DISTANZE TRA EDIFICI. CHI HA IL DIRITTO DI VEDUTA GODE DI UNA FASCIA DI RISPETTO DI TRE METRI
Cassazione, sez. II, 11 luglio 2012, n. 11729
In ipotesi di nuova costruzione, l’art. 907, primo comma, cod. civ. va interpretato nel senso che la distanza di tre metri dalla soglia dalla quale si esercita la veduta opera non solo nella proiezione orizzontale, ma anche in quella verticale; ne consegue che, impregiudicata, nel caso di specie, l’applicazione del disposto di cui all’art. 873 cod. civ. per intervenuta preclusione, la nuova costruzione deve essere ridotta per la parte eccedente, sia nella proiezione orizzontale che in quella verticale, il limite di tre metri dalla soglia di esercizio della veduta
Cassazione, sez. II, 11 luglio 2012, n. 11729
(Pres. Felicetti – Rel. Petitti)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 2 gennaio 1993 V.C. , A. e M.L. , premesso che erano proprietarie di due villette circondate da aree a verde site in (omissis) , esponevano che il proprietario confinante, S.M.A. , aveva costruito e di recente sopraelevato un edificio a distanza illegale dalla villetta individuata con il numero due, violando il diritto di veduta diretta e l’art. 873 cod. civ. Convenivano, pertanto, dinanzi al Tribunale di Napoli, i coniugi S.M.A. e B.G. , in regime di comunione legale, per sentir accertare che l’edificio di loro proprietà si trovava a distanza illegale, con condanna alla demolizione del fabbricato sino a ridurlo nei limiti di legge, nonché al risarcimento dei danni da liquidare in separato giudizio.
Si costituivano i convenuti. S.M. eccepiva proprio difetto di legittimazione passiva per non essere più proprietario dell’edificio; la B. deduceva che non si trattava di nuova costruzione, ma della modifica strutturale di un vecchio manufatto, esistente dal 1965, delle stesse dimensioni e che non era stata violata alcuna distanza, poiché le attrici avevano costruito successivamente, mentre la pretesa servitù di veduta si era comunque estinta per prescrizione; la convenuta spiegava domanda riconvenzionale per sentir accertare l’intervenuta prescrizione del diritto.
Il Tribunale di Torre Annunziata, cui la causa era stata trasferita a seguito della sua istituzione, con sentenza depositata il 14 giugno 2005, dichiarava inammissibile la domanda proposta nei confronti di S.M.A. e accoglieva la domanda proposta nei confronti della B. , che condannava a rimuovere il manufatto oggetto di causa, accertando altresì il diritto delle attrici al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, rigettando la domanda riconvenzionale.
Accertata la preesistenza del diritto di veduta delle attrici, il Tribunale riteneva che la costruzione del manufatto oggetto di lite violasse le distanze di cui all’art. 907 cod. civ., risultando in gran parte annullato il diritto di veduta ai sensi dell’art. 1067, secondo comma, cod. civ..
Avverso questa sentenza B.G. interponeva appello nei confronti di V.C. , M.L. ed E. , in proprio e quali eredi di A..V. . L’appello veniva notificato, quale mera litis denuntiatio, anche a S.M.A. . Si costituivano le appellate, le quali proponevano appello incidentale chiedendo che ove la Corte avesse ritenuto che il manufatto dovesse essere soltanto arretrato e non demolito, venisse individuata la parte da arretrare misurando la distanza di cui all’art. 907 cod. civ. dal piano di calpestio del terrazzo di loro proprietà, dal quale era esercitata la veduta, e non dal margine superiore della ringhiera.
