Il trust-interno: inquadramento civilistico (E. W. Di Mauro)

 

6.3 L’azione revocatoria con riferimento ai trusts.

 

Il presupposto giustificativo della revocatoria non può mai essere la sanzione contro un presunto vincolo di indisponibilità del patrimonio del debitore e se la stessa non può configurarsi come la sanzione di un atto valido o quanto meno illecito, risulta quanto meno dubbio e ormai superato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nell’ipotesi di revocatoria di atti di disposizione  in sede fallimentare, nella cui disciplina il requisito del pregiudizio non è nell’alterazione della par condicio creditorum che l’atto verrebbe a produrre[44].

A differenza della disciplina per la revocatoria ordinaria, dove l’art. 2901, comma 1, c.c. richiede che l’atto di disposizione da parte del debitore debba arrrecare un pregiudizio alle ragioni del debitore, nella disciplina della revocatoria fallimentare, tranne nel caso dell’art. 67, comma 1, n.1 l.fall., dove per la revoca degli atti a titolo oneroso, compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, si richiede la notevole sproporzione tra obbligazioni assunte dal fallito e ciò che a lui è stato dato o promesso, non è espressamente menzionato l’elemento del danno e del pregiudizio, anche  se la disciplina in questione è considerata uno degli effetti degli atti pregiudizievoli ai creditori, stando quindi ad indicare che, nell’ambito del fallimento e delle altre procedure concorsuali, possono essere revocati solo gli atti dannosi per la massa dei creditori e non certo quelli che, per qualsiasi ragione non risultino tali[45].

Quindi solo se si è verificata una diminuzione patrimoniale del debitore poi fallito può sorgere un problema di revoca, in presenza peraltro dell’elemento soggettivo, richiesto dalla stessa disciplina[46], sicché l’atto sarà revocabile se i valori patrimoniali hanno subito, per un suo effetto, un deprezzamento, ma non lo sarà se, per suo effetto, la situazione patrimoniale del debitore, poi fallito, è rimasta immutata o se, addirittura, quei valori sono aumentati.

Con riferimento al trust, un tale requisito dovrà essere accertato con riferimento al patrimonio del disponente ed avendo sempre riguardo alla disciplina dei rapporti con l’eventuale beneficiario sottostante al trust. Ed è appena il caso di ricordare che lo stesso dovrà essere esattamente identificato poiché esso qualifica la causa petendi dell’azione revocatoria.

Il creditore dovrà chiamare in giudizio, in caso di trust, sia il disponente sia il fiduciario (trustee) sia il beneficiario, essendo quest’ultimo il soggetto direttamente interessato all’operazione ed il fiduciario (trustee) il soggetto nel patrimonio del quale i beni risultano segregati, affinché egli possa svolgere i compiti che gli sono stati assegnati.

Altro problema riguarda la precisa identificazione e qualificazione, con riferimento al singolo trust, dell’atto di disposizione con cui il debitore, nel nostro caso il disponente (settlor), arrechi pregiudizio alla garanzia generica del suo creditore, trasferendo i beni al fiduciario (trustee) o segregandoli nel proprio patrimonio per realizzare gli scopi del trust con gli effetti previsti dagli artt. 2 e 11 Conv.

A riguardo va precisato che oggetto dell’azione revocatoria non può essere l’atto istitutivo del trust, che di per se stesso non ha effetti dispositivi, ma il conseguente atto di disposizione con cui i beni sono trasferiti al fiduciario (trustee) o posti sotto il controllo dello stesso, oppure segregati nel patrimonio del disponente, nell’interesse del beneficiario o per fine specifico, come precisa l’art. 2, comma 2, Conv.

Una volta stabilito l’oggetto dell’azione revocatoria con riferimento al trust, particolari problemi si pongono per la qualificazione dell’atto revocando in termini di gratuità oppure onerosità.

