Esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita di un bene in comunione legale: basta la sottoscrizione di un coniuge Cassazione, sez. II, 24 luglio 2012, n. 12923

 

ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA DI UN PRELIMINARE DI VENDITA DI UN BENE IN COMUNIONE LEGALE: BASTA LA SOTTOSCRIZIONE DI UN CONIUGE

Cassazione, sez. II, 24 luglio 2012, n. 12923

 

Per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c. (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione.

 

 

Cassazione, sez. II, 24 luglio 2012, n. 12923

(Pres. Schettino – Rel. Proto)

 

Svolgimento del processo

Il presente contenzioso trae origine da due processi riuniti.

Nel primo processo, introdotto con citazione del 3/10/1991 P.L. aveva chiesto, nei confronti del fratello F.S. , sentenza costitutiva del trasferimento in proprietà di un appartamento in (omissis) oggetto di preliminare di vendita del 18/7/1989 al quale il fratello, a suo dire, si rifiutava di dare esecuzione pur avendo già ricevuto il prezzo pattuito pari a lire 20.000.000; il fratello assumeva che il bene non era nella sua disponibilità in quanto facente parte della comunione familiare con la moglie P..M. che interveniva in giudizio chiedendo l’annullamento del preliminare ai sensi dell’art. 184 c.c..

Nel secondo processo, introdotto con citazione del 13/4/1992 P.L. chiedeva la risoluzione di un contratto stipulato il 28/10/1989 con il quale aveva venduto al fratello il 50% di un appartamento in (omissis) con box auto.

Al riguardo assumeva che a seguito della morte della propria madre, lei e il fratello F.S. erano divenuti comproprietari in quote eguali di alcuni beni, tra i quali, anche l’appartamento di via … e l’appartamento con box di via … e che, per risolvere questioni ereditarie pendenti, il 18/7/1989 avevano stipulato il compromesso per la vendita da parte del fratello ad essa attrice dell’appartamento di via … e il compromesso per la vendita al fratello e alla di lui moglie M.P. del 50% dell’appartamento in via …; i due trasferimenti erano tra loro collegati e finalizzati a realizzare una permuta tra i due beni e pertanto, tenuto conto dell’inadempimento da parte del fratello in ordine al trasferimento della proprietà di via …, doveva essere risolto anche il contratto di vendita dell’immobile di via ….

Il Tribunale di Roma con sentenza del 19/7/2001 dichiarava inammissibile la domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare relativo all’immobile di via … e, ritenuto che gli obblighi reciprocamente assunti dalle parti integrassero una permuta, dichiarava risolto per inadempimento dei convenuti il contratto di vendita relativo a via ….

F.S..P. proponeva appello; M.P. spiegava appello incidentale facendo proprie le richieste del marito; L..P. spiegava appello incidentale per sentire accogliere la sua domanda principale di trasferimento ex art. 2932 c.c. dell’appartamento di via …, con la condanna del fratello al risarcimento dei danni.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 6/6/2007 accoglieva l’appello principale, rigettava l’appello incidentale di P.L. , dichiarava la validità del contratto di compravendita relativo a via …, dichiarava l’inefficacia del preliminare relativo a via …, condannava F.S. a restituire a L. la somma di lire 10.000.000 pagata per via … il 18/7/1989 e condannava L. al pagamento delle spese di entrambi i gradi.

La Corte territoriale rilevava:

– che nell’atto di vendita di via … si dava atto che il prezzo dovuto da F.S. era stato pagato per intero;

– che, quanto al preliminare per via …, F.S. aveva riconosciuto di avere ricevuto dalla sorella lire 10.000.000;

– che dagli atti non risultava la volontà di concludere una permuta e non poteva desumersi dai preliminari, non essendo all’uopo sufficiente l’identità della data di stipulazione;

– che erano di scarso pregio le testimonianze dei testi I. , figli di primo letto del coniuge della P. , i quali avevano riferito della presenza della moglie di F.S. al momento della stipula di entrambi i preliminari di vendita;

– che per la mancata sottoscrizione del preliminare da parte del coniuge in comunione dei beni, non era possibile ottenere l’esecuzione coattiva del preliminare e il consenso tacito del coniuge non era rilevante per la necessità dell’atto scritto per la validità dei negozi traslativi di diritti immobiliari.

L..P. propone ricorso affidato a cinque motivi.

Resistono con controricorso P.F.S. e M.P. .

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 180, 184 e 2932 c.c.”; essa censura il rigetto del proprio appello incidentale con il quale aveva chiesto la sentenza costitutiva del trasferimento dell’immobile di via … oggetto del preliminare del 18/7/1989; al riguardo rileva che la domanda era stata rigettata sull’erroneo presupposto dell’ineseguibilità del preliminare perché stipulato da uno solo dei due coniugi che erano comproprietari del bene in quanto acquistato dal coniuge P. in regime di comunione legale.