L’adita Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 30 dicembre 2009, accoglieva l’appello principale rigettando la domanda delle originarie attrici e dichiarando assorbito l’appello incidentale, con compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
Dopo aver rilevato che le appellate non avevano riproposto, cosi come era loro onere, la domanda volta ad ottenere la tutela di cui all’art. 873 cod. civ., sulla quale il primo giudice aveva omesso di pronunciare, e che quindi la detta questione esulava dall’oggetto del giudizio di appello, la Corte territoriale accoglieva il secondo motivo di gravame con il quale si era sostenuta la inapplicabilità dell’art. 907 cod. civ. al caso di specie per difetto dei presupposti di fatto richiesti dalla norma. In proposito la Corte d’appello affermava di condividere la sentenza n. 1268 del 1989 di questa Corte, secondo cui il divieto di fabbricare a distanza inferiore a tre metri dalla veduta diretta del vicino riguarda le costruzioni – non in appoggio o in aderenza – che raggiungono o superano in altezza il livello della veduta, mentre non opera per le costruzioni che non eccedono detto livello, le quali, solo se appoggiate al muro in cui è aperta la veduta diretta devono arrestarsi ad almeno tre metri sotto la sua soglia, secondo quanto stabilito dall’art. 907, terzo comma, cod. civ., restando le diverse ipotesi soggette solo alla disciplina dell’art. 873 cod. civ., in tema di distanze tra costruzioni. La distanza di tre metri in linea verticale prevista dal terzo comma, in sostanza, osservava la Corte territoriale, deve essere osservata soltanto nel caso in cui la nuova costruzione sia appoggiata al muro nel quale sia stata aperta la preesistente veduta, risultando in contrasto con il chiaro dettato normativo l’opzione interpretativa secondo cui alla ipotesi espressamente considerata dal citato terzo comma dell’art. 907 cod. civ. dovrebbe essere equiparata l’altra, in cui la costruzione, pur non realizzata in appoggio, si trovi a distanza di meno di tre metri in senso orizzontale. Secondo la richiamata pronuncia, l’art. 873 vale a tutelare l’ipotesi in cui la costruzione sia stata realizzata a meno di tre metri dal muro altrui.
Nel caso di specie, osservava la Corte territoriale, la situazione dei luoghi imponeva di escludere l’applicabilità dell’art. 907, terzo comma, cod. civ. atteso che l’orografia dei luoghi era connotata da un sistema di terrazzamenti degradanti verso il mare e le villette di proprietà delle appellate si trovavano ad una quota superiore rispetto alla costruzione in muratura oggetto di controversia, la cui quota di copertura risultava di pochi centimetri sottoposta rispetto al piano di calpestio dell’area cortilizia antistante la proprietà delle appellate, sulla quale era infissa la ringhiera che consentiva l’affaccio. La costruzione dell’appellante non era né appoggiata né realizzata in aderenza al muro di contenimento sul quale era infissa la ringhiera, ma era separata da esso da un vialet-to appartenente in via esclusiva alla B. . La circostanza che la costruzione di quest’ultima non raggiungesse in altezza il livello della veduta, ed anzi si trovasse alcuni centimetri al di sotto del piano di calpestio della terrazza, valeva ad escludere l’applicabilità dell’art. 907, primo comma, cod. civ., che impone l’obbligo della distanza di tre metri in linea orizzontale, mentre il fatto che la nuova costruzione non fosse appoggiata al muro e non fosse stata realizzata in aderenza ad esso, precludeva l’applicazione del terzo comma dell’art. 907, che prevede la distanza minima di tre metri in linea verticale solo per le costruzioni in appoggio ovvero, secondo la prevalente interpretazione, in aderenza.
Per la cassazione di questa sentenza V.C. , M.L. ed E. hanno proposto ricorso affidato ad un motivo, cui ha resistito con controricorso G..B. .
