Considerazioni in tema di art. 182 cpc e di foro consumeristico ex art. 14 d.lgs. 206/2005 (G. Fedeli)

 

CONSIDERAZIONI IN TEMA DI ART. 182 CPC E DI FORO CONSUMERISTICO EX ART. 14 D.LGS. 206/2005

Giuseppe Fedeli

 

 

L’art. 182, II° comma, c.p.c., è stato fatto oggetto di un incisivo rimaneggiamento operato con la Legge n. 69/2009, in vigore dal 4 luglio 2009, tale da comportare implicazioni atte a consentire “sanatorie” e “rimessioni in termini allargate” per irregolari ( o nulle) costituzioni in giudizio, sia da parte dell’attore che del convenuto. Detta la disposizione in analisi: “Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziale e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”. La procura ad litem, conferita all’avvocato P.A., da parte degli avvocati L. T. e R. A., persone diverse dal soggetto, S. M. V., appunto, cui l’Amministratore Delegato della compagnia telefonica conferiva specifici poteri di rappresentanza, è invalida in forza del principio secondo cui “il potere di rappresentanza processuale, con la relativa facoltà di nomina dei difensori, può essere conferito soltanto a colui che sia investito anche di un potere rappresentativo di natura sostanziale, in ordine al rapporto dedotto in giudizio” ( si vedano sul punto Cass., SS. UU., 8.5.1998, n. 4666, Cass. n. 10287/90). Pertanto, non si può conferire la legittimazione cd. processuale rappresentativa ad un soggetto che non rivesta la qualità di rappresentante anche nel campo sostanziale, essendo esclusa la possibilità di una rappresentanza puramente processuale.

La capacità processuale -di agire-, espressamente prevista dall’art 75 cpc, altrimenti detta legitimatio ad processum, non va confusa con la legitimatio ad causam, la prima –i.e. la capacità di esercitare validamente tutte le posizioni giuridiche soggettive che la legge ascrive a chi è parte nel processo, e quindi di compiere, tramite procuratore, validamente tutti gli atti e negozi processuali che la legge prevede siano possibili per le parti, essendo l’omologo processuale di quella che è la capacità di agire sul piano sostanziale -che è l’attitudine, la capacità di porre in essere validamente atti o negozi giuridici). Atteso che la previsione per cui il giudice ha la “possibilità” di concedere un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio vale -nondimeno- ad ammettere la sanatoria di una nullità, nel duplice significato:

a) l’invalidità derivante dall’incapacità processuale della parte è sanabile, appunto perché “può” essere sanata con “la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza” o con “il rilascio delle necessarie autorizzazioni”;

b) la sanatoria “deve” tuttavia essere promossa dal giudice, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa.

Quanto al limite delle decadenze già maturate, imposto dall’art. 182 comma 2 c.p.c., esso renderebbe la norma del tutto superflua, se fosse riferibile anche alle decadenze processuali, anziché solo a quelle sostanziali, perché non avrebbe ragione la concessione di un termine per il compimento di attività dalle quali la parte non sia ancora decaduta. Si deve pertanto concludere nel senso che (fermo che le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti, segnatamente con la regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui l’invalidità si riferisce), l’intervento del giudice inteso a promuovere la sanatoria è obbligatorio, va esercitato in qualsiasi fase o grado del giudizio, ed ha efficacia ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (Cassazione civile, Sezioni unite, sentenza 13 – 19 aprile 2010, n. 9217; si veda ex recentioribus Corte di Cassazione, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26465 del 09/12/2011; nel senso che si deve equiparare la nullità della procura “ad litem” al difetto di rappresentanza processuale: Corte di Cassazione, Sez. U, Sentenza n. 28337 del 22/12/2011).

Quanto alla dedotta incompetenza territoriale del giudice adito, ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 206/2005, monoliticamente suffragato in lectione dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (posto che non v’ha dubbio come l’attore rivesta nella specie la qualifica di “consumatore”, alla stregua della Giurisprudenza consolidata della Suprema Corte -che definisce, per l’appunto, “consumatore”, in conformità all’art. 3 D.Lgs n. 206/2005, qualsiasi La persona fisica che agisca per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale eventualmente svolta e rappresenta la parte più debole per la quale opera una presunzione legale juris et de jure: in tal senso Cass. Civ. 25/07/2001 n. 10127), va rammentato il principio per cui “Dev’essere considerato consumatore e beneficia della disciplina di cui agli art. 1469 bis e ss. c.c. [oggi integralmente riversata nel D. Lgs.vo 206/05] la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di detta attività; mentre dev’essere considerato “professionista” tanto la persona fisica quanto quella giuridica che invece utilizza il contratto nel quadro della propria attività professionale” (ex multis Cass. Civ. 10127/07). Peraltro, autorevole giurisprudenza di merito, oltreché la Corte di Giustizia CE, è andata anche oltre l’assunto della norma in questione, ritenendo comunque applicabile tutta la disciplina posta a tutela del consumatore, anche per la conclusione di contratti relativi a beni e servizi, quando gli stessi non siano comunque inquadrabili tra le manifestazioni dell’attività svolta dall’imprenditore. E così, “è’ consumatore anche colui che acquista un bene o richiede la prestazione di un servizio nel quadro dell’attività professionale svolta, qualora la stipulazione del relativo contratto non sia inquadrabile tra le manifestazioni di detta attività” (Tribunale di Roma, 20 ottobre 1999), e nello stesso tempo anche il Tribunale di Lucca 4 luglio 2000. Peraltro, la stessa Corte di Giustizia CE 20 gennaio 2005, nella causa C464/01 ha confermato l’applicabilità della disciplina relativa ai contratti conclusi dal consumatore pure in tutti i casi in cui “il nesso tra detto contratto e l’attività professionale svolta fosse talmente modesto da divenire marginale”. Dalla qualità di consumatore, attribuibile al contraente nei citati esempi, discende, inequivoca, l’applicabilità dell’art. 33 del D. Lgs.vo 206/05 (diversi elementi militano a favore di tale divisamento: se è vero che l’utenza telefonica fissa è riferibile alla professione del G. è del pari vero e indubitabile che la stessa utenza si riferisce all’abitazione dell’attore e della di lui famiglia, che intendeva beneficare della promozione; altrettanto dicasi in riferimento alle altre due utenze mobili, pure esse incluse nella proposta contrattuale, riferibili l’una all’attore, l’altra alla di lui figlia: onde l’uso promiscuo in relazione al contratto di telefonia, e l’assenza di elementi “sostanziali” da cui evincere che il G. medesimo abbia sottoscritto il contratto in parola esclusivamente per finalità inerenti alla propria attività di medico di base) che, ricalcando quanto precedentemente disposto dagli art. 1469 bis e ss. c.c., dispone espressamente: “si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Nella soggetta materia si applica, dunque, la disciplina del Codice del Consumo, in specie l’art. 14, che prevede il foro consumeristico come esclusivo e inderogabile  Il che è assorbente/dirimente rispetto al criterio afferente l’applicabilità dei fori facoltativi per le cause relative ai diritti di obbligazione- regole generali di cui al codice di rito civile, onde, in assenza di specifica approvazione per iscritto delle clausole derogatorie della competenza territoriale, deve comunque ritenersi, ai sensi dell’art. 20 c.p.c. la competenza del Giudice di Pace di Civitanova Marche in quanto questo è il luogo in cui l’obbligazione – dedotta in giudizio – è sorta ovvero il locus destinatae solutionis. 

 

 

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