La ricorrente richiama principi affermati da questa Corte secondo i quali ciascun coniuge non può disporre della propria quota di bene in comunione familiare, ma può disporre dell’intero e il consenso dell’altro coniuge, richiesto dall’art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione costituisce un negozio autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo; l’eventuale mancanza di consenso avrebbe esposto essa contraente, soltanto all’azione di annullamento da parte del coniuge dissenziente, decorrente dalla conoscenza dell’atto, ma, nella fattispecie, il coniuge asseritamente pretermesso era presente alla stipulazione dell’atto e, quindi, con il proprio silenzio aveva manifestato un tacito assenso; inoltre dal giorno della sottoscrizione delle scritture, avvenuta alla presenza del coniuge, era decorso il termine prescrizionale annuale per l’esercizio dell’azione di annullamento ex art. 184 c.p.c..

1.1 Occorre premettere che nel motivo si afferma (oltre a quanto sopra esposto) anche (incidentalmente) che non sarebbe necessaria nell’azione ex art. 2932 c.c. promossa dal promissario acquirente nei confronti del promittente venditore, l’integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge del promittente venditore in regime di comunione dei beni.

L’affermazione, pur non rilevante in quanto il coniuge pretermesso si è costituito in giudizio sin dal primo grado, deve comunque essere corretta ricordandosi che le sezioni unite, risolvendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici, hanno affermato che in caso di contratto preliminare stipulato senza il consenso dell’altro coniuge, quest’ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del giudizio per l’esecuzione specifica del contratto (Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952) proprio perché detto coniuge è ancora titolare d’una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio d’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre e l’eventuale decisione in assenza di contraddittorio sarebbe inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile del rapporto. Ciò premesso, si deve rilevare che la domanda (reiterata con l’appello incidentale) di esecuzione in forma specifica del contratto è stata respinta dalla Corte di Appello senza alcuna pronuncia di annullamento del contratto preliminare per mancanza del consenso del coniuge (domanda che pur risulterebbe proposta dalla M. : v. pag. 4 della sentenza di appello), ma semplicemente sulla base dell’affermazione per la quale “la circostanza che la M. non abbia sottoscritto il preliminare di vendita dell’immobile…del quale era divenuta proprietaria per essere stato acquistato in regime di comunione dei beni… esclude… che il promissario acquirente abbia diritto ad ottenere l’esecuzione coattiva del preliminare stipulato da un solo dei coniugi, non potendo, questi, disporre della quota”.

Nella sentenza si sostiene, in sostanza, che per il trasferimento del bene occorrerebbe il formarsi di un’unica volontà negoziale in capo ad una (in questo caso la parte costituita dai due coniugi in comunione dei beni) delle parti del contratto, data l’unicità e la inscindibilità del bene in comunione e che, quindi, il coniuge stipulante avrebbe potuto cedere la propria quota, ma non cedere anche quella del coniuge non stipulante; nel caso concreto, non poteva essere trasferita con sentenza costitutiva la sola quota del coniuge stipulante in quanto si sarebbe modificata la volontà negoziale (principio effettivamente affermato in giurisprudenza, ma relativamente alla comunione ordinaria: v. Cass. 10/3/2008 n. 6308).

Risulta pertanto evidente la violazione dei principi di cui agli artt. 180 e 184 c.p.c. e, in generale, dei principi relativi agli atti di disposizione di beni della comunione legale perché la Corte territoriale ha applicato alla comunione legale i diversi principi che regolano la comunione ordinaria e che non si applicano nell’ipotesi di comunione legale tra coniugi.

La Corte di Appello non ha considerato che la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei; ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell’intero bene comune (contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata), mentre il consenso dell’altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c. nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione (Cass. 14/1/1997 n. 284; Cass. 21/12/2001 n. 16177; Cass. 11/6/2010 n. 14093).

In particolare, come ha avuto occasione di chiarire questa Corte a S.U. (Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952 cit.) il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso d’acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso d’acquisto a domino in base ad un titolo viziato.

Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per la declaratoria di nullità del contratto, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell’atto.

L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 primo comma c.c. ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione (Cass. 21/12/2001 n. 16177; Cass. 11/6/2010 n. 14093; Cass. 31/1/2012 n. 1385).

In conclusione si deve annullare tale decisione affermandosi il principio che per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c. (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione.

Entro questi limiti il primo motivo deve essere accolto con cassazione della sentenza e rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che si uniformerà al principio di diritto sopra enunciato.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio; essa lamenta il vizio motivazionale in relazione alla mancata considerazione di elementi istruttori (due contratti preliminari conclusi in pari data dai medesimi soggetti che reciprocamente di vendevano e acquistavano due beni di rispettiva proprietà, pagamenti avvenuti con conguagli in denaro, valori indicati in atti sproporzionati per difetto, per entrambi gli immobili, rispetto agli effettivi valori commerciali)che avrebbero dovuto convincere il giudicante ad attribuire ai due contratti natura di unico contratto di permuta o di contratti collegati aventi ad oggetto lo scambio di due beni con la conseguenza che, rimasto inadempiuto, per inadempimento del fratello il contratto con il quale si doveva trasferire alla sorella uno dei due beni, doveva risolversi anche il contratto con il quale la sorella aveva adempiuto il suo obbligo di trasferimento.

