16.— Con atto depositato in data 21 febbraio 2012, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha formulato argomentazioni identiche a quelle esposte nei precedenti atti di intervento.
17.— Il Giudice di pace di Salerno, con ordinanza del 19 novembre 2011 (r.o. n. 51 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 24, 70, 76 e 77 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui prevede che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Il rimettente riferisce che, con atto del 7 novembre 2011, l’attrice ha citato in giudizio una società di assicurazioni, al fine di ottenere il risarcimento delle lesioni subite ed il rimborso delle spese mediche sostenute a seguito di un sinistro stradale, verificatosi il 17 gennaio 2011. In particolare, l’attrice ha affermato di aver stipulato con la convenuta una polizza infortuni avente ad oggetto la copertura di eventuali danni subiti dal conducente a seguito di sinistro stradale e ha concluso per la condanna della detta compagnia di assicurazioni al pagamento delle somme quantificate nell’atto introduttivo del giudizio. La convenuta si è costituita in giudizio ed ha eccepito l’improponibilità della domanda per violazione delle disposizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, assumendo che non era stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione.
Ciò premesso, il rimettente ritiene che «una condizione di procedibilità di una domanda giudiziaria, ex art. 24 Cost., può essere introdotta in maniera esclusiva dal legislatore e non da un organo governativo che avrebbe potuto farlo soltanto se ne fosse stato autorizzato dalla legge di delega».
Secondo il giudice a quo l’eccesso si configurerebbe «là dove non è stata recepita la parte in cui [la legge delega] escludeva che il procedimento potesse costituire condizione di procedibilità della domanda ovvero fosse in grado di precludere, per tutta la sua durata, l’accesso alla giustizia ordinaria», ciò in quanto «unico intento» della legge di delega era quello di creare un «organismo deflattivo per la giustizia e non certamente di favorire la creazione di un elemento ostativo al suo accesso».
Il rimettente osserva, ancora, che «tutto quanto previsto dal decreto in più rispetto al portato della legge delega potrebbe aprire ad una gestione della giustizia ad opera dei privati, come tali non legittimati dalla Costituzione a svolgere detta alta funzione e soprattutto non dotati del rigoroso tecnicismo richiesto».
Al riguardo, è richiamato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui il sistema di giustizia «condizionata» è ammissibile solo nel caso in cui l’eccezione al principio «dell’accesso immediato alla giurisdizione» si presenti come ragionevole e risponda ad un interesse generale, purché non vengano imposti oneri tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile far valere le proprie ragioni; oneri che, ad avviso del rimettente, sarebbero anche quelli di carattere economico.
L’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, pertanto, si porrebbe in contrasto con l’art. 24 Cost. in quanto «ha reso la mediazione una condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, negando per tutto il tempo della sua durata l’accesso alla giustizia e soprattutto non prevedendo alcun mezzo per i meno abbienti per attivare il procedimento della media conciliazione»; inoltre, «in caso di fallimento del procedimento di media-conciliazione le spese sostenute per adire l’organismo definito deflattivo non potranno essere ripetute e rimarranno esclusivamente a carico delle parti, con evidenti conseguenze economiche afflittive per le classi sociali meno agiate».
18.— Il Giudice di pace di Catanzaro, con ordinanza del 3 novembre 2011 (r.o. n. 19 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 77 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 16 del d.m. n. 180 del 2010.
In punto di fatto, il rimettente riferisce che la materia oggetto della domanda concerne una richiesta di indennizzo derivante da contratto assicurativo e che, pertanto, rientra nelle ipotesi in cui l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità.
Ciò posto, il giudicante ritiene che l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nel prevedere che l’esperimento del procedimento di mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale, si ponga in contrasto con gli artt. 24 e 77 Cost. in quanto, mentre l’art. 60 della legge n. 69 del 2009, al comma 3, lettera a), prescrive che nell’esercizio della delega il Governo si attenga, tra gli altri, al seguente criterio e principio direttivo «[…] a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia», l’art. 5 del d.lgs. citato concepisce il procedimento di mediazione quale momento propedeutico alla domanda giudiziale, «rischiando di compromettere l’effettività della stessa tutela giudiziale e condizionando in concreto il diritto di azione».
Il giudice a quo ritiene, altresì, che l’art. 16 del d.m. n. 180 del 2010, nel prevedere che il tentativo di conciliazione abbia un costo non meramente simbolico, sia in contrasto con l’art. 24 Cost., in quanto subordina l’esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro, così contravvenendo a quanto affermato dalla sentenza n. 67 del 2 novembre 1960 di questa Corte, secondo cui lo Stato non può pretendere somme di denaro per la funzione giurisdizionale civile, se non nel caso di tributi giudiziari o cauzioni.
Detta disposizione, prevedendo, inoltre, che l’esborso di denaro non è destinato allo Stato, ma ad un organismo anche di natura privata, contrasterebbe con il principio fissato nelle sentenze n. 522 del 2002 e n. 333 del 2001 della Corte costituzionale, secondo cui l’esborso deve essere «razionalmente collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione».
Sussisterebbe anche il contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto, prevedendo espressamente che la parte convenuta possa non aderire al procedimento e non anche la parte attrice, si introdurrebbe una disparità di trattamento.
19.— Con atto depositato in data 13 marzo 2012, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha formulato argomentazioni identiche a quelle esposte nell’atto di intervento nel giudizio di legittimità costituzionale originato dall’ordinanza del Giudice di pace di Catanzaro n. 2 del 2012, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.