In sede revocatoria ordinaria (art. 2901, comma 1, n.3), affinché l’atto a titolo oneroso possa essere revocato, il terzo deve essere consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, deve essere partecipe della dolosa preordinazione, mentre in sede fallimentare, per gli atti a titolo oneroso, per i pagamenti e per le garanzie, alle quali non si estende la presunzione di onerosità sancita dall’art. 2091, comma 2, c.c. in sede revocatoria ordinaria[47], i primi due commi dell’art. 67 l. fall. Sono formulati con riferimento alla gravità degli atti compiuti dal debitore ed al pregiudizio che da ciò consegue, collegandosi a tale gravità la facilitazione della prova a carico del curatore. Infatti, nel primo comma si presume che il terzo conosca lo stato di insolvenza, mentre nel secondo comma sono considerati atti di minore gravità, che si ritengono conciliabili con il normale regime dell’onere della prova. Sempre in sede fallimentare, gli atti a titolo gratuito, purché compiuti nei due anni anteriori al fallimento, sono soggetti ad una speciale inefficacia oggettiva ed automatica, nella quale risulta irrilevante sia la condizione soggettiva delle parti sia lo stato di insolvenza al momento del compimento dell’atto.

Nel caso del trust, la complessità della vicenda, che richiede sempre un momento organizzativo, estraneo di per sé alla revocatoria, ed un momento dispositivo, che formalmente costituisce l’oggetto del rimedio in questione, impone necessariamente una considerazione unitaria delle due diverse fattispecie sotto il profilo del collegamento che sussiste tra le stesse, e rende più complessa l’identificazione del terzo, che non è il fiduciario (trustee), ma colui che riceve i benefici del trust attraverso il veicolo del patrimonio segregato e subisce nel suo patrimonio gli effetti negativi del vittorioso esito del giudizio revocatorio.

A quest’ultimo deve pertanto farsi riferimento per individuare la consapevolezza o la partecipazione alla dolosa preordinazione, richiesta dall’art. 2091, comma 1, n.2 c.c., in tema di revocatoria ordinaria, e la inscientia decoctionis o la scientia decoctionis, richieste, rispettivamente, nei due commi dell’art. 67 l. fall.

Risulta chiaro che, ai fini del giudizio revocatorio, i singoli trusts devono essere valutati nella loro varietà strutturale e nei loro effetti, poiché la Convenzione dell’Aja, non ha tipizzato un contratto, ma ha stabilito i requisiti minimi perché una determinata fattispecie possa essere qualificata come trust. Pertanto quando di procede ad una valutazione della complessa fattispecie nell’ambito del giudizio revocatorio, per qualificare la stessa in termini di gratuità o di onerosità, sarà necessario considerare l’intero assetto di interessi, quali risulta dal collegamento tra il momento di organizzazione del singolo trust ed il momento dispositivo e dal coinvolgimento sia del disponente (settlor) sia del fiduciario (trustee) sia del beneficiario che risulta il titolare di pretese e di situazioni giuridiche protette[48].

 

  1. Possibili sviluppi.

 

Alla luce di quanto esposto si evidenzia come il trust sia stato utilizzato al fine di selezionare interessi meritevoli di tutela e di proteggerli meglio di quanto faccia o possa fare il nostro diritto interno.

Tuttavia il ricorso al trust deve essere il frutto di una scelta ponderata, effettuata alla luce di una seria analisi degli strumenti offerti dal nostro diritto. Solo quando essi non sono sufficientemente idonei alla realizzazione degli interessi in gioco il ricorso al trust può considerarsi utile.

È limitativo vedere nel trust solo uno strumento che assicura la segregazione. Se ci si limita a considerare solo questo aspetto, si finisce con il privilegiare solo uno degli effetti prodotti dal trust, anche se il principale, rispetto ad altri, quali l’affidamento fiduciario, la surrogazione reale, oppure una loro combinazione.

È evidente come l’introduzione in Italia di un istituto nato in un ordinamento di commn law sia operazione delicata, rispetto alla quale la cautela è d’obbligo.

Ciò è certamente vero sul piano teorico, come dimostrato dal dibattito dottrinale, soprattutto con riferimento all’ammissibilità del c.d. trust interno.

