Violazione della privacy: se la notizia è già nota niente risarcimento danni Cassazione, sez. III, 26 giugno 2012, n. 10646

 

VIOLAZIONE DELLA PRIVACY: SE LA NOTIZIA È GIÀ NOTA NIENTE RISARCIMENTO DANNI

Cassazione, sez. III, 26 giugno 2012, n. 10646

 

I principi in tema di tutela della riservatezza vanno coordinati, oltre che con quelli che attengono all’interesse pubblico ed al diritto della collettività all’informazione, con le esigenze di salvaguardia di interessi, pubblici e privati, all’onorabilità delle proprie frequentazioni, alla correttezza ed al rigore dei propri comportamenti

 

 

Cassazione, sez. III, 26 giugno 2012, n. 10646

(Pres. Finocchiaro – Rel. Lanzillo)

 

Svolgimento del processo

P.S. ha convenuto davanti al Tribunale di Como la s.p.a. Casinò Municipale di Campione d’Italia e B.C. , direttore del Servizio speciale di controllo del Casinò, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 4.500.000,00, per violazione della legge sulla protezione dei dati personali.

Ha dedotto di avere appreso da articoli pubblicati sul periodico web denominato (omissis) , che la società convenuta aveva adottato nei suoi confronti provvedimento inibitorio dell’accesso al Casinò e dell’uso della carta platino che tale accesso consentiva.

Nell’articolo intitolato “Da Campione d’Italia i botti di fine d’anno” si leggeva che “… P.S. e S.S. , amici di vecchia data di quel furbacchione di Sa.Ro. , ex sindaco di Campione d’Italia. Anche lui mortificato per il ritiro della carta di platino che dava…l’accesso al Casinò”.

In altro articolo intitolato “P. e S. espulsi dal Casinò”, si riferiva che essi erano stati espulsi “perché non più degni di considerazione”.

Successivamente veniva pubblicata il 7.1.2004 la lettera con cui il B. , nella sua qualità di direttore del Servizio speciale di controllo, comunicava che “…da notizie apparse sulla stampa nazionale e sul vostro sito, ho appreso che i due signori menzionati dal vostro articolo (P.S. e S.S. ) sono indagati per gravi reati, per cui li ho immediatamente inibiti dal nostro Casinò………Il nostro sarà anche un luogo di perdizione, ma ci sono delle regole morali che non possono e non devono essere prevaricate: correttezza e trasparenza è stato fino ad oggi il motto del nostro Casinò. Spero che chiunque mi succederà abbia lo stesso coraggio civico per contrapporsi all’usura e alla mafia”.

I convenuti hanno resistito alla domanda.

La società ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva per il fatto che tutte le funzioni di vigilanza e di controllo sulla casa da gioco sono state mantenute dal Comune, che all’epoca le esercitava tramite il Servizio speciale diretto dal B. ; che comunque l’attività di diffusione dei dati era riconducibile esclusivamente a quest’ultimo.

Il B. ha eccepito che la notizia del provvedimento sanzionatorio era stata pubblicata sul web prima della propria lettera 7 gennaio 2004, tanto che già con nota del 4 gennaio precedente l’attore aveva inviato diffida e domanda di risarcimento dei danni, mentre anche altri organi di stampa avevano parlato della vicenda.

Con la sentenza impugnata in questa sede il Tribunale ha respinto la domanda attrice.

Il P. propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste il Casinò con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Il B. non ha depositato difese.

Motivi della decisione

1.- La sentenza impugnata ha respinto la domanda attrice con la motivazione che le notizie diffuse non rientrano fra i dati sensibili di cui all’art. 4 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196; che fin dal 27 dicembre 2003 l’agenzia … aveva dato notizia dell’espulsione dell’attore, e che in ogni caso le pubblicazioni contestate nulla aggiungevano a quanto all’epoca era già noto, a seguito delle notizie pubblicate sul quotidiano (omissis) il (omissis).

