OPPOSIZIONE DI TERZO ALL’ESECUZIONE
Cassazione, sez. III, 27 luglio 2012, n. 13372
Il terzo non titolare del diritto oggetto di esecuzione ma semplice avente causa o creditore particolare di una delle parti, può formulare opposizione revocatoria all’esecuzione soltanto quando è vittima di dolo o collusione.
Cassazione, sez. III, 27 luglio 2012, n. 13372
(Pres. Finocchiaro – Rel. Ambrosio)
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 11 aprile 2007, il Tribunale di Cosenza – decidendo sull’opposizione proposta da P.G..C. ex art. 619 cod. proc. civ. avverso l’esecuzione immobiliare promossa dalla Banca Nazionale del Lavoro, Sezione autonoma del credito fondiario in danno di P..M. e M.F.S. – ha dichiarato l’improcedibilità dell’esecuzione limitatamente all’appartamento sito in (OMISSIS) , rilevando che lo stesso risultava acquisito in proprietà per usucapione giusta sentenza n.869/2005, passata in giudicato in data 28.12.2005, nel giudizio promosso dal C. nei confronti della curatela del fallimento dei M. .
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S.G.C., s.r.l. Società Gestione Crediti, quale cessionaria del credito già esecutivamente azionato dalla B.N.L., svolgendo tre motivi, illustrati anche da memoria.
Ha resistito P.G..C. , depositando controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da M.P. e F.S..M. , intimati in persona del curatore fallimentare e liquidatore del concordato fallimentare.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti per effetto del cit. d.lgs. n. 40 del 2006; si applica, in particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ., stante l’univoca volontà del legislatore di assicurarne ultra-attività (ex multis, cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), atteso che la norma resta applicabile in virtù dell’art. 27, comma 2 del cit. d.lgs. ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far tempo dal 4 luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in forza della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.
1.1. Inoltre la sentenza resa sull’opposizione di terzo all’esecuzione – attraverso il rinvio operato dall’art. 619, terzo comma, cod. proc. civ., all’art. 616 del medesimo codice, nel testo nel testo modificato dall’art. 14 legge n. 52 del 2006 e antecedente all’art. 58 legge n.69 del 2009, qui applicabile – è da ritenere inimpugnabile nei modi ordinari e, come tale, soggetta al solo ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.. (cfr. Cass. 22 settembre 2009, n. 20392).
2. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.2909 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere il Tribunale utilizzato ai fini della decisione la sentenza n. 869/2005 emessa nel giudizio cui è estranea la creditrice. Si tratta – come risulta dalla decisione impugnata – della sentenza del Tribunale di Cosenza che ha dichiarato P.G..C. proprietario per intervenuta usucapione dell’appartamento in Corso d’Italia della stessa città, pignorato dalla B.N.L. (dante causa della S.G.C.) ai danni dei M. .
2.1. Il motivo è inammissibile, perché si conclude con un quesito (“sussiste violazione dell’art. 2909 c.c. allorché il giudice ritenga che l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato possa fare stato ad ogni effetto ed essere vincolante anche nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al giudizio medesimo?”) in alcun modo riferibile alla fattispecie concreta o comunque assolutamente generico (SS.UU. 5 gennaio 2007, n.36), dovendosi assimilare il quesito inconferente alla mancanza del quesito.
Si rammenta che il quesito di diritto deve comprendere (tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339) sia la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; sia la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; sia ancora la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Nel caso di specie manca tale necessaria articolazione logico-giuridica, limitandosi parte ricorrente a interrogare questa Corte su una questione astratta – quale quella della opponibilità o meno di una sentenza al terzo estraneo al giudizio – tralasciando, tra l’altro, di precisare che, nella specie, il “terzo” è il creditore di una delle parti del giudizio.
2.2. Merita aggiungere un’ulteriore considerazione, ancorché quelle che precedono siano sicuramente assorbenti.
Invero – ove si consideri che ciò di cui si discute è l’opponibilità del giudicato al creditore della parte ai danni della quale è stata accertata l’usucapione – appare chiaro che il motivo è, comunque, infondato.
Valga considerare che l’art. 404 cod. proc. civ. esclude i creditori (al pari degli aventi causa) di una delle parti dall’opposizione di terzo “semplice” che, ai sensi del comma 1 della norma, è esperibile, in ogni tempo, dal terzo che abbia subito un pregiudizio (di mero fatto, riflesso) dalla sentenza resa inter alios e prevede, invece, che gli stessi (salva la possibilità di intervento adesivo, anche in appello) debbano agire nelle forme e nei termini dell’opposizione c.d. revocatoria di cui al comma 2, per rimuovere il pregiudizio (di diritto) che ad essi deriva dalla sentenza resa nei confronti del proprio debitore che sia “l’effetto di dolo o collusione a loro danno”. Il che conferma che, in mancanza di tale rimedio, la sentenza resa nei confronti del debitore – seppure non ha la forza del giudicato, nell’aspetto tipico considerato dall’art. 2909 cod. civ. nei confronti delle parti, dei loro eredi ed aventi causa – costituisce, tuttavia, affermazione obiettiva, i cui effetti il creditore è tenuto a subire.
Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: a norma dell’art. 404, secondo comma, cod. proc. civ., i creditori (al pari degli aventi causa) di una delle parti del processo, i quali subiscano pregiudizio per effetto di una sentenza emessa a carico del loro debitore, possono proporre opposizione di terzo revocatoria a condizione che la sentenza sia frutto di dolo o collusione a loro danno entro il termine di trenta giorni dalla relativa scoperta; pertanto, detti creditori sono soggetti essi medesimi all’efficacia della sentenza, se non rimossa, in mancanza di intervento adesivo dipendente nel relativo giudizio, mediante esperimento dell’opposizione di terzo revocatoria ex art. 404, secondo comma, cod. proc. civ..
3. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia difetto di prova del passaggio in giudicato della sentenza n,233/2005, nonché violazione e falsa applicazione dell’art.2909 cod. civ. e 2697 cod. civ. (art.360 n.3 cod. proc. civ.). Al riguardo parte ricorrente formula il seguente quesito: “sussiste violazione degli artt. 2909 c.c. e dell’art. 2697 c.c. allorché il giudice ritenga esistente il passaggio in cosa giudicata di una sentenza per effetto del mero decorso dei termini processuali di impugnazione prescindendo dall’esame dell’attestazione da parte della competente cancelleria del passaggio in giudicato della sentenza stessa, per l’assenza dell’esistenza di giudizi di impugnazione avverso la sentenza medesima”.
3.1. Il motivo è inammissibile, vuoi per l’inadeguatezza del quesito con riguardo ai canoni sopra precisati sub 2.1., vuoi, anche, perché prospetta una questione giuridica che non investe profili rilevabili di ufficio e che non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata; di conseguenza, parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, avrebbe avuto l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (confr. Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 31 agosto 2007, n. 18440).
3.2. Non appare superfluo aggiungere che il motivo stesso si rivela anche generico in ragione del fatto che parte opponente non contesta, comunque, che si sia formato il giudicato sull’usucapione.
Si rammenta, altresì, che – come correttamente rilevato dal Giudice a quo – la normale efficacia retroattiva erga omnes dell’acquisto per usucapione comporta automaticamente la prevalenza del diritto, per come retroattivamente acquistato a titolo originario dal terzo, rispetto alla posizione del creditore pignorante.
4. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 2697, 2909 cod. civ., 112, 113 e 116 cod. proc. civ. (art. 360 n.5 cod. proc. civ.). Al riguardo parte ricorrente precisa che “il fatto controverso in relazione al quale la motivazione risulta omessa riguarda: la circostanza che il giudice a quo, nell’impugnata decisione, ha utilizzato una sentenza come fonte di prova nei confronti di un soggetto che è rimasto estraneo al giudizio scaturente dalla sentenza medesima, senza esplicitare le ragioni del suo convincimento e senza indicare gli elementi di prova su cui il giudizio si fonda”.
4.1. Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
Innanzitutto si rileva che la disciplina positiva del ricorso per Cassazione è improntata al principio dell’indicazione analitica dei vari motivi che possono essere denunciati e, in particolare, tiene ben distinto quello della violazione di legge (n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.) da quello dell’omessa, insufficiente, o contraddittoria motivazione della decisione (n. 5 dello stesso articolo), con la conseguenza che il controllo della Cassazione sulla motivazione si riferisce alla sola giustificazione del giudizio di fatto, mentre quello sul giudizio di diritto rientra nel n. 3 del citato art. 360, anche se non si deve trascurare che, quando investe la motivazione di diritto, il vizio può dare luogo anche alla sola correzione della decisione ai sensi dell’art. 384 dello stesso codice.
Orbene, nella specie, parte ricorrente enuncia, nella rubrica del motivo, un vizio di violazione di legge sussumibile nel n. 3 del cit. art. 360; per altro verso richiama nella stessa rubrica il n. 5 della stessa norma e di seguito individua il “fatto controverso”, lasciando intendere che la censura viene svolta sotto il profilo motivazionale.
Dall’equivocità della tipologia di vizio invocata consegue, inevitabilmente, l’inammissibilità del motivo.
4.2. Anche ove si ritenesse che sia stata formulata una duplice censura, non per questo il motivo risulterebbe esente dal rilievo di inammissibilità. Invero le Sezioni Unite – pur ritenendo ammissibile, in via di principio, il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto – hanno precisato che agli effetti dell’art. 366 bis cod. proc. civ. occorre che il motivo si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass. civ., Sez. Unite, 31 marzo 2009, n. 7770).
Orbene, il presente motivo non è corredato da un quesito di diritto e anche il “momento di sintesi” (c.d. quesito di fatto) che, a mente dell’art. 366 bis seconda parte cod. proc. civ., deve corredare la censura motivazionale risulta inadeguato, posto che esso avrebbe richiesto vuoi la chiara indicazione del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, vuoi – se non soprattutto – l’enunciazione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
4.3. Non appare superfluo aggiungere che il motivo si presenta inammissibile anche perché privo di correlazione con le ragioni della decisione, posto che il Giudice a quo ha fatto riferimento alla cit. sentenza n. 869/2005 non già “come fonte di prova” liberamente valutabile nei confronti del terzo – così come sembra supporre parte ricorrente – bensì come giudicato opponibile al creditore; il che, per quanto si è detto sub 2.2., è corretto.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.