Tuttavia, fronte della teoria, si pone la prassi professionale, che si dimostra molto fervida nell’utilizzazione dell’istituto; e la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità del c.d. trust interno numerose volte con risultati certamente sorprendenti, che dimostrano da un lato la consapevolezza dell’insufficiente attenzione del legislatore italiano per la realizzazione di certi interessi, dall’altro, l’interesse culturale per un istituto molto duttile per la protezione di interessi giuridici che altrimenti rischierebbero di non avere una tutela adeguata.

L’effetto della segregazione riveste, nella struttura dell’istituto, un ruolo essenziale, e probabilmente il ricorso al trust si spiega anche in riferimento all’esigenza, per gli operatori giuridici, di avere a disposizione ed utilizzare una figura generale di segregazione patrimoniale idonea alla realizzazione di certi interessi e che tale figura tuttavia non esiste in diritto italiano. Di qui il ricorso al trust (anche interno) regolato da una legge straniera, riconoscibile in Italia a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja.

Se di fronte alle numerose difficoltà che incontra l’introduzione del trust nel nostro ordinamento[49], si vuole procedere alla strutturazione di un istituto proprio del diritto italiano che possa essere utilizzato al fine di attuare certi assetti di interessi ritenuti meritevoli di tutela, il primo effetto da assicurare è proprio quello della segregazione patrimoniale.

Tale effetto non è visto con sfavore dal nostro ordinamento, e ciò è dimostrato da numerose norme contenute (oltre che nel codice civile: es. fondo patrimoniale; accettazione con beneficio d’inventario; patrimoni destinati; finanziamenti destinati ad uno specifico affare) in leggi speciali, che la prevedono proprio in considerazione della rilevanza degli interessi da tutelare[50].

Una volta ammessa la conformità all’ordinamento di una figura generale da utilizzarsi per la produzione dell’effetto segregativo si dovrà pensare alla concreta disciplina e quindi alla sua struttura, ai soggetti di questo atto, agli aspetti pubblicitari, ai profili tributari, ai possibili strumenti di reazione nei confronti di atti posti in essere con finalità ultronee rispetto a quelle considerate meritevoli di tutela dalla legge.

Si potrebbe immaginare un provvedimento di tipo generale, che disegni un quadro di regole utilizzabili in maniera universale, indipendentemente dall’ambito di utilizzazione; oppure un intervento settoriale, volto a realizzare una migliore tutela di determinati interessi[51].

Il trust (anche interno) è una realtà che vive ed opera nel nostro ordinamento e l’adozione di una legge italiana non può (nè potrebbe) considerarsi disconoscimento e superamento della Convenzione dell’Aja. Sarà quindi problematico il coordinamento tra le regole sopra delineate e la Convenzione, ove la figura di segregazione patrimoniale da esse prevista abbia le caratteristiche di cui all’art. 2 Conv.

La Convenzione è stata ormai ratificata e quindi è pienamente operante. Essa, alla luce dell’esperienza operativa, sembra consentire l’utilizzazione del c.d. trust interno, regolato da una legge straniera.

Una nuova legge non dovrebbe quindi impedire agli operatori di creare un trust regolamentato da una legge straniera, quanto, piuttosto, porsi in posizione di concorrenza.

Sicuro è che, una eventuale emananda legge italiana non può introdurre il trust nell’ordinamento italiano, perché il concetto di trust, a livello dogmatico, forse non esiste neanche negli ordinamenti di common law[52].

Ciò che verrà (se verrà) introdotto sarà certamente qualcosa di diverso, che forse produrrà effetti analoghi a quelli prodotti dal trust, ma non sarà certamente il trust, sorto in Inghilterra oltre mille anni fa.

 

 

 

 

 


[1] Pagando lui il prezzo o mettendo a disposizione il denaro per farlo.

[2] Immobile, o più spesso, mobile: azioni, quote di società a responsabilità limitata, altri valori mobiliari.