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, le ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 907 e 905 cod. civ. Dopo aver ricordato il differente orientamento, rispetto a quello recepito dalla Corte d’appello, espresso dalla sentenza numero 56 del 1976, le ricorrenti sostengono che la Corte d’appello non avrebbe considerato la sentenza n. 11217 del 1991, che ha affermato il principio per cui la nuova costruzione che risulti in appoggio (o in aderenza) non al muro in cui si apre la preesistente veduta del vicino bensì ad un muro – a questo addossato – dello stesso proprietario della costruzione, non è soggetta all’osservanza della distanza verticale di tre metri dalla soglia della veduta prescritta dal terzo comma dell’articolo 907 cod. civ., che trova applicazione solo nel caso di appoggio della costruzione al muro nel quale si trova la veduta, bensì deve rispettare da questa la distanza di tre metri in linea orizzontale misurata a norma dell’art. 905 cod. civ., come disposto dal primo comma dell’art. 907 cod. civ., ove la nuova costruzione, anche se non raggiunga in altezza il livello della veduta, si levi in linea verticale oltre la distanza di tre metri dalla soglia della veduta stessa. Censura quindi la sentenza impugnata per non aver ritenuto che l’obbligo di rispettare le distanze dettate dal citato primo comma dell’art. 907 valga anche in caso di costruzioni che non siano in appoggio o in aderenza e che non raggiungano in altezza il livello della veduta.
In applicazione di tale principio la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere illegittima l’edificazione di opere a distanza orizzontale inferiore a tre metri dal punto in cui si esercita un diritto di veduta, anche nell’ipotesi in cui tale edificazione non sia in aderenza al fabbricato da cui la veduta è esercitata e la stessa, pur non superando la soglia della veduta, si arresti ad una distanza di meno di tre metri dalla parete da cui si esercita la veduta. In ogni caso, stante il rilevato contrasto, la ricorrente sollecita una decisione delle Sezioni Unite di questa Corte.
Le ricorrenti, pur non rientrando il ricorso nell’ambito di applicabilità temporale dell’art. 366-bis cod. proc. civ., formulano conclusivamente i seguenti quesiti di diritto: “1) dica la Suprema Corte se in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute, l’art. 907 1 comma cc., che impone al proprietario del fondo vicino di fabbricare a distanza non inferiore a tre metri dalla veduta si applichi o meno anche in caso di costruzioni non realizzate in appoggio o in aderenza al fabbricato dal quale si esercita la veduta e in caso di fabbricati che, pur non raggiungendo la soglia del punto dal quale si esercita la veduta, si arrestino ad un’altezza inferiore a meno di tre metri dallo stesso punto di veduta. 2) dica la Suprema Corte se in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute, l’art. 907 III comma cc., che impone, in caso di edificazione in appoggio al muro dove si esercita una veduta di arrestare tale edificazione ad almeno tre metri al di sotto della soglia della stessa, sia applicabile o meno anche alla costruzione che, pur non edificata in appoggio o in aderenza, si erga a distanza orizzontale inferiore a tre metri dal muro ove si esercita la veduta”.
2. Il ricorso è fondato.
2.1. Per una corretta disamina delle questioni poste con il ricorso, pare opportuno premettere che la Corte d’appello – con statuizione non censurata – ha rilevato che sulla questione, pure dedotta dalle originarie attrici, della violazione dell’art. 873 cod. civ., per effetto dell’intervento edilizio di parte convenuta, il Tribunale di Torre Annunziata ha omesso di provvedere e che tuttavia la questione stessa non era stata riproposta in sede di appello, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., sicché ogni accertamento sul punto è rimasto precluso in appello. In assenza di impugnazione su tale statuizione della Corte d’appello, la questione esula anche dall’ambito del presente giudizio di legittimità, nel quale, quindi, dovrà valutarsi se, nella specie, sussista o no la denunciata violazione degli artt. 907 e 905 cod. civ..
2.2. Ciò premesso, giova ricordare che l’art. 907, primo comma, cod. civ., stabilisce che “Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’art. 905”.
Nella interpretazione di questa disposizione si è affermato che “le vedute, implicando il diritto ad una zona di rispetto, che si estende per tre metri in direzione orizzontale della parte più esterna della veduta e per tre metri in verticale rispetto al piano corrispondente alla soglia della veduta medesima, comporta che ogni costruzione che venga a cadere in questa zona è illegale e va rimossa” (Cass. n. 4389 del 2009; Cass. n. 5390 del 1999; Cass. n. 15381 del 2000).
