Il diritto di abitazione blocca il pignoramento? Cassazione, sez. III, 19 luglio 2012, n. 12466

 

IL DIRITTO DI ABITAZIONE BLOCCA IL PIGNORAMENTO?

Cassazione, sez. III, 19 luglio 2012, n. 12466

 

  Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per 9 anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni

 

 

Cassazione, sez. III, 19 luglio 2012, n. 12466

(Pres. Uccella – Rel. Amendola)

 

Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con ricorso ex art. 619 cod. proc. civ. depositato in data 15 settembre 2004 A..A. espose che l’Impresa Jelmini, creditrice di V..B. , aveva pignorato, con atto trascritto il 17 maggio 2002, l’immobile sito in (omissis) , del quale il debitore era proprietario solo per la metà; che tale esecuzione era invalida e inefficace, posto che sul cespite ella vantava un diritto di abitazione, essendo stato lo stesso a lei assegnato, quale affidataria del minore L.H. , nel giudizio di separazione, definito con sentenza n. 826 del 1999, trascritta in data 23 maggio 2002; che tale provvedimento era opponibile al terzo acquirente per la durata di un novennio dalla data della sua adozione; che peraltro l’immobile pignorato era stato acquistato in regime di comunione legale ed apparteneva, pertanto, pro indiviso, anche a lei.

Costituitasi in giudizio, l’Impresa OMISSIS contestò le avverse deduzioni.

Nel giudizio si costituì anche, con comparsa di intervento del 15 aprile 2005, Intesa Gestione Crediti s.p.a. (procuratore di Banca Intesa s.p.a.), creditrice ipotecaria, la quale assunse, tra l’altro, che, ai sensi dell’art. 2812 cod. civ., il diritto di abitazione trascritto dopo l’iscrizione della garanzia non era ad essa opponibile, con conseguente sua facoltà di chiedere la substazione dell’immobile come libero.

Con sentenza del 17 luglio 2006 il Tribunale di Busto Arsizio respinse l’opposizione, compensando integralmente tra le parti le spese del procedimento.

Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione A.A. , formulando tre motivi.

Resistono con due distinti controricorsi Impresa OMISSIS s.r.l. e Italfondiario s.p.a., nella qualità di procuratore di Intesa San Paolo s.p.a. (già Banca Intesa s.p.a.), quest’ultima proponendo altresì ricorso incidentale condizionato affidato a un solo mezzo.

Motivi della decisione

1 Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità assoluta della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. Evidenzia che l’opposizione era stata da lei proposta in proprio e quale legale rappresentante del figlio minore B.L.E. , laddove né dall’epigrafe, né dal dispositivo, né dal corpo della motivazione della sentenza impugnata, risultava riferimento alcuno al minore da essa rappresentato, minore il cui nominativo era completamente assente.

2 Le critiche seno infondate.

L’omessa menzione del minore, in nome e per conto del quale, oltre che in proprio, l’opponente ha agito, integra un semplice errore materiale. Si ricorda che la mancata indicazione espressa della parte nella sentenza – non prescritta a pena di nullità dall’art. 132, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ. – non ne determina la nullità per inidoneità al raggiungimento dello scopo ove l’atto abbia indicato un provvedimento intervenuto nel corso del processo il cui contenuto consenta di individuare per relationem il soggetto non menzionato, dovendosi ritenere, in applicazione dei principi di cui all’art. 156, secondo e terzo comma, cod. proc. civ., che la pronuncia, pur carente di un requisito formale, sia comunque idonea a soddisfare lo scopo al quale è preposta l’indicazione delle parti (confr. Cass. civ. 11 novembre 2011, n. 236709).

In sostanza dirimente, al fine di stabilire se l’omissione incida sulla validità della sentenza, è la sussistenza o meno di una situazione di incertezza in ordine ai soggetti tra i quali si è costituito il contraddittorio e ai quali, quindi la decisione si riferisce (confr. Cass. civ. 26 marzo 2010, n. 7343).

Nella fattispecie, il semplice riferimento alla procura a margine della comparsa di nuovo difensore, contenuto nell’intestazione della sentenza impugnata, nonché alla qualità dell’opponente di affidataria del minore L.H. , fugano ogni dubbio in ordine alle parti del giudizio tra le quali la decisione è stata resa.

3 Con il secondo mezzo si lamentano vizi motivazionali con riferimento al punto della controversia riguardante la comproprietà dell’immobile oggetto di esecuzione forzata.

Le critiche si appuntano contro l’affermazione del giudice di merito secondo cui il bene pignorato era di esclusiva spettanza del debitore esecutato, nonché coniuge separato dell’opponente, B.V. , di talché la tesi difensiva dell’A. – di essere titolare, pro indiviso, della metà del bene stesso – non aveva alcun fondamento. Significativo era in proposito, secondo il giudice di merito, che il B. avesse stipulato il preliminare di vendita con Impresa Jelmini s.a.s. in data 8 novembre 1991 e che la proprietà del cespite fosse stata trasferita con sentenza ex art. 2932 cod. civ., resa dal Tribunale di Busto Arsizio in data 21 gennaio 2002. In tale contesto, sia a volere accedere alla tesi, peraltro minoritaria, secondo cui gli effetti traslativi di tale pronuncia retroagisco al momento della stipulazione del preliminare, sia a voler ritenere che l’effetto traslativo si verifichi alla data della sentenza, non poteva ipotizzarsi sotto alcun profilo l’ingresso dell’immobile nel patrimonio comune dei coniugi, considerato che la comunione legale era venuta meno alla data della separazione, e cioè l’11 giugno 1999.