[3] A. Torrente, Manuale di Diritto Privato20, Milano 2011, pp.619 e ss. L’autore rileva che si discute se vada riconosciuta al fiduciario, di fronte ai terzi, un normale diritto di proprietà (secondo lo schema della c.d. fiducia romanistica) ovvero attribuendogli soltanto una legittimazione all’esercizio dei diritti e delle prerogative inerenti la proprietà, ferma restando la proprietà in capo al fiduciante (secondo lo schema della c.d. fiducia germanistica): discussione che si tende a risolvere attribuendo al fiduciario una mera legittimazione quando l’oggetto del rapporto sia costituito da valori mobiliari e soprattutto da titoli di credito e considerandolo, invece, un normale proprietario, sia pure con obblighi particolarmente assorbenti, nei rapporti interni, di fronte al fiduciante, quando si tratti di beni immobili o di altri tipi di beni mobili; occorre tenere presente che per accertare se si sia in presenza dell’una o dell’altra figura occorre valutare la volontà delle parti.

[4] A. Catricalà, L’esame di diritto civile9, Rimini 2011, p.398.

[5] M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trusts e degli affidamenti fiduciari, Padova 2008; G. Vettori (a cura di), Atti di destinazione e trust, Padova 2008; E. Ginevra, La partecipazione sociale fiduciaria, Milano 2004.

[6] A. Catricalà, L’esame di diritto civile9, cit., p. 398:

[7] Uno per tutti, Trib. Parma, decreto 21 ottobre 2003; con il quale l’atto con cui si nomina il trustee di un bene immobile va trascritto nei registri immobiliari.

[8] A. Torrente, Manuale di diritto privato20, cit., p. 621.

[9] M. Brutti, Il diritto privato nell’antica Roma2, Torino 2011, pp.472 e ss.

[10] Gai. 2, 60.

[11] Si può notare una certa similitudine con l’istituto del Trust, già nel contesto giuridico romano.

[12]  L’analisi è stata ripresa e rielaborata dal testo originale di D. Muritano,  Studio realizzato nell’ambito dei lavori della Commissione “Propositiva” del Consiglio Nazionale del Notariato,  successivamente aggiornato dall’autore, 2005, pp. 1 e ss.

[13] Art. 11: Un trust istituito in conformità alla legge determinata in base al capitolo precedente sarà riconosciuto come trust.

Tale riconoscimento implica, quanto meno, che i beni in trust rimangano distinti dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia la capacità di agire ed essere convenuto in giudizio, di comparire, in qualità di trustee, davanti a notai o altre persone che rappresentino un’autorità pubblica.

Nella misura in cui la legge applicabile lo richieda o lo preveda, tale riconoscimento implica in particolare:

a.       Che i creditori personali del trustee non possano rivalersi sui beni in trust;

b.       Che i beni in trust siano segregati rispetto al patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest’ultimo o di suo fallimento;

c.        Che i beni in trust non rientrano nel regime  matrimoniale o nella successione del trustee;

d.       Che la rivendicazione dei beni in trust sia permessa nella misura in cui il trustee, violando le obbligazioni risultanti dal trust, abbia confuso i beni in trust con i propri o ne abbia disposto. Tuttavia, i diritti ed obblighi di un terzo possessore dei beni sono disciplinati dalla legge applicabile in base alle norma in conflitto del foro.

[14] In senso favorevole alla riconoscibilità del trust c.d. interno: A. Catricalà, L’esame di diritto civile9, cit., p. 398,; M. Lupoi, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, in VN, 1992, pp. 978 e ss.; S. Bartoli, Trusts, Milano 2001, pp. 597 e ss.; A. De Donato – V. De Donato – M. D’Errico, Trust convenzionale. Lineamenti di teoria e pratica, Roma 1999, pp. 80 e ss.; U. Morello, Fiducia e Trust: due esperienze a confronto, in Fiducia, trust, mandato ed agency, Milano 1991, pp. 97 e ss.; N. Lipari, Fiducia statica e trusts, in I Trusts in Italia oggi, Milano 1996, p. 75; F. Di Ciommo, Per una teoria negoziale del Trust (ovvero perché non riusciamo a farne a meno), in CG, 1999, pp. 786 e ss; M. E. D’Orio, Un trust a garanzia di un prestito obbligazionario. Percorsi e tendenze nella dottrina dei trusts, in GC, 1998, pp. 239 e ss.; N. Canessa, I Trusts interni. Ammissibilità del trust e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano, Milano 2001, pp. 17 e ss; A. Gambaro, Il diritto di proprietà, in Trattato di dir. Civ. e comm., Milano 1995, pp. 637 e ss.

