ANCHE NEL CONDOMINIO MINIMO, POSSONO ESSERE RIMBORSATE LE SOLE SPESE AUTONOME URGENTI
Cassazione, sez. II, 21 settembre 2012, n. 16128
Secondo Cass. SU 2046/06, la diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell’altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l’utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che, instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 cod. civ
Cassazione, sez. II, 21 settembre 2012, n. 16128
(Pres. Triola – Rel. D’Ascola)
Fatto e diritto
1) La controversia è nata da contrapposte coeve citazioni del gennaio 1991 dinanzi al tribunale di Lamezia Terme.
Con la prima M.F. chiedeva a P.C.A. e a P.C.E. , il rimborso di spese effettuate per la riparazione del tetto di un vecchio fabbricato sito in (omissis) .
Con la seconda i P. chiedevano la demolizione di finestre e scarichi che il M. aveva realizzato con un’abusiva sopraelevazione dell’immobile.
Il tribunale di Lamezia Terme respingeva la domanda di rimborso e accoglieva quella dei P. , condannando M. alla demolizione della sopraelevazione eseguita sull’edificio e al risarcimento di danni quantificati in 8.000 Euro.
La Corte d’appello di Catanzaro con sentenza 8 giugno 2005 negava il diritto dell’appellante al rimorso delle spese; escludeva l’obbligo di risarcimento danni a suo carico; rigettava l’appello incidentale P. relativo a demolizione di tutte le altre opere abusivamente create.
M.F. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 4 aprile 2006.
I P. hanno resistito con controricorso e ricorso incidentale.
Il 17 gennaio 2012 la causa è stata rinviata per mancata presentazione dell’istanza prevista dall’art. 26 L. 183/11.
In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
2) Il ricorso principale e quello incidentale, registrati con numeri diversi, devono essere trattati unitariamente. Venendo in esame una sentenza depositata ante marzo 2006 non è applicabile l’art. 366 bis c.p.c..
Il primo motivo di ricorso concerne l’applicazione dell’art. 1110 o dell’art. 1134 c.c. in relazione alla domanda di rimborso delle spese sostenute dal F. per le riparazioni del tetto dello stabile, composto da due porzioni, di cui la seconda in proprietà comune dei convenuti.
La domanda è stata respinta sul rilievo che le spese non erano state oggetto di preventivo accordo.
Invano il ricorso e la memoria invocano precedenti giurisprudenziali che erroneamente ritengono favorevoli al ricorrente.
Va premesso che in appello questi ha sostenuto che si versa in ipotesi di comunione e ha chiesto l’applicazione dell’art. 1110 c.c..
Secondo Cass. SU 2046/06, la diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell’altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l’utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che, instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 cod. civ.. (Così anche Cass. 21015/11).
Ora, quanto alla sussistenza del requisito dell’urgenza il ricorso è quanto mai generico e si risolve nella inammissibile richiesta di un nuovo giudizio di merito, atteso che si limita ad affermare che ne è stata data prova “con le testimonianze addotte”, senza neppure accennare al contenuto delle risultanze.
3) Il secondo motivo si riferisce alle opere di sopraelevazione. Esso attacca la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto che l’opera era rilevabile sia grazie alla misurazione esterna, non considerata dall’appellante, sia dalla documentazione fotografica, che consente di constatare un incremento di altezza dei muri esterni e delle “quinte” e la sovrapposizione di mattoni alla preesistente muratura.
Il ricorso non offre argomenti decisivi idonei a confutare questa ricostruzione, giacché si limita a formulare delle ipotesi alternative che giustificherebbero l’avvenuta creazione grazie alla sopraelevazione di un nuovo piano abitabile, quali la posa in opera dei mattoni nuovi in luogo di muratura precedentemente demolita o la modifica delle quote dei piani sottostanti. Trattasi di rilievi privi di valore in sede di legittimità, ove il vizio di motivazione nella ricostruzione del fatto va ancorato a risultanze processuali già acquisite e di portata probatoria tale da essere decisive, cioè idonee a rendere illogica o manifestamente insufficiente la motivazione, il che non può dirsi in caso di mere illazioni non riscontrate documentalmente in atti.
3.1) Anche il profilo che lamenta la indeterminatezza della condanna alla demolizione della sopraelevazione va respinto, a causa della genericità della doglianza, che non indica quali norme siano state violate e si limita a manifestare sgomento per il fatto che dovrà essere il giudice dell’esecuzione a governare l’ordine impartito in proposito dal tribunale e confermato dalla Corte d’appello.
Di per sé ciò non costituisce motivo di illegittimità della pronuncia, che regge anche alla reiterazione della doglianza formulata in uno dei profili del terzo motivo.