Secondo l’esponente tale giudizio sarebbe viziato da mancata, adeguata considerazione della documentazione versata in atti.

E invero, se certamente il preliminare di vendita era stato stipulato prima del matrimonio, l’effetto acquisitivo del diritto si era prodotto successivamente. Considerato allora che la sentenza di separazione in data 11 giugno 1999 era diventata definitiva il 10 ottobre 2000; che, ai sensi dell’art. 191 cod. civ., lo scioglimento della comunione legale si era verificato solo in siffatto momento (confr. Cass. civ. 27 febbraio 2001, n. 2844); che l’Impresa Jelmini aveva notificato domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto il 5 ottobre 1999, quando i coniugi erano ancora in regime di comunione, l’effetto acquisitivo del diritto, stante la retroattività della sentenza ex art. 2932 cod. civ. si era prodotto sin dalla domanda introduttiva del giudizio.

Aggiunge anche l’impugnante che l’immobile era stato consegnato al B. in costanza di matrimonio; che sempre in costanza di matrimonio il mutuo era stato frazionato e che il B. aveva potuto fruire di benefici connessi alla convenzione stipulata dalla impresa costruttrice con il Comune proprio in ragione del fatto che la futura moglie era colà residente.

4 Con il terzo motivo la ricorrente denuncia vizi motivazionali con riferimento al mancato riconoscimento dell’opponibilità al creditore pignorante del diritto personale di godimento suo e del figlio sul bene pignorato, in forza del provvedimento di separazione. Le critiche hanno quindi ad oggetto quella parte della sentenza impugnata in cui il decidente ha escluso che l’assegnazione della casa familiare possa considerarsi istituto affine alla locazione, conseguentemente negando, in difetto di espressa previsione, l’applicabilità della norma in tema di opponibilità al terzo delle locazioni infranovennali, ritenendola consentita, senza limiti predeterminati di tempo, solo in presenza della trascrizione del provvedimento di assegnazione (confr. Cass. civ. 6 maggio 1999, n. 4529).

Sostiene per contro l’impugnante che la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell’affermare che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – se il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni (confr. Cass. civ. 26 luglio 2002, n. 11096).

Nella fattispecie l’assegnazione dell’immobile pignorato aveva data certa anteriore al pignoramento. Esso era pertanto indiscutibilmente opponibile ai terzi per un novennio, a decorrere dalla data di assegnazione.

5 Le critiche sono prive di pregio, ancorché la motivazione della sentenza impugnata debba essere, in qualche punto, integrata e corretta, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ..

Contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito, invero, lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, con effetto ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale, non spiegando, per converso, alcun effetto, al riguardo, il provvedimento presidenziale di cui all’art. 708 del codice di rito, autorizzativo dell’interruzione della convivenza tra i coniugi, stante il contenuto del tutto limitato e la funzione meramente provvisoria dello stesso (confr. Cass. civ. 12 gennaio 2012, n. 324; Cass. civ. 26 febbraio 2010, n. 4757).

Vero è, invece, che la sentenza di esecuzione in forma coattiva dell’obbligo di contrarre, ex art. 2932 cod. civ., produce gli effetti del contratto definitivo, che è destinata a surrogare, solo con il passaggio in giudicato (confr. Cass. civ. 28 febbraio 2011, n. 4907; Cass. civ. sez. un. 22 febbraio 2010, n. 4059).

Ne deriva che, secondo la stessa prospettazione dell’impugnante, l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà sull’immobile staggito si è verificato in un momento in cui la comunione legale era già sciolta, di talché di quel diritto è titolare, in via esclusiva, il debitore esecutato.

6 Infine l’esistenza di un provvedimento di assegnazione non è elemento che possa incidere sulla pignorabilità del bene.

È invero giurisprudenza consolidata di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, che, ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo sostituito dall’art. 11 della legge 6 marzo 1937, n. 74), applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni (confr. Cass. civ. sez. un. 26 luglio 2002, n. 11096; Cass. civ. 10 giugno 2006, n. 12296).

Merita evidenziare, per quanto qui interessa, che a siffatte conclusioni il Supremo Collegio è pervenuto all’esito di una completa ricostruzione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, valorizzando la ratio della norma in discorso e le esigenze di ordine sistematico, in base alle quali, diventa agevole, superando le ambiguità del tenore letterale dell’art. 6 comma 6, della legge sul divorzio (…), ravvisare nel richiamo all’art. 1599 c.c. in esso contenuto, la precisa volontà del legislatore di assimilare al meri fini della trascrizione, il diritto dell’assegnatario a quello del conduttore, così attribuendo all’istituto un quoziente di opponibilità ai terzi, anche a prescindere dalla trascrizione. In tale contesto va pertanto affermato che il diritto vantato dall’assegnataria, opponibile a terzo acquirente, non paralizza tuttavia quello del creditore di procedere in executivis sul bene oggetto dell’assegnazione, pignorandolo e facendolo vendere coattivamente, di talché la scelta adottata nella sentenza impugnata va confermata sia pure per ragioni diverse da quelle addotte dal giudice di merito.

7 Resta assorbito l’esame del ricorso incidentale, in quanto espressamente proposto in via subordinata, per il non creduto caso di accoglimento del ricorso proposto dalla signora A.A. (pag. 13 del controricorso), e quindi sostanzialmente, anche se non formalmente, condizionato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (di cui Euro 4.000,00 per onorari), oltre IVA e CPA, nei confronti di Impresa Jelmini Felice s.r.l. e in Euro 4.000,00 (di cui Euro 3.800,00 per onorari), oltre IVA e CPA, nei confronti di Italfondiario, nella qualità.

 

 

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