Confisca per equivalente, “reati-contratto” e “reati in contratto” (A. Francillotti)

 

CONFISCA PER EQUIVALENTE, “REATI-CONTRATTO” E “REATI IN CONTRATTO”

Arianna Francillotti

(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 7-8/2012)

 

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20976 del 31 maggio 2012, si è espressa con un’interessante pronuncia sul tema della confisca per equivalente.

In particolare, ha differenziato le ipotesi di confisca in relazione ai c.d. “reati-contratto” da quelle relative ai c.d. “reati in contratto”, tipologie delittuose riconducibili entrambe ai c.d. “reati plurisoggettivi”: la prima tipologia delittuosa – i “reati-contratto” – ricorre ogni qual volta è la stipulazione di una ben determinata tipologia contrattuale ad integrare gli estremi della condotta penalmente rilevante. La legge incrimina ex se la stipulazione del contratto, a prescindere da quanto avvenuto nella fase delle trattative o nella fase esecutiva. Esempio classico è l’acquisto di sostanze stupefacenti, dove con nitidezza emerge l’identificazione tra negozio giuridico e reato.

Diverso è il caso dei c.d. “reati in contratto” dove la condotta penalmente rilevante e che il legislatore ritiene meritevole di sanzione non è il contratto in quanto tale, ma la condotta tenuta nella fase delle trattative o in quella dell’esecuzione. Esempi di scuola sono i reati di truffa, circonvenzione di incapace o estorsione.

Questa distinzione diventa di fondamentale importanza quando entra in gioco l’istituto della confisca per equivalente, come nel caso posto all’attenzione dei giudici di legittimità.

Nel caso di specie, veniva disposto il sequestro preventivo – preordinato alla successiva confisca ex art. 322-ter c.p. – per il reato di truffa ai danni dello Stato, commesso da una persona giuridica, ma sequestro esteso anche alle somme possedute da persone fisiche che di quella società erano i legali rappresentanti.

Innanzitutto, la Corte ha ben sottolineato che nel caso in cui vi sia un concorso tra la responsabilità individuale e quella prevista per le persone giuridiche (Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231), non vi è alcuna disposizione codicistica o di parte speciale che impone che venga escusso solo il patrimonio dell’ente a cui vantaggio è destinata l’azione delittuosa; né, tanto meno, è necessario procedere alla preventiva escussione del patrimonio della persona giuridica per poi rifarsi su quello della persona fisica qualora il primo risulti incapiente (Cass., Sez. III, 27 gennaio 2011, n. 7138; Cass., Sez. II, 20 dicembre 2006, n. 10838).

Pertanto, se il principio solidaristico impone che l’azione delittuosa sia posta a carico di ciascun concorrente, anche interamente, “atteso il carattere sanzionatorio della confisca per equivalente, la stessa può quindi interessare ciascuno dei concorrenti fino all’intera entità del prezzo o del profitto del reato” (Cass., Sez. II, 31 maggio 2012, n. 20976), non rilevando affatto l’eventuale criterio di riparto delle somme tra di essi.

Inoltre, come in precedenza chiarito dalla Suprema Corte in tema di confisca per equivalente del profitto derivante dal reato di corruzione, essa “può incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso” (Cass., Sez. VI, 5 marzo 2009, n. 26611).

Come ricostruire la confisca per equivalente nei “reati-contratto” e nei “reati in contratto”?

In materia di truffa ai danni dello Stato ex art. 640, co. 2, c.p., l’art. 640-quater c.p. prevede l’applicabilità dell’art. 322-ter c.p. il quale a sua volta stabilisce che “è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo”. Sia dato sottolineare come ormai sia pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza, che per “profitto” si intende il guadagno o il vantaggio economico che si trae dall’illecito penale e che si caratterizza per la sua stretta pertinenzialità al reato, costituendone una conseguenza economica immediata e diretta, mentre per “prezzo” si intende la somma di denaro o qualsiasi altra utilità data o promessa come corrispettivo del reato.

Nel caso dei “reati-contratto”, dove – come già si è detto – si assiste ad un’immedesimazione tra reato e negozio giuridico, tutto quanto deriva dal negozio-reato sarà sequestrabile e, di conseguenza, confiscabile, perché direttamente derivante dal reato. E – come precisa la stessa Corte – non vi sarà spazio alcuno per l’uso di parametri valutativi “aziendalistici” e, in particolare, “non è possibile distinguere fra il profitto e l’utile “netto”, cioè l’effettivo guadagno percepito dal reo. Tutta la prestazione è, per così dire, geneticamente marchiata di illiceità e deve essere confiscata” (Cass., Sez. II, 31 maggio 2012, n. 20976).

Diversamente, nei “reati in contratto” il profitto che l’agente ricava dalla condotta penalmente rilevante – a prescindere dalla sua realizzazione prima o dopo la stipulazione del contratto – non è interamente ricollegabile al fatto-reato, “giacché la legge penale non stigmatizza la stipulazione contrattuale tout court, ma esclusivamente il comportamento tenuto, nel corso delle trattative o della fase esecutiva, da una parte in danno dell’altra” (Cass., Sez. II, 31 maggio 2012, n. 20976).

In questo caso, il profitto del reato confiscabile non corrisponde a qualsiasi prestazione percepita a seguito dell’esecuzione del rapporto contrattuale, ma solo al vantaggio economico direttamente derivante dal fatto illecito.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, trattavasi di un “reato-contratto” per cui ben i giudici hanno fatto a rigettare il ricorso e ritenere legittimo il sequestro e la successiva confisca perché – come da essi specificato – “essendovi la totale immedesimazione del reato con il negozio giuridico, l’intero prezzo è sequestrabile, senza fare alcun riferimento alla distinzione fra questo ed il profitto”.

L’unica nota – per così dire – stonata la si rinviene proprio nella dicitura “l’intero prezzo è sequestrabile, senza fare alcun riferimento alla distinzione fra questo ed il profitto” perché se è pur vero che nei “reati-contratto” non vi è distinzione alcuna tra profitto e prezzo del reato, la “raffinatezza giuridica” che agli “ermellini” si richiede dovrebbe imporre loro di utilizzare i termini nel loro esatto significato. Ed in questo caso, il termine “profitto” era quello più giusto.

 

 

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