10.— Con atto del 26 giugno 2012, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
In primo luogo, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui prevede l’obbligatorietà della mediazione solo in relazione a determinate controversie, in quanto la causa oggetto del giudizio principale concerne una domanda di accertamento di servitù, senza dubbio rientrante tra quelle per le quali l’art. 5 del d.lgs. citato prevede la mediazione come obbligatoria.
In ogni caso, si osserva come la questione sia, altresì, non fondata versandosi in tema di scelte discrezionali del legislatore, che possono essere non condivisibili, ma non viziate da irragionevolezza.
Ciò posto, la difesa dello Stato ritiene non fondate le censure relative all’art. 5 del d.lgs. citato e all’art. 2653 cod. civ., in quanto le finalità cui mirano i due istituti sono diverse; pertanto il soggetto che vuole conseguire gli effetti della trascrizione della sua domanda, ovvero l’efficacia cosiddetta prenotativa della stessa, deve necessariamente anche iscrivere la causa a ruolo per trascrivere detta domanda, ma non per questo la norma deve essere ritenuta affetta da illegittimità costituzionale.
Per quel che concerne la doglianza mossa con riferimento al carattere oneroso della mediazione, la difesa dello Stato ne deduce la non fondatezza, richiamando il principio, affermato nella decisione di questa Corte n. 114 del 2004, secondo cui non può ragionevolmente ritenersi estraneo alla finalità del miglior andamento della giustizia un costo avente la funzione di fornire al cittadino un servizio finalizzato alla soluzione della lite e che persegue l’interesse pubblico di restituire alla decisione dell’autorità giudiziaria il ruolo di extrema ratio.
La mediazione – ad avviso dell’Avvocatura – mira ad evitare che ogni controversia si trasformi in contenzioso giudiziario e ciò in ossequio al principio di proporzionalità nell’utilizzo delle risorse giudiziarie che ha una ricaduta sia sui costi a carico della collettività, sia sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
La difesa dello Stato, poi, non condivide l’opinione secondo cui, nel caso della mediazione, vi sarebbe un esborso non destinato allo Stato, ma ad un organismo anche di natura privata; al riguardo, l’Avvocatura rileva che il nostro sistema giudiziario si basa sulla pressoché totale obbligatorietà della difesa tecnica in giudizio e non conosce forme di difesa «pubblica» ed, ancora, che i due termini «obbligatoria e onerosa» riferiti alla mediazione possono convivere non solo nel nostro sistema costituzionale, ma anche in quello comunitario.
È, altresì, richiamata la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nella quale, dopo avere qualificato «legittimi obiettivi di interesse generale […] una definizione spedita delle controversie nonché un decongestionamento dei tribunali», si è affermato che rispetto a questi obiettivi «non esiste un’alternativa meno vincolante alla predisposizione di una procedura obbligatoria, dato che la introduzione di una procedura meramente facoltativa non costituisce uno strumento altrettanto efficace per la realizzazione di detti obiettivi» (sentenza del 28 marzo 2010 nelle cause riunite da C-317 a C-320/08).
Tutto ciò, peraltro, non esime il legislatore dallo strutturare l’onere economico di cui si tratta in termini di ragionevolezza ed al riguardo la difesa dello Stato ritiene che il canone di ragionevolezza sia stato rispettato. In proposito, la difesa dello Stato osserva che gli importi minimi delle indennità per ciascuno scaglione di riferimento non solo sono derogabili (art. 16 del d.m. n. 180 del 2010, come modificato dal decreto ministeriale n. 145 del 2011), ma nei casi di mediazione prevista come condizione di procedibilità l’importo massimo delle spese di mediazione deve essere ridotto di un terzo per i primi sei scaglioni e fino alla metà per i restanti quattro. Sono previsti, inoltre, degli incentivi: tutti gli atti, documenti e provvedimenti sono esenti da bollo, spese, tasse e/o diritti, mentre il verbale di accordo è esente da imposta di registro sino al valore di 50.000,00 euro.