In senso contrario alla riconoscibilità del trust c.d. interno: C. Castronovo, Trust e diritto civile italiano, in VN, 1998, pp. 1323 e ss; E. Andreoli, Il Trust nella prassi bancaria e finanziaria, Padova 1998, pp. 86 e ss.; V. Salvatore, Il Trust. Profili di diritto internazionale e comparato, Padova 1996, pp. 95 e ss.; F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista non vivente su trust e trascrizione), in RN, 2001, pp. 11 e ss; P. Schlesinger, Una novella per il trust, in N, 2001, p. 337.

[15] Cfr. C. Pilia, Circolazione giuridica e nullità, Milano 2002, p. 159.

[16] Cfr. A. Falzea, Introduzione e considerazioni conclusive, in  Destinazione di beni allo scopo, Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano 2003, pp. 23 e ss.

[17] Art. 15: La Convenzione non costituisce ostacolo all’applicazione delle disposizioni della legge designata dalle norme sul conflitto di leggi quando per un atto volontario non possa derogare ad esse, in particolare nelle seguenti materie:

a.       Protezione dei minori e degli incapaci;

b.       Effetti personali e patrimoniali del matrimonio;

c.        Testamenti e devoluzione ereditaria, in particolare la successione necessaria;

d.       Trasferimento della proprietà e le garanzie reali;

e.        Protezione dei creditori in caso di insolvenza;

f.        Protezione dei terzi in buona fede.

Qualora le disposizioni dei precedenti paragrafi siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici.

[18] La Giurisprudenza di merito: Trib. Lucca del 23 settembre 1997; App. Firenze del 9 agosto 2001; Trib. Bologna del 01 ottobre 2003; Trib. Brescia del 12 ottobre 2004; Trib. Belluno, decr. Del 25 settembre 2002. La Corte di Cassazione con sentenza n. 20254 del 19 novembre 2012 ha specificato che l’istituzione di un trust non configura abuso del diritto, quando il vantaggio fiscale non costituisce la ragione determinante dell’operazione, cioè quando concorrono ragioni e giustificazioni economico-sociali di altra natura e di non minimo rilievo.

Tale considerazione non è plausibile perché non di rado la Suprema Corte emette pronunce tra loro contrastanti. Infine è da evidenziare che la giurisprudenza si era occupata della materia anche prima dell’entrata in vigore della Convenzione Aja ed aveva escluso la contrarietà del trust estero all’ordine pubblico interno. Cfr. Trib. Oristano del  15 marzo 1956.

[19] Sembrerebbero pochi i trusts iscritti nel registro delle imprese e nel pubblico registro automobilistico.

[20] Art. 12: il trustee che desidera registrare beni mobili o immobili o i titoli relativi a tali beni, sarà abilitato a richiedere l’iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò sia vietato dalla legge dello Stato nella quale la registrazione deve avere luogo ovvero incompatibile con essa.

[21] Cfr. nt. 14.

[22] Infatti nella norma è scritto facoltà e non obbligo perché in alcuni Paesi la legge espressamente vieta di rilevare l’esistenza del trust.

[23] V. www.il-trust-in-Italia.it.

[24] Trib. Alessandria, ord. 2 maggio 200; Trib. Firenze, decr., 6 giugno 2002; Trib. Chieti, ord. 10 marzo 2000; Trib. Bologna, decr. 18 aprile 2000; Trib. Pisa, decr. 22 dicembre 2001; Trib. Milano, decr. 29 ottobre 2002; Trib. Verona 8 gennaio 2003 e 23 gennaio 2003; Trib. Napoli 1 ottobre 2003; Trib. Parma 21 ottobre 2003.