Invero, “per effetto delle limitazioni previste dall’art. 907 cod. civ. a carico del fondo su cui si esercita una veduta, sia che le vedute siano state aperte jure servitutis, sia che vengano esercitate jure proprietatis, deve osservarsi un distacco di metri tre in linea orizzontale dalla veduta diretta, ed eventualmente anche dai lati della finestra da cui si esercita la veduta obliqua, e, in stretta correlazione strumentale con le limitazioni cui tendono i primi due commi dell’art. 907 cit., deve osservarsi analogo distacco anche in senso verticale per una profondità di tre metri al di sotto della soglia della veduta” (Cass. n. 45 del 1992).
Tali pronunce muovono dalla premessa che al titolare della veduta non siano riservati i soli benefici dell’aria e della luce, giacché la veduta consiste nell’inspicere e nel prospicere in alienum e la utilitas da essa apportata all’immobile in cui è aperta, è la completa e piena visione del fondo servente (Cass. n. 11217 del 1991). Il che comporta anche che “in ipotesi di nuova costruzione, l’obbligo della distanza in verticale di tre metri dalla soglia delle vedute esistenti nel fabbricato del vicino va osservato in ogni caso, senza alcuna distinzione tra costruzioni in appoggio e costruzioni in aderenza” (Cass. n. 4976 del 2000; Cass. n. 22954 del 2011).
L’art. 907 cod. civ., dunque, “pone un divieto assoluto, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione è a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni valutazione in concreto se essa sia o meno idonea ad impedire o ad ostacolare l’esercizio della veduta (Cass. n. 11199 del 2000; Cass. n. 12299 del 1997). La norma codicistica infatti enuclea in favore del titolare della veduta un diritto perfetto al rispetto della distanza legale da parte della costruzione del vicino, senza introdurre ulteriori condizioni”, non potendo, in particolare, la soddisfazione di tale diritto rimanere “condizionata dalle caratteristiche dell’opera eretta dal vicino, una volta che essa abbia i caratteri della costruzione in senso proprio, così come previsto dalla norma, che usa il termine fabbricare, da cui è enucleabile il sostantivo fabbricato o costruzione” (Cass. n. 12033 del 2011).
Si è inoltre precisato che, anche nel caso in cui la nuova fabbrica risulti essere meno alta dell’edificio nel cui muro vi è la veduta, non per questo verrebbe meno il contenuto proprio del diritto di veduta, come sopra delineato. In particolare, nella sentenza n. 11217 del 1991 si è ricordato che secondo alcune pronunce (v., segnatamente, Cass. n. 1268 del 1989) il divieto di costruire a distanza minore di tre metri dalla veduta diretta del vicino riguarderebbe le sole opere che raggiungano o superino in altezza il livello della veduta stessa; si è tuttavia ritenuto che tale orientamento potrebbe essere condiviso se al titolare della veduta fossero riservati i soli benefici dell’aria e della luce; ma, come detto, cosi non è, atteso che la veduta consiste nell’inspicere” e nel prospicere in alienum e la utilitas da essa apportata all’immobile in cui è aperta, è la completa e piena visione del fondo servente.
Del resto, ha osservato questa Corte nella sentenza n. 11217 del 1991, l’art. 907 cod. civ. richiama i criteri indicati dall’art. 905 per il calcolo della distanza, la quale, per effetto di tale rinvio, deve misurarsi tra il confine del fondo del vicino e la faccia esteriore del muro nel quale si trovi l’apertura, con la conseguenza che se la nuova opera non raggiunga in altezza la costruzione in cui è praticata la veduta, la distanza in orizzontale deve computarsi dal lato esterno del muro nel quale è situata la finestra e il punto più prossimo di un piano ideale che si elevi perpendicolarmente sulla linea di confine del fondo vicino (in tal senso v. anche Cass. n. 1927 del 1969).