2.1 Occorre rilevare che nei singoli contratti non viene fatto alcun riferimento ad uno scambio di cosa contro cosa o di diritto con diritto ma in entrambi è previsto il trasferimento di cosa contro prezzo; le finalità che le parti si ripromettevano di perseguire (in tesi la scioglimento della comunione ereditaria sui beni oggetto dei contratti)possono, quindi configurare il motivo dei due contratti, ma non ne configurano la causa.

Il motivo, dunque, quanto al mancato riconoscimento di un unico contratto di permuta è infondato nei termini proposti e, oltretutto, non correttamente formulato perché, integrando una censura sull’interpretazione dei documenti contrattuali, non specifica quali canoni ermeneutici sarebbero stati violati, posto che, come detto, l’interpretazione letterale,prioritario criterio di interpretazione, non consente di ravvisare la causa tipica della permuta.

La ricorrente ha peraltro rilevato anche la mancata considerazione dell’unicità degli interessi perseguiti che deponevano per un collegamento negoziale tale per cui, rimasto inattuato il trasferimento, a favore di essa ricorrente, di una delle comproprietà già in comunione ereditaria, avrebbe dovuto risolversi, per inadempimento, anche il trasferimento dell’immobile di via … effettuato a favore del fratello.

Questa Corte ha altre volte affermato (ex plurimis: Cass. n. 11240/2003), in tema di collegamento negoziale (che non da luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso cui le parti, con plurimi contratti perseguono un risultato economico unitario e complesso) che i plurimi coordinati contratti conservano una loro causa autonoma, ciascuno finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi.

Pertanto accertare, se vi è un solo contratto o una pluralità di contratti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Nel caso di specie la tematica del collegamento negoziale (almeno a quanto risulta dal ricorso e dalla sentenza impugnata che affronta esclusivamente il tema della qualificazione giuridica di permuta o vendita) appare del tutto nuova rispetto alle difese sviluppate davanti ai giudici del merito, incentrate sull’affermazione dell’unicità del contratto e, in quanto censura nuova, è inammissibile in questo giudizio di cassazione.

Per completezza di argomentazione, occorre ricordare che il collegamento contrattuale, come detto, non configura un tipo di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull’altro; tuttavia, il collegamento negoziale non comporta necessariamente un condizionamento reciproco, ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro e non anche viceversa(Cass. 28/6/2001 n. 8844; Cass. 12/1/2006 n. 415).

Ciò si osserva proprio per sottolineare la novità (rispetto a quanto dedotto nelle fasi di merito) della questione proposta dalla ricorrente, tenuto conto che l’accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, ma che, a tali fine doveva essere esplicitamente investito della questione. Le censure di cui al presente motivo sono quindi in parte infondate e in parte inammissibili e il motivo deve essere rigettato.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto e nello specifico del combinato disposto degli artt. 1453, 1455 e 1223 c.c. e dell’art. 96 c.p.c.” per la mancata declaratoria di risoluzione del contratto preliminare relativo all’immobile di via (OMISSIS) nell’ipotesi in cui il contratto sia inefficace per mancato consenso del coniuge perché, con riferimento alla posizione dello stipulante P. avrebbe dovuto essere pronunciata declaratoria di risoluzione per inadempimento con la condanna del P. al risarcimento del danno.

3.1 Il motivo è inammissibile in quanto non risulta né dalle conclusioni della sentenza di primo grado né da quelle della sentenza di secondo grado che sia mai stata richiesta la risoluzione del preliminare relativo all’immobile di via … (essendone, al contrario, chiesto l’adempimento) per inadempimento del P. e la conseguente condanna di questi al risarcimento dei danni per tale specifico inadempimento.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. e censura la regolazione delle spese e la subita condanna al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

4.1 Il motivo resta assorbito dalla cassazione ella sentenza impugnata, posto che il giudice di rinvio dovrà provvedere in merito alle spese dell’intero giudizio.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce “contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio” censurando la sentenza impugnata in quanto, dichiarata l’ineseguibilità del preliminare per mancata sottoscrizione del coniuge, non ha disposto la restituzione di tutte le somme versate da essa ricorrente al fratello per l’acquisto dell’appartamento di via …, pari a lire 20.000.000, risultanti documentalmente (dichiarazione del fratello in data 28/10/1989 di avere ricevuto la somma di lire 10.000.000 che avrebbe dovuto ricevere all’atto del trasferimento e dichiarazione, contenuta nel preliminare di avvenuto pagamento, alla data di stipula del preliminare, della somma di lire 10.000.000).

5.1 Il motivo è assorbito dalla cassazione della sentenza nella parte in cui nega l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferimento assunto con il preliminare; la statuizione restitutoria era meramente consequenziale alla declaratoria di ineseguibilità di preliminare e resta, quindi travolta dal suo annullamento; il giudice del rinvio, ove accertasse l’assenza di consenso del coniuge e, quindi, l’inefficacia del preliminare provvederà in merito alla restituzione di quanto corrisposto dalla P. secondo le risultanze istruttorie.

6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, dichiara inammissibile il terzo, dichiara assorbiti il quarto e il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

 

 

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