[25] Compendio dello studio realizzato dal Gruppo di lavoro presso la Direzione delle Entrate dell’Emilia Romagna con la partecipazione di componenti dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna, del Collegio dei Ragionieri di Bologna, del Consiglio Notarile di Bologna e dell’Ordine degli Avvocati di Bologna.

[26] V. supra.

[27] In particolare di v. per la dottrina: nt. 14; per la giurisprudenza: Cass. n.20254 del 19 novembre 2012; Trib. Bologna del 28 aprile 2000.

[28] Analisi di G. Tucci, Trusts, concorso dei creditori e azione revocatoria, in Trusts e attività fiduciarie, 2003, pp. 24 e ss.

[29] Per gli effetti di diritto interno M. Lupoi, I trusts, Milano 2001, pp. 524 ss.; A. Gambaro, voce Trust, in Dig. Disc. Priv., XIX, Torino 1999, pp. 468 e ss.

[30] P. Schlesinger, L’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti su beni del debitore, in Riv. Dir. Proc., 1995, pp. 318 e ss; G. Tarzia, Esecuzione forzata e procedure concorsuali, Padova 1994, p. 555.

[31] G. Tucci, Trusts, Concorso dei creditori e azione revocatoria, cit., pp. 4 e ss.

[32] In tal senso G. Alpa, I principi generali, in Tratt. Dir. Priv., Milano 1993, pp. 409 e ss.

[33]  Su tale aspetto P. Schlesinger, L’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, cit., p. 326.

[34] M. Andreoli, voce Fallimento, in Enc. Dir., XVI, Milano 1967, pp. 398 e ss.

[35] G. Tucci, Trusts, concorso dei creditori e azione revocatoria, cit., pp. 4 e ss.

[36] J. Stoufflet, La rèserve de propriété dans l’avant-projet de Convention d’UNIDROIT: réflection sur son insertion dans le système juidique francais, in Uniform Law Review, 1999, pp. 361 e ss.

[37] C. Castronovo, Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, pp. 1323 e ss.

[38] P. Manes, La segregazione patrimoniale nelle operazioni finanziarie, in Contratto e  impresa, 2001, pp. 1362 e ss.

[39] Per queste distinzioni v. M. Lupoi, I trusts in Italia, op. cit., p. 566; V. Roppo, Il contratto, Milano 2001, pp.687 e ss.

[40] A. Gambaro, voce Trust, in Dig. Disc.priv., p. 497.

[41] Cass., Sez. Un. n.5443 del 13 giugno 1996; Cass., Sez. Un., n. 6225 del 8 luglio 1996.

[42] Cass. n.2154/1984, Cass. n. 2706/1995.

[43] G. Tucci. Trusts, concorso dei creditori e azione revocatoria, cit., pp. 4 e ss.

[44] Cass. n. 9075/1997.

[45] G. Terranova, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Comm. Scialoja-Branca, artt. 64-71, I, Bologna-Roma 1993, pp. 54 e ss.

[46] G. Terranova, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievole ai creditori, cit., pp. 54 e ss.

[47] Principio affermato in Cass. n. 13208/1998.

[48] G. Tucci, Trusts, concorso dei creditori e azione revocatoria, cit., pp. 4 e ss.

[49] È possibile che nonostante il trust interno debba essere riconosciuto, nondimeno esso in concreto produca effetti inaccettabili per l’ordinamento italiano. Non è escluso, infatti, che il trust sia aggredito con l’azione di riduzione, con l’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, o con altro tipo di azione volto a renderlo invalido o comunque inefficace.

[50] Si pensi alla normativa in materia di gestione del risparmio, di fondi pensioni, di cartolarizzazione dei crediti e simili.

[51] D. Muritano, Trust e diritto italiano: uno sguardo d’insieme (tra teoria e prassi), cit., pp. 1 e ss.

[52] D. Muritano, Trust e diritto italiano: uno sguardo d’insieme (tra teoria e prassi), cit., pp. 1 e ss.

 

 

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