Dall’interpretazione complessiva dell’art. 907 cod. civ., comprensiva anche del terzo comma (a norma del quale “se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia”), la Corte ha poi tratto la conseguenza che la disposizione del primo comma dello stesso articolo deve essere interpretata nel senso che la distanza o-rizzontale da quest’ultimo prescritta debba osservarsi soltanto per le costruzioni che si spingano in verticale oltre i tre metri al di sotto della soglia della veduta, in quanto, altrimenti, si perverrebbe alla illogica conclusione di ritenere illegittime, ai sensi del primo comma dell’art. 907 cod. civ., tutte le costruzioni di minima altezza, distanti anche di pochi centimetri dal muro della veduta, che sarebbero conformi a diritto se fossero, invece, appoggiata al muro.
2.3. A tale orientamento si contrappone la già citata Cass. n. 1268 del 1989, secondo cui le norme dell’art. 907 cod. civ. devono essere interpretate nel senso che “il divieto di fabbricare a distanza inferiore a tre metri dalla veduta diretta del vicino (art. 907 c.c.) riguarda le costruzioni – non in appoggio o in aderenza – che raggiungono o superano in altezza il livello della veduta, mentre non opera per le costruzioni che non eccedono detto livello, le quali, solo se appoggiate al muro in cui è aperta la veduta diretta, devono arrestarsi almeno tre metri sotto la sua soglia ai sensi del comma 3 del citato art. 907, restando in diversa ipotesi soggette solo alla disciplina dell’art. 873 c.c. in tema di distanze tra le costruzioni”.
Con tale pronuncia, questa Corte ha ritenuto inconciliabile con la chiara enunciazione della norma sia l’affermazione secondo cui la distanza de qua andrebbe rispettata in ogni direzione, a prescindere dalla posizione del fondo vicino e dalla ubicazione delle fabbriche elevate sul medesimo; sia l’affermazione che alla ipotesi espressamente enunciata dall’art. 907, terzo comma, cod. civ., andrebbe equiparata l’altra in cui la costruzione, pur non realizzata in appoggio, fosse a meno di tre metri in senso orizzontale. Un simile indirizzo, si è osservato, non spiega sufficientemente le ragioni della scelta, non potendosi del resto ritenere sufficiente a tal fine il rilievo che le due situazioni di fatto considerate esigerebbero una disciplina comune in vista di una comune ratio giustificatrice del distacco e della tutela delle vedute. Al contrario, secondo la richiamata sentenza, ragioni logiche e giuridiche impongono la rigorosa interpretazione della norma, limitandone l’applicazione quanto all’osservanza della distanza in senso verticale, al solo caso dell’appoggio della nuova costruzione al muro nel quale sia stata praticata la veduta. A tale proposito si è osservato che l’analitica regolamentazione legale delle vedute (artt. 900, 905, 906, 907 cod. civ.) impedirebbe di ipotizzare un’involontaria dimenticanza del legislatore e di ritenere che, anche in difetto di una esplicita menzione, la distanza de qua si applichi pure alle nuove costruzioni non in appoggio al muro alieno; e che, essendo il diritto di proprietà concettualmente illimitato, al pari dello jus aedificandi, che costituisce peculiare esplicazione delle potestà dominicali, le limitazioni a tale ampio diritto ed alle conseguenti potestà devono essere necessariamente previste dalla legge, la quale non potrebbe neanche essere interpretata analogicamente od anche solo estensivamente, ponendo limiti o condizioni non considerati dalla legge stessa ed a tutela di situazioni da questa non ritenute espressamente meritevoli di una particolare disciplina.
3. La Corte d’appello di Napoli ha deciso la controversia facendo applicazione del principio affermato da Cass. n. 12 68 del 1989, precisando che era fuori dal devolutum nel giudizio di appello la questione della violazione dell’art. 873 cod. civ., pure prospettata in primo grado, ma disattesa dal Tribunale e non riproposta in sede di gravame.