4) Va disatteso anche il profilo di doglianza di cui al profilo B1) del secondo motivo, che lamenta che sia stata ordinata la demolizione per una violazione solo formale della “legge sismica”, senza aggravamento delle condizioni statiche dell’edificio, rinforzato da un cordolo in cemento armato di nuova realizzazione. Anche in questo caso viene valorizzato un elemento di fatto (la realizzazione del cordolo) che non emerge dalla sentenza impugnata e che è sommariamente riferito richiamando le consulenze in atti. Esso non è comunque utilizzabile, perché il ricorso, omettendo di riportare le considerazioni di consulenza d’ufficio che hanno sorretto la sentenza, impedisce a questo Corte di valutare la decisività della risultanza. Giova infatti notare che il giudice di appello ha comunque ravvisato una violazione “della normativa antisismica”, il che implica una presunzione di pericolosità, che giustifica la demolizione ex art. 1127 c.c. (Cass. 3196/08). Va peraltro aggiunto che la decisività della doglianza è esclusa comunque dalla circostanza che la demolizione è stata ordinata anche in relazione alla lesione del decoro architettonico perpetrata con le medesime opere.
5) Di questo aspetto si occupa il terzo motivo di ricorso, che invano chiede alla Corte di legittimità di negare la tutela del decoro architettonico accordata dai giudici di merito, perché “la demolizione della parte sopraelevata” non rimuoverebbe il pregiudizio al decoro dell’edificio.
Trattasi di valutazione di merito (Cass. 6611/82)in cui questa Corte non può avventurarsi.
Non ha pregio giuridico, in questa sede, neppure la doglianza mossa affermando che i resistenti avrebbero in altre occasioni “operato in spregio” al decoro architettonico del fabbricato.
Dalla sentenza impugnata non emerge che queste opere vi siano state o comunque che abbiano reso irrilevante la modifica eseguita dal ricorrente, ditalchè la Corte Suprema non può sostituirsi al giudice di appello nel valutare la lesione.
6) Va invece accolto il primo motivo del ricorso incidentale, che deduce violazione degli artt. 871 e 872 c.c., art. 17 L. 74/1974 e vizi di motivazione con riferimento al diniego di risarcimento del danno conseguente alle opere di cui è stata ordinata la demolizione.
Detto risarcimento, osserva il ricorso, era stato accordato invece dal primo giudice in relazione all’inosservanza della normativa antisismica, al pregiudizio dell’aspetto architettonico del fabbricato e all’occupazione dell’area comune soprastante l’ultimo piano.
La sentenza impugnata ha motivatamente escluso la esistenza di danni strutturali all’edificio conseguenti alla demolizione e ricostruzione del tetto, facendo riferimento alla consulenza e alle fessurazioni preesistente. Per questa parte la statuizione è da confermare.
Essa è invece errata e carente di motivazione quanto alle conseguenze dannose della abusività delle opere di sopraelevazione non autorizzate dai comproprietari e alla lesione del decoro architettonico.
La giustificazione offerta dai giudici di merito risiede nella considerazione che le conseguenze dannose di ciò vengono meno on “la disposta demolizione del tetto”.
Essa è idonea a escludere un danno permanente, successivo all’epoca di ripristino dei luoghi.
La sentenza resa nega però, senza motivazione, risalto alla condizione di illegittimità in cui l’immobile è venuto a trovarsi per tutto il periodo intercorso dalla esecuzione della sopraelevazione fino alla futura rimozione delle opere lesive – sia in offesa decoro architettonico, sia – a parte il rifacimento del tetto – per contrasto con le prescrizioni antisismiche. Il giudice di rinvio dovrà pertanto esaminare almeno sotto questo profilo temporale la pretesa risarcitoria fatta valere dai ricorrenti incidentali.
Con un ultimo profilo di doglianza (punto 3) il ricorso incidentale, oltre a lamentare che sia stato negato il risarcimento dei danni quanto alla alterazione estetica e all’equilibrio statico (pag. 18), si duole che non sia stata ordinata la rimozione del transito di acque nere incanalate da controparte nei pluviali.
Questo secondo profilo di doglianza va respinto.
È infatti incensurabile la considerazione del giudice di merito secondo il quale la complessiva situazione di irregolarità (riferimento che attesta come la Corte di appello abbia ben tenuto presenti le considerazioni di consulenza valorizzate dai ricorrenti incidentali) preesistente e la circostanza che il pluviale fosse già gravato di acque nere degli appellati escludono che l’opera sia fonte di pregiudizio apprezzabile il nuovo carico arrecato dal M. .
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso principale;
l’accoglimento del primo profilo del ricorso incidentale e il rigetto del secondo.
La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, per nuovo esame in relazione al motivo accolto e la liquidazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale M. .
Accoglie il primo profilo del ricorso incidentale; rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.