Ha soggiunto che l’attore non ha dato la prova della violazione da parte dei convenuti dei doveri di custodia dei dati e che le prove dedotte in proposito sono inammissibili.

2.- Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione dei convenuti di inammissibilità del ricorso, per non avere il S. proposto appello contro la sentenza del Tribunale.

2.1.- L’eccezione è manifestamente infondata.

Le sentenze emesse dal Tribunale in tema di protezione dei dati personali sono espressamente dichiarate inappellabili dalla legge 30 giugno 2003 n. 196 (art. 152, 13 comma). Solo nei casi in cui, pur nell’ambito dei giudizi previsti dalla legge stessa, il giudice pronunci su questioni di rito, ed in particolare su competenza e giurisdizione, la sentenza è da ritenere soggetta ad appello (Cass. civ. S.U. 7 ottobre 2008 n. 24708; Cass. civ. Sez. 2, ord. 4 gennaio 2011 n. 186).

Nel caso in esame non si pongono questioni di tal genere.

2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 15 d.lgs. n. 196/2003 cit. e dell’art. 2050 cod. civ., nel capo in cui la sentenza impugnata gli ha addebitato di non avere fornito la prova del comportamento illegittimo, cioè dell’omessa custodia dei dati personali.

Dopo avere premesso che i dati relativi ai rapporti concernenti la concessione del credito, anche mediante carte di credito, sono annoverati nell’ambito della riservatezza personale, richiama il disposto dell’art. 15 della legge, secondo cui chi cagiona danno ad altri nel trattamento dei dati è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 cod. civ.: norma che attribuisce al danneggiante l’onere di fornire la prova liberatoria da responsabilità. Assume che la pubblicazione di dati offre di per se stessa la prova dell’illecito, a fronte del quale la società convenuta è tenuta a dimostrare, per potersi esimere da responsabilità, di avere adottato tutte le misure idonee a proteggere le informazioni affidate alla sua custodia, anche ai sensi dell’art. 31 della legge n. 196/2003.

3.- Con il secondo motivo denuncia ancora violazione dell’art. 15 cit., nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che la preesistente diffusione delle notizie riservate valga ad esonerare i convenuti da responsabilità. Assume che la lettera del B. ha confermato e incrementato la diffusione dei dati personali, la cui parziale notorietà non ne giustifica la mancata protezione (Cass. 25 giugno 2004 n. 11864).

4.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, non sono fondati.

4.1.- In primo luogo essi non investono tutti i capi della sentenza impugnata, ma solo una motivazione aggiuntiva, di per sé sola inidonea a giustificare l’annullamento del dispositivo.

Il Tribunale ha respinto la domanda sulla premessa che il P. ha posto a fondamento della sua domanda risarcitoria l’avvenuta divulgazione di dati personali sensibili ed ha rilevato che le notizie diffuse da … non rientrano fra i dati sensibili di cui all’art. 4 lett. d) d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196.

Contro questo capo della sentenza il ricorrente non ha proposto alcuno specifico motivo di censura, né ha specificato di avere proposto la sua domanda di risarcimento anche in relazione a profili diversi dalla diffusione di dati sensibili, né ha specificato per quali ragioni e sotto quali aspetti i comportamenti denunciati riguarderebbero dati sensibili.

Ha solo incidentalmente affermato che debbono essere considerati tali anche i dati attinenti alla concessione del credito ed alle carte di credito, senza peraltro dare alcuna dimostrazione né della fondatezza del principio in sé, né del fatto che la carta platino sarebbe una carta di credito. Dagli articoli pubblicati dall’agenzia (omissis) risulta che il P. è stato espulso dal Casinò perché coinvolto da gravi accuse penali; non perché insolvente o inadempiente o moroso; né è stata richiamata alcuna notizia circa la sua affidabilità nei rapporti di debito e credito. Il ricorso è quindi inammissibile perché non investe la ratio decidendi della sentenza impugnata, ma motivazioni e argomentazioni aggiuntive che costituiscono in realtà meri obiter dicta, rispetto all’effettivo fondamento della decisione.

