5.— Il Tribunale di Genova, con ordinanza depositata il 18 novembre 2011 (r.o. n. 108 del 2012), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. – questioni di legittimità costituzionale: 1) dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui prevede l’esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale solo per le materie espressamente elencate nel comma primo; 2) dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 2653, primo comma, numero 1), del codice civile, nella parte in cui non prevedono, per le domande dirette all’accertamento di diritti reali, la possibilità di trascrivere la domanda di mediazione e direttamente il verbale di mediazione, con efficacia prenotativa della prima anche rispetto al provvedimento giurisdizionale conclusivo del giudizio; 3) dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 16 del d.m n. 180 del 2010, nella parte in cui prevedono l’espletamento della procedura di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, stabilendone, altresì, il carattere oneroso; 4) in riferimento al solo art. 3 Cost., del combinato disposto degli artt. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e 16 del d.m. n. 180 del 2010, nella parte in cui prevedono che solo il convenuto possa non aderire al procedimento di mediazione.
Il rimettente, quanto al punto sub 1), ritiene violati gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto la limitazione della procedura di mediazione solo ad alcune materie darebbe luogo ad una differenza non giustificata da alcuna ragionevole scelta di politica legislativa; in ordine al punto sub 2), i citati parametri costituzionali sarebbero violati perché l’attore si vedrebbe costretto a presentare istanza di mediazione (a pena d’improcedibilità), ad iniziare un giudizio trascrivendo la relativa domanda, a prescindere dall’esito della mediazione stessa, a chiedere in ogni caso una pronunzia giurisdizionale di merito, con la irragionevole conseguenza che l’attore dovrebbe sopportare sia i costi della mediazione, sia il pagamento del contributo unificato per l’instaurazione del giudizio, senza potersi giovare dell’effetto deflattivo della procedura di mediazione. Quanto al punto sub 3), le disposizioni in esso menzionate si porrebbero in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. perché l’accesso alla giurisdizione resterebbe condizionato al pagamento di una somma di denaro; infine, in relazione al punto 4) le norme censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost., perché esse darebbero luogo ad una disparità di trattamento tra attore e convenuto, dal momento che per il primo non sarebbe prevista la possibilità di rinunziare ad avvalersi del servizio, incorrendo sempre nel pagamento sia delle spese di avvio sia di quelle di mediazione.
6.— Il Giudice di pace di Catanzaro, con l’ordinanza depositata il 3 novembre 2011 (r.o. n. 19 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 16 del d.m. n. 180 del 2010.
Ad avviso del rimettente, chiamato a decidere su una domanda diretta ad ottenere il pagamento di un indennizzo derivante da contratto assicurativo, l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nel prevedere che l’espletamento della procedura di mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale, violerebbe l’art. 77 Cost. Infatti, sussisterebbe contrasto «tra la legge delega ed il decreto legislativo 28/10, nella misura in cui, mentre l’art. 60 L. 69/09 (legge delega) al terzo comma lett. a prescrive che nell’esercizio della delega il Governo si attenga, tra gli altri, al seguente principio e criterio direttivo “a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia”, l’art. 5 d.lgs. n. 28/10 concepisce invece il procedimento di mediazione quale momento propedeutico alla domanda giudiziale, rischiando di compromettere l’effettività della stessa tutela giudiziale e condizionando in concreto il diritto di azione».
Inoltre, l’art. 16 del d.m. n. 180 del 2010 si porrebbe in evidente contrasto con l’art. 24 Cost., perché, nel prevedere che il tentativo di conciliazione abbia un costo, non meramente simbolico, subordinerebbe l’esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro, così discostandosi anche dalla sentenza di questa Corte n. 67 del 1960.
Infine, sarebbe ravvisabile anche violazione dell’art. 3 Cost., perché l’art. 16 ora citato, concernente i criteri di determinazione delle indennità, prevedendo che soltanto il convenuto, e non l’attore, possa non aderire alla procedura di mediazione, introdurrebbe una disparità di trattamento.
7.— Il Giudice di pace di Salerno, con l’ordinanza depositata il 19 dicembre 2011 (r.o. n. 51 del 2012), ha sollevato – in riferimento agli artt. 24, 70, 76 e 77 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
Il rimettente, chiamato a pronunciarsi in un giudizio promosso contro una società di assicurazioni al fine di ottenere un indennizzo per lesioni subite e per spese mediche sostenute a seguito di un incidente stradale, ritiene che la norma censurata, nella parte in cui prevede che l’esperimento della procedura di mediazione costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale, si riveli in contrasto con gli artt. 70, 76 e 77 Cost., in quanto «analizzando il rapporto tra legge delega e decreto legislativo n. 28/2010 emerge chiaramente che l’art. 26 (recte: 76) attribuisce la delega al Governo “esclusivamente” per recepire la disposizione prevista dall’art. 69/09 ed in particolare l’eccesso si configura laddove non è stata recepita la parte in cui escludeva che il procedimento potesse costituire condizione di procedibilità della domanda ovvero fosse in grado di precludere, per tutta la sua durata, l’accesso alla giustizia ordinaria». Ciò perché unico intento della legge delega sarebbe stato quello di creare esclusivamente «un organismo deflattivo per la giustizia e non certamente di favorire la creazione di un elemento ostativo al suo accesso».
Inoltre, sarebbe violato l’art. 24 Cost. perché la norma denunziata avrebbe reso «la mediazione una condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, negando per tutto il tempo della sua durata l’accesso alla giustizia e soprattutto non prevedendo alcun mezzo per i meno abbienti per attivare il procedimento della media conciliazione». Inoltre, «in caso di fallimento del procedimento di media conciliazione le spese sostenute per adire l’organismo definito deflattivo non potranno essere ripetute e rimarranno esclusivamente a carico delle parti, con evidenti conseguenze economiche afflittive per le classi sociali meno agiate».
A sostegno della tesi propugnata, il giudice a quo richiama il principio affermato da questa Corte, secondo il quale «un sistema di giustizia “condizionata” è ammissibile solo nel caso in cui l’eccezione al principio dell’accesso immediato alla giurisdizione si presenti come ragionevole e risponda ad un interesse generale, purché non vengano imposti oneri tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile far valere le proprie ragioni».
8.— Il Tribunale di Torino, in composizione monocratica, con l’ordinanza depositata il 24 gennaio 2012 (r.o. n. 99 del 2012), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, 76, 77, 101 e 102 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui prevede che chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle materie ivi indicate «è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto», anziché «può esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto»; inoltre, nella parte in cui prevede che «l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale», nonché nella parte in cui prevede che «l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza».
Il rimettente riferisce di essere investito di un giudizio di pagamento di somme relative ad un contratto di locazione. In prima udienza la convenuta ha eccepito l’improcedibilità della domanda, non essendo stata attivata la procedura di mediazione.
Ciò posto, il giudice a quo ritiene che la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost., in quanto, configurando il procedimento di mediazione come obbligatorio e condizione di procedibilità della domanda, violerebbe il principio e criterio direttivo di cui all’art. 60, comma 3, lettera a), della legge n. 69 del 2009, secondo cui il Governo, nell’esercizio della delega, deve prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia. Il procedimento di media-conciliazione sarebbe «paragonabile ad un arbitrato irrituale imposto per legge in un’ampia serie di materie giuridiche», tra cui la locazione, procedimento che «va ad influenzare sia nei tempi sia nella sostanza il processo che per dettato costituzionale dovrebbe essere tenuto dai giudici ordinari».
Ad avviso del rimettente, sarebbero poi violati gli artt. 101 e 102 Cost., perché «lo straripamento dei poteri del legislatore delegato» avrebbe imposto ai giudici, nel corso dei processi, almeno tre intralci alla funzione giurisdizionale: 1) quello derivante dall’imporre al giudice di sospendere o comunque rinviare i processi in attesa dell’esito della media-conciliazione, che potrebbe pure non essere più attivata, così denegando giustizia ai cittadini; 2) quello derivante dall’art. 8, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2010, che prescrive al giudice di tener conto, ai sensi dell’art. 116 del codice di procedura civile, come argomento di prova negativa, del comportamento di chi non si presenta davanti al mediatore per partecipare alla conciliazione; 3) quello derivante dall’art. 13 del decreto delegato, che impone al giudice di tenere conto della proposta formulata dal mediatore, quando deve procedere alla liquidazione delle spese processuali, ai sensi degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.
Ancora, sarebbero violati gli artt. 3 e 24 Cost., perché la scelta delle materie, nelle quali la mediazione è obbligatoria, apparirebbe del tutto irragionevole rispetto agli interessi meritevoli della tutela giurisdizionale, in quanto – introducendo un costo a carico dei cittadini ed a favore degli uffici privati della media-conciliazione – si porrebbe in contrasto con i principi dettati da questa Corte nella sentenza n. 67 del 1960; non prevedendo criteri di competenza territoriale, porrebbe il privato nella irragionevole posizione di doversi difendere anche in luoghi molto distanti dalla sua residenza, scelti dall’attore; l’eventuale «contumacia» del chiamato davanti al mediatore potrebbe essere valutata negativamente dal giudice.
9.— Le otto ordinanze di rimessione, qui riassunte, pongono questioni identiche, o tra loro strettamente connesse, in relazione alla normativa censurata. Pertanto, i relativi giudizi devono essere riuniti, per essere definiti con unica sentenza.
10.— In via preliminare deve essere confermata l’ordinanza, adottata nel corso dell’udienza pubblica ed allegata alla presente sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nel giudizio di cui all’ordinanza n. 268 del 2011 dai seguenti soggetti: il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano; la Società Italiana Conciliazione Mediazione ed Arbitrato (SIC & A) s.r.l.; l’Associazione Nazionale Mediatori e Conciliatori; l’Unioncamere – Unione Italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; la Camera di commercio di Cagliari; la Camera di commercio di Firenze; la Camera di commercio di Milano; la Camera di commercio di Palermo; la Camera di commercio di Potenza; la Camera di commercio di Roma; la Camera di commercio di Torino; la Camera di commercio di Venezia; Assomediazione – Associazione italiana organismi privati di mediazione e di formazione per la mediazione; nonché l’intervento spiegato dal Consiglio Nazionale Forense nel giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ordinanza del Tribunale di Genova r.o. n. 108 del 2012.
Invero, i soggetti e gli enti sopra indicati non sono stati parti nei giudizi a quibus.
Per giurisprudenza di questa Corte, ormai costante, sono ammessi a intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale) le sole parti del giudizio principale, mentre l’intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata con sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007).
Orbene, nei giudizi da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale in discussione, i rapporti sostanziali dedotti in causa concernono profili attinenti alla mediazione nel processo civile, che possono anche riguardare interessi professionali della classe forense o delle Camere di commercio, ma concernono più in generale le posizioni che le parti intendono azionare nel processo e non mettono in gioco le prerogative del Consiglio Nazionale Forense, dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati o delle dette Camere di commercio, nonché, a maggior ragione, degli altri soggetti sopra indicati.
Sotto altro profilo, l’ammissibilità d’interventi ad opera di terzi, titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo.
Considerazioni identiche valgono in ordine alla posizione di ADR Accorditalia s.r.l. Tale società ha spiegato intervento ad opponendum nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, relativo alla questione sollevata dal Giudice di pace di Salerno (r.o. n. 51 del 2012), pur non rivestendo la qualità di parte nel giudizio a quo.
Ne deriva la declaratoria d’inammissibilità dei suddetti interventi.