IL NUOVO REATO DI “INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITÀ” EX ART. 319-QUATER C.P.
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 190/12 (legge 6 novembre 2012, n. 190) più comunemente conosciuta come “legge anti corruzione”, la sesta sezione della Corte di Cassazione (che comprende fra le proprie competenze tabellari la materia dei reati contro la pubblica amministrazione) ha dato conto dei principi di diritto riguardanti gli effetti della riforma del novembre scorso. In particolare, si registrano significativi interventi in merito alla nuova figura delittuosa di “Indebita induzione a dare o promettere utilità” di cui all’art. 319-quater c.p.. Per il momento si tratta di informazioni provvisorie, distribuite dallo stesso collegio procedente immediatamente dopo la decisione del ricorso, ma prima che intervenga la stesura delle motivazioni e, quindi, il deposito del provvedimento.
L’art. 319-quater c.p., rubricato “Indebita induzione a dare o promettere utilità”, è strutturato in due commi. Il primo comma, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce con la reclusione da tre a otto anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che “…abusando della sua qualità o dei suoi poteri induce taluno a dare o promettere indebitamente a lui o a un terzo, denaro o altra utilità…”. Il secondo comma, in modo del tutto innovativo, va a colpire con la reclusione sino a tre anni la condotta di chi, nei casi previsti dal primo comma “…dà o promette denaro o altra utilità…”.
L’introduzione di tale fattispecie all’interno del sistema penale ha determinato un nuovo assetto della disciplina in materia. Il delitto di Concussione di cui all’art. 317 c.p. ha infatti subito un restringimento della propria area operativa, essendo ora limitato al solo fatto del pubblico ufficiale (e non più anche dell’incaricato di pubblico servizio) che costringa il privato alla illecita dazione o promessa di denaro o altra utilità. Restano pertanto escluse le ipotesi di mera induzione, confluite ad oggi all’interno della nuova e meno grave ipotesi criminosa di cui all’art. 319-quater c.p.. In proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che per costrizione deve intendersi qualunque violenza morale attuata con abuso di qualità o di poteri che si risolva in una minaccia implicita o esplicita di un male ingiusto, recante lesione non patrimoniale o patrimoniale, costituita da danno emergente o da lucro cessante. Secondo i giudici di legittimità, la condotta costrittiva deve cioè minare la libertà di autodeterminazione del soggetto che la subisce, tanto da rendergli impossibile resistere alla illecita pretesa. Dal nuovo assetto normativo deriva che: ove a porre in essere la condotta costrittiva sia il pubblico ufficiale, sarà integrato il delitto di Concussione ex art. 317 c.p.. Laddove invece soggetto attivo della medesima condotta sia un incaricato di pubblico servizio, si configurerà un’ipotesi di Estorsione aggravata ex artt. 629, 61 n. 9 c.p.. Diversamente, qualora il pubblico agente ponga in essere nei confronti del privato un’attività di suggestione, di persuasione, di pressione morale che, pur avvertibile come illecita non ne annienta la libertà di autodeterminazione, sarà integrato il reato di cui all’art. 319-quater c.p.. (1)
Il Supremo Collegio ha altresì chiarito il rapporto strutturale fra le due menzionate figure delittuose asserendo che fra le stesse intercorre un rapporto di continuità normativa alla stregua dell’art. 2/4 c.p.. Infatti, afferma la Cassazione “…l’induzione richiesta per la realizzazione del delitto previsto dall’art. 319-quater c.p. non è diversa sotto il profilo strutturale da quella del previgente art. 317 c.p. sì da determinare continuità normativa fra le due disposizioni, formulate in termini del tutto identici…”. Ne deriva l’applicazione della lex mitior in relazione ai fatti commessi nel vigore della precedente disciplina, salvo il limite del giudicato. (2)
Di assoluto rilievo appare inoltre il differente inquadramento giuridico della figura del “concusso mediante induzione”. Quest’ultimo, se nella versione antecedente alla legge n. 190/12 non era punibile al pari del “concusso mediante costrizione”, con la riforma ha mutato radicalmente veste. Infatti, mentre nel delitto di Concussione (art. 317 c.p.) viene confermata la non punibilità del privato che effettua la promessa o la dazione illecita (trattandosi di una vittima dell’abuso del pubblico ufficiale), nel reato di Indebita induzione (art. 319-quater comma secondo c.p.) viene invece affermata – per la prima volta – la punibilità del privato indebitamente indotto dal pubblico agente alla promessa o alla dazione illecita, che da vittima diviene così concorrente necessario del reato.
Ciò posto, in ambito processuale ci si è chiesti se il soggetto concusso costituitosi parte civile nel processo per l’originario reato di Concussione mediante induzione ex art. 317 c.p. conservi la legittimazione all’azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno anche dopo che, stante la continuità normativa fra le due fattispecie, il fatto venga riqualificato alla stregua dell’art. 319-quater comma primo c.p.. La Suprema Corte ha risposto affermativamente. Il concusso, che in base al principio di irretroattività della legge penale sfavorevole non può assumere la veste di imputato per il nuovo reato di cui all’art. 319-quater comma secondo c.p. conserva la legittimazione all’azione civile nel processo per l’originario reato di concussione in virtù del principio generale secondo cui se un fatto costituisce illecito civile nel momento in cui è stato commesso su di esso non influiscono le successive vicende della punibilità (3). Al diritto del danneggiato al risarcimento del danno non si applicano infatti i principi attinenti la successione nel tempo delle leggi penali fissati dall’art. 2 c.p. ma il principio di cui all’art. 11 delle pre-leggi secondo il quale la legge non dispone che per l’avvenire e in ogni caso non ha effetto retroattivo. (4)
(1) Cass., sez. VI, 3.12.12, n. 46207/11, ric. Roscia; Cass., sez. VI, 3.12.12, n. 49718/11, ric. Gori; Cass., sez. VI, 4.12.12, n. 33669/12, ric. Nardi, informazioni provvisorie.
(2) Cass., sez. VI, 11.02.13, ric. Melfi, informazione provvisoria.
(3) Cass., sez. VI, 25.01.13, ric. Ferretti, informazione provvisoria.
(4) Cass., Sez. Unite, 21.1.92, ric. Dalla Bona; Cass., sez. V, 24.05.05, n. 28701, ric. Romiti, secondo cui il diritto al risarcimento del danno permane anche in caso di abolitio criminis.