di un immobile, rilasciandogli la procura a vendere “allegata” al menzionato preliminare di vendita, procura che peraltro era stata successivamente revocata. D’altra parte il G. , stipulando il preliminare in questione, non aveva speso il nome del vero proprietario (esso A. ), né aveva esercitato quindi i poteri che gli derivavano da tale procura, tanto da avere direttamente riscosso i pagamenti eseguiti dal M. , per cui la fattispecie in esame doveva ritenersi integrare la diversa ipotesi di vendita di cosa altrui, di talché nessuna conseguenza poteva derivare ad esso A. per effetto della conclusione di tale negozio. In via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attore e del G. per i danni da essi cagionati. Il G. quindi, quale terzo chiamato, si costituiva in giudizio confermando di avere ricevuto la predetta procura a vendere dall’A. , al quale assumeva di avere corrisposto la somma di lire 100.000.000 ricevuta dal promissario acquirente; precisava di aver trattenuto l’ulteriore acconto di lire 200.000.000 a fronte del maggior credito da lui vantato in relazione ai lavori che aveva svolto per conto dello stesso A. in forza di un contrato d’appalto con lui stipulato. Precisava però di avere restituito tale ultima somma al M. , e quest’ultimo, in relazione a ciò, provvedeva a ridurre l’importo della sua domanda (in Euro 61.329,14).

Nel corso di causa venivano escussi dei testi in relazione alle circostanze riguardanti la stipula del preliminare e sul fatto che il G. avesse specificato nella circostanza di agire come procuratore dell’A. , allegando all’atto la menzionata procura, Tatto di provenienza e la concessione edilizia. Previo espletamento della CTU, l’adito tribunale di Milano, con sentenza n. 114/2005 depos. il 29.1.2005, accoglieva la domanda attrice e condannava: l’A. al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 61.974,83 (pari all’acconto versato e al doppio della caparra); il terzo chiamato G. al pagamento a titolo di risarcimento danni, di Euro 44.300,00 in favore dell’A. ; rigettava ogni ulteriore domanda, compensando tra le parti le spese processuali. Secondo il tribunale, anche se dal tenore del preliminare risultava che il G. avesse promesso di vendere l’immobile a nome proprio, non v’è dubbio però, alla luce della emergenze istruttorie (dichiarazione dei testi, procura a vendere, documenti allegati al contratto) che egli aveva agito di fatto in nome e per conto dell’A. .

Avverso tale sentenza proponeva appello l’A. che ne chiedeva la riforma, ribadendo le eccezioni e insistendo per l’accoglimento di tutte le domande risarcitorie in precedenza posposte; evidenziava in modo particolare il fatto che il G. si era dichiarato nel preliminare de quo venditore e proprietario dell’immobile, assumendosi l’obbligo in prima persona, senza che il presunto venditore fosse stato reso partecipe e se ne fosse assunta la responsabilità. Si costituiva il M. chiedendo il rigetto dell’impugnazione e proponeva appello incidentale con riguardo alla mancata rivalutazione della somma a lui riconosciute( ed alle spese di lite; rimaneva contumace il G. .

L’adita Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 772/10 depositata il 15.3.2010, in accoglimento dell’appello dell’A. , rigettava tutte le domande contro di lui proposte dal M. , che condannava la pagamento delle spese del doppio grado, rigettando peraltro le ulteriori domande formulate dall’A. (risarcimento dei danni a carico dei G. e del M. ; danno ex art. 96 c.p.c. a carico del M. ecc). La corte milanese evidenziava la mancanza di cont$J5latio domini nel preliminare da parte del G. , pur essendo ciò richiesto ad substantiam trattandosi di trasferimento d’immobile, specificando che nessun rapporto negoziale era intercorso tra le parti, in quanto detto contratto era stato stipulato personalmente dallo stesso G. , che si era…” dichiarato proprietario affermando di avere personalmente acquistato l’immobile…e sostenendo che tale proprietà gli era pervenuta con atto di compravendita a rogito notaio Colnaghi…. stipulato in data 17.12.1993″… Inoltre nel preliminare l’immobile non era stato adeguatamente indicato, per cui l’oggetto del contratto era indeterminabile.

Avverso la predetta pronuncia, O..M. ricorre per cassazione sulla base di 2 mezzi; l’A. resiste con controricorso, formulato altresì impugnazione incidentale; il G. infine non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale, l’esponente M.O. denunzia 13 violazione e falsa applicazione degli artt. 1388, 1392, 1394, 1395 c.c. nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione. A suo avviso la mancata spendita del nome del rappresentato (contemplatio domini) nel preliminare è irrilevante e non deve necessariamente risultare dal contratto, atteso che dai documenti allo stesso allegati (atto di provenienza e licenza edilizia) risultava che proprietario dell’immobile era l’A. e non il G. (come erroneamente ritenuto dalla Corte d’Appello) e che l’A. aveva rilasciato procura a vendere in favore del G. , sottoscrittore del preliminare. Ciò del resto era stato confermato dalle dichiarazione dei testi escussi (le rispettive mogli dei due contraenti), presenti alla stipula del preliminare secondo cui il G. nella circostanza aveva esibito la procura dell’A. . D’altra parte quest’ultimo era a conoscenza della stipula del preliminare, essendosi limitato a contestare solo l’errata numerazione del mappale ivi indicato.

Con il 2 motivo l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (contratto preliminare – contenuto – efficacia – interpretazione nonché insufficiente motivazione).

Rileva che non è vero che l’immobile non era stato bene identificato nel preliminare con riferimento ai dati catastali riportati, trattandosi solo di un errore di frazionamento dell’originario mappale, come accertato dal CTU. In proposito occorreva far riferimento ai documenti allegati alla scrittura privata, in essa espressamente richiamati della quale sono parte integrante.

Osserva il Collegio che entrambi i motivi non hanno pregio. Per quanto riguarda in modo particolare il primo motivo, come puntualizzato dalla Corte milanese, rimane assorbente la questione per la quale nel preliminare di vendita dell’immobile è pacifico che non risultasse il nome dell’A. quale promittente venditore, per cui non vi era stata la contemplatio domini da parte del presunto rappresentante G. . Per costante giurisprudenza la contemplatio domini, pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, deve comunque risultare per iscritto dallo stesso documento e non aliunde, atteso il carattere essenziale della forma scritta a pena di nullità richiesta per i negozi relativi al trasferimento di immobili; di conseguenza è esclusa la contemplatio domini” tacita o in altro modo desumibile.

Nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam”, particolare rigore è richiesto anche per la spendita del nome del rappresentato, con la conseguenza che, in mancanza di formule che consentano di individuare la spendita del nome altrui, non è ammissibile una “contemplatio domini” tacita, desunta da elementi presuntivi (Cass. n. 3364 del 12/02/2010; Cass. n. 17346 del 23/07/2009). Né alcun giovamento potrebbe derivare dal richiamo nel preliminare ai documenti allegati, “da ritenersi parte integrante” dello stesso. Trattasi infatti – come ha sottolineato il controricorrente – di riferimenti contrattuali estremamente labili e generici, non riportati nell’atto, ma semplicemente elencati con le sole lettere “A, B,C,D,E,F senza alcun’altra indicazione (a pag. 13 del controricorso è stato riportato il contenuto – fotocopia di pag. 4 del compromesso). Peraltro tale conclusione è assorbente rispetto alle altre dedotte, le quali – come quella relativa all’esatta interpretazione del preliminare di cui al 2 motivo – si traducono altresì in mere prospettazioni di fatto, come tali insindacabili in questa sede di legittimità, stante la corretta, congrua e coerente motivazione della sentenza, priva di vizi logici e giuridici.

Conclusivamente il ricorso principale dev’essere rigettato.

Passando al ricorso incidentale dell’A. , si rileva che con il primo motivo, l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. e il vizio di motivazione, in relazione al rigetto della propria domanda di risarcimento danno da lui avanzata contro il Meriggi per “lite temeraria”. La corte milanese, con motivazione insufficiente e contraddittoria, avrebbe ritenuto erroneamente che la domanda era sfornita di prova di an e quantum debeatur sulla responsabilità aggravata, senza però adeguatamente valutare il comportamento processuali del M. , ritenuto non corretto anzi “temerario e/o imprudente”.

Con il 2 motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia ovvero per motivazione insufficiente e contraddittoria sulla domanda di danno (materiale e non patrimoniale) avanzata contro il M. ed il G. . Sostiene contrariamente all’opinione della corte milanese, di avere fornito le prove dei danni, sia materiali che non patrimoniali che egli avrebbe subito dai due, ed a tal fine richiama (invero in modo parziale e disorganico), dichiarazioni dei testi, brani della CTU e della ATP (espletata in altro e diversa causa) che a suo avviso proverebbero il danno.

Secondo il Collegio entrambe le doglianze non sono fondate.

Per quanto riguarda la domanda per responsabilità aggravata per lite temeraria, la pronuncia della corte di merito è conforme alla giurisprudenza di questa S.C.. Invero la domanda di cui all’art. 96 c.p.c. ha natura extracontrattuale, e richiede pur sempre la prova incombente alla parte istante sia dell’”an”, sia del “quantum debeatur”; pur essendo la liquidazione effettuabile d’ufficio, tali elementi devono essere in concreto desumibili dagli atti di causa (Cass. n. 13395 del 08/06/2007; Cass. S.U. n. 1140 del 19.91.07).

Quanto all’ulteriore domanda risarcitoria, non è dubbio invero che la corte di merito si è pronunziata sulle, domanda in questione, con ampia, coerente e diffusa motivazione in cui in sostanza si evidenzia la carenza di prova delle singole e specifiche condotte delle controparti, idonee ad arrecare concreto pregiudizio all’A. (v. pagg. 21-25 della sentenza)”.

“Sarebbe stato così onere di E..A. – sottolinea la corte meneghina – allegare e fornire la prova di quali modificazioni dell’immobile di sua proprietà sarebbero state effettuate dalle opere eseguite dall’uno o dall’altro degli appellati, ovvero in concorso tra loro e quali in particolare avrebbero recato pregiudizio allo stesso appellante alterando l’immobile di proprietà, menomandone l’effettiva destinazione abitativa o rendendo indispensabili opere di ripristino e riparazione”.

In conclusione il ricorso dev’essere rigettato.

Attesi i particolari profili processuali, si ritiene di dover compensare le spese processuali nella misura di 1/2, condannando il ricorrente principale – in virtù della sua prevalente soccombenza – al pagamento della residua metà.

 

P.Q.M.

 

la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e, dichiarate compensate le spese processuali in ragione di 1/2, condanna il ricorrente principale al pagamento in favore dei ricorrente incidentale della residua metà, liquidata in Euro 2.600,00 (totale Euro 5.200,00) di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge

 

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