4.2.- Il secondo motivo è inammissibile poiché il quesito formulato ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. è del tutto generico e astratto, oltre che lacunoso nella forma (“Se sussista violazione della normativa di cui al d.leg.vo 196/03 nell’ipotesi in cui il soggetto tenuto alla loro custodia ne alimenti la diffusione, aggiungendo particolari informativi e dandone personalmente pubblica conferma”).

La giurisprudenza di questa Corte ha più volte specificato che il quesito deve contenere l’enunciazione della fattispecie da decidere; il principio che si assume erroneamente applicato dalla sentenza impugnata e quello diverso che si vorrebbe venisse formulato in sua vece, sì da consentire alla Corte di cassazione di formulare con la sua decisione un principio di diritto chiaro, specifico e applicabile anche ai casi simili a quello in esame (cfr. Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass. Civ. Sez. 3, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535); che è comunque inammissibile il quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. civ. S.U. 18 luglio 2008 n. 19811; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19769, fra le tante).

5.- Va soggiunto che le censure del ricorrente risultano comunque infondate.

Il fatto che le notizie che si assumono illecitamente diffuse dai convenuti fossero già pubblicamente note è stato richiamato dal Tribunale non quale causa di giustificazione e di esonero da responsabilità per l’omessa custodia dei dati, come ritiene il ricorrente; ma quale circostanza che obiettivamente infirma la riconducibilità della divulgazione al comportamento dei convenuti, ben potendo la … avere tratto le sue informazioni dai precedenti articoli dei quotidiani, anziché dalla banca dati del Casinò.

Sotto questo profilo si spiega l’addebito al ricorrente di non avere compiutamente assolto all’onere della prova dell’illecito.

Correttamente rileva il ricorrente che, in linea di principio, l’onere della prova della mancata custodia è a carico del danneggiante, come disposto dall’art. 2050 cod. civ., richiamato dall’art. 15 della legge speciale.

Ma se ciò vale senza alcun limite nei casi in cui le notizie riservate non fossero note, prima della loro diffusione, nel caso contrario il danneggiato non può ritenersi esentato da ogni onere di dimostrare, o quanto meno di indicare elementi presuntivi idonei a motivare la convinzione che la divulgazione sia riconducibile al convenuto, e non alle altre fonti che abbiano in precedenza pubblicato le medesime informazioni.

5.1.- Per quanto poi concerne la lettera 7 gennaio 2004 del B. , non vi è dubbio che essa abbia costituito la fonte unica e diretta della pubblicazione.

Ma in primo luogo la sanzione irrogata al P. , che costituisce il fatto riservato in relazione al quale si addebita la responsabilità, era comunque già noto.

In secondo luogo il comportamento del convenuto ed il contenuto della lettera manifestano palesemente la reazione ad una polemica, a cui l’agenzia web ha dato corpo, circa il fatto che personaggi accusati di gravi illeciti manifestassero vicinanza al sindaco di Campione ed al Casinò: polemiche ed accuse dalle quali il B. ha voluto difendersi.

L’intervento configura pertanto esercizio di un diritto, se non anche di un dovere, del responsabile del Servizio di controllo, a salvaguardia della correttezza di comportamento dell’ente e dei suoi responsabili.

In quanto tale non costituisce un illecito.

È chiaro che i principi in tema di tutela della riservatezza vanno coordinati, oltre che con quelli che attengono all’interesse pubblico ed al diritto della collettività all’informazione, con le esigenze di salvaguardia di interessi, pubblici e privati, all’onorabilità delle proprie frequentazioni, alla correttezza ed al rigore dei propri comportamenti, analoghi a quelli di cui qui si tratta.

6.- Il terzo motivo, che attiene all’esistenza ed alla quantificazione dei danni, risulta assorbito.

7.- Il ricorso deve essere rigettato.

8.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte di cassazione rigetta i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbito il terzo motivo. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 12.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

 

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