4. Il Collegio ritiene maggiormente rispondente non solo alla lettera, ma anche alla interpretazione sistematica dell’art. 907 cod. civ. la soluzione affermata al punto 2.2. della presente motivazione.
All’art. 907, terzo comma, cod. civ., valorizzato da Cass. n. 1268 del 1989 a sostegno della interpretazione qui non condivisa, non può invero essere attribuito un significato tale da escludere, per le costruzioni non in aderenza, l’operatività del generale criterio di distanza previsto dall’art. 907, primo comma. La disposizione di cui al terzo comma altra portata non ha che quella di chiarire che l’osservanza della distanza di tre metri da una veduta va applicata anche nel caso di costruzione in aderenza, fermo restando che, ove la nuova costruzione non sia in aderenza, non per questo potrebbe ritenersi che venga meno l’operatività della prescrizione del primo comma. Questo, in sostanza, opera in ogni direzione, e quindi non solo in orizzontale ma anche in verticale, ed impone conseguentemente che la nuova costruzione, anche nel caso in cui non sia in aderenza, non possa comunque essere posizionata ad una distanza inferiore di tre metri, nella duplice proiezione orizzontale e verticale, dalla soglia dell’apertura dalla quale si esercita la preesistente veduta. Di recente, in senso sostanzialmente conforme alla soluzione qui affermata, si è precisato che l’art. 907, ultimo comma, cod. civ., fa riferimento alla distanza della costruzione in genere dalla veduta e non della parte della costruzione perpendicolare alla veduta (Cass. n. 4608 del 2012).
Ovviamente, come chiaramente affermato da Cass. n. 11217 del 1991, ove una simile ipotesi si verifichi, l’adeguamento alla disciplina legale delle distanze dalla veduta comporta che la nuova costruzione debba essere demolita o arretrata non nella sua interezza, ma solo sino a ricostituire tra la nuova costruzione e la veduta una distanza di tre metri.
Il diverso risultato della integrale rimozione della nuova costruzione potrebbe discendere dalla applicazione della disciplina in tema di distanze legali; ma, come rilevato nella sentenza n. 1268 del 1989, ciò presuppone che una domanda in tal senso sia stata ritualmente introdotta in giudizio e riproposta nei successivi gradi di giudizio, stante la diversità tra le domande di tutela della distanza dalla veduta e di quella di tutela delle distanze tra fabbricati. Ma, come rilevato, la questione della applicabilità della disciplina di cui all’art. 873 cod. civ. è rimasta estranea all’ambito del giudizio di impugnazione e su tale statuizione della Corte d’appello non vi è censura.
5. Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata emerge che la nuova costruzione, realizzata non in aderenza, si colloca ad una distanza inferiore a tre metri dalla soglia dalla quale le ricorrenti esercitano il diritto di veduta, a tutela del quale hanno proposto il presente giudizio.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto non violata la disciplina delle distanze dalla veduta sul rilievo che, nel caso di specie, non trattandosi di costruzione in aderenza, non opererebbe l’obbligo del rispetto della distanza di tre metri dalla veduta anche nella proiezione verticale, è dunque errata e va pertanto cassata.
La cassazione deve essere disposta con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, la quale procederà a nuovo esame della controversia sulla base del seguente principio di diritto: “In ipotesi di nuova costruzione, l’art. 907, primo comma, cod. civ. va interpretato nel senso che la distanza di tre metri dalla soglia dalla quale si esercita la veduta opera non solo nella proiezione orizzontale, ma anche in quella verticale; ne consegue che, impregiudicata, nel caso di specie, l’applicazione del disposto di cui all’art. 873 cod. civ. per intervenuta preclusione, la nuova costruzione deve essere ridotta per la parte eccedente, sia nella proiezione orizzontale che in quella verticale, il limite di tre metri dalla soglia di esercizio della veduta”.
Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.