L’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense e i criteri per l’accertamento dell’attività professionale (K.Pace-V. Marchese)

 

L’OBBLIGO DI ISCRIZIONE ALLA CASSA FORENSE E  I CRITERI PER L’ACCERTAMENTO DELL’ATTIVITÀ PROFESSIONALE

Avv. Karis Pace – avv. Valentina Marchese

 

 

Il 2 febbraio 2013 è entrata in vigore la legge 31.12.2012 n. 247 recante la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”.

Si tratta della legge di riforma della professione forense; riforma che, peraltro, si attendeva da ben 80 anni se si pensa che l’ultima Legge Professionale risaliva al 1933.

Nel corso del mio intervento, effettuato in occasione del convegno tenutosi a Catania il 22.03.2012 ed organizzato dall’Unione degli Ordini Forensi della Sicilia, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania, nonché dalla Scuola Forense Fondazione “Vincenzo Geraci”, ho indirizzato l’attenzione della platea sulle novità introdotte dall’art. 21, ed, in particolare, sui commi 8,9 e 10 di questa norma.

L’articolo 21 costituisce, forse, una delle disposizioni maggiormente significative ed innovative della legge 247 del 2012 per almeno due ragioni.

La prima ragione ha a che fare con le previsioni contenute nei primi 7 commi della norma in esame.

Queste disposizioni di legge hanno, in particolare, introdotto delle innovazioni per quanto concerne la disciplina dell’iscrizione e della permanenza nell’albo professionale.

A seguito della Riforma del 2012, infatti, l’iscrizione all’albo e la permanenza nello stesso non saranno più consentite a tutti gli abilitati, ma soltanto a chi dimostri di esercitare la professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente.

La seconda ragione ha, invece, a che fare proprio con i commi 8, 9, 10 che hanno modificato in modo sostanziale il regime dell’iscrizione alla Cassa di Previdenza Forense, sollevando quella che, ad oggi, possiamo definire la “questione dei contributi”.

Tale questione interessa, grosso modo, sessantamila giovani avvocati (migliaio più, migliaio meno); “giovani” perché si sta facendo riferimento a quegli avvocati che hanno intrapreso da poco il cammino professionale e che, pertanto, sono in possesso di un reddito annuale che, sia ai fini IRPEF, che, ai fini IVA, non supera certe soglie determinate annualmente dalla Cassa Forense (si ragiona in termini di 10.000,00 € circa per il reddito IRPEF e di un volume d’affari di 15.000,00 € circa per quanto concerne l’IVA).

Per