In caso di successo, inoltre, vi è un credito di imposta per entrambe le parti sino a 500,00 euro, credito che si riduce alla metà in caso di insuccesso (art. 20).
Infine, ad avviso della difesa dello Stato, il costo di un procedimento giudiziario è molto più elevato, anche senza considerare la possibilità di tre gradi di giudizio.
Con riferimento alla censura sollevata in relazione alla violazione dell’art. 3 Cost., in quanto si introdurrebbe una disparità di trattamento tra attore e convenuto, la difesa dello Stato ritiene che la circostanza secondo cui l’onere economico dell’avvio e della mediazione rimangono a carico del solo attore, in caso di mancata comparizione del chiamato, è «la naturale conseguenza di condotte processuali diverse: né potrebbe prevedersi un obbligo per il chiamato in mediazione di comparire alla stessa, così come non potrebbe prevedersi l’obbligo per il convenuto di costituirsi in giudizio».
Peraltro, la mancata partecipazione del chiamato senza giustificato motivo, ad avviso dell’Avvocatura, non rimarrebbe priva di conseguenze, anche di rilievo economico, posto che tale condotta sarebbe valutata dal giudice ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., così come stabilito dall’art. 8, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2010.
11.— Il Giudice di pace di Parma, con ordinanza del 1° agosto 2011 (r.o. n. 254 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010.
Il rimettente premette di dover giudicare in una causa civile avente ad oggetto una «domanda di pagamento in materia di locazione di beni mobili, rientrante nella previsione normativa di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, per la quale è previsto il preliminare procedimento di mediazione a pena di improcedibilità».
II giudice a quo dà atto che l’attrice ha omesso di svolgere il detto procedimento ed ha eccepito alcune questioni di legittimità costituzionale di cui dà conto nell’ordinanza.
Ciò premesso, il rimettente, dopo aver riepilogato il quadro normativo di riferimento, ritiene che le disposizioni sopra indicate risultino in contrasto con l’art. 24 Cost., «in quanto realizzano un meccanismo di determinante influenza di situazioni preliminari sulla tutela giudiziale dei diritti, posto che l’art. 5 in discorso ha configurato, nelle materie previste, l’attività degli organismi di conciliazione come imprescindibile e per ciò stesso, idonea a conformare definitivamente i diritti soggettivi coinvolti».
In particolare, l’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010 «ha delineato gli organismi di conciliazione con riferimento a qualità nell’ottica della mera funzionalità degli stessi, omettendo qualsiasi riferimento a criteri di qualificazione tecnica o professionale»; sicché, «in difetto di una adeguata definizione della figura del mediatore, le norme in discorso potrebbero essere fonte di pregiudizi a danno dei privati, i quali in sede giudiziale potrebbero usufruire di elementi di valutazione diversi da quelli a loro offerti nella fase preliminare del procedimento di mediazione».
Il rimettente ritiene, inoltre, che dette disposizioni siano in contrasto anche con l’art. 77 Cost., posto che «il legislatore delegante non ha formulato alcuna indicazione circa l’obbligatorietà del previo esperimento del procedimento di mediazione»; ed anzi alla luce dei principi e criteri direttivi della legge delega, di cui alle lettere c) e n) del comma 3 dell’art. 60, dovrebbe escludersi che l’obbligatorietà del procedimento di mediazione possa rientrare nella discrezionalità tipica della legislazione delegata «quale attività di attuazione e sviluppo della delega, nella debita considerazione del contesto normativo comunitario di riferimento».
12.— Con atto depositato in data 23 dicembre 2011, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha formulato argomentazioni identiche a quelle esposte nell’atto di intervento, da parte del Ministro della giustizia e del Ministro dello sviluppo economico, in relazione alla questione sollevata con r.o. n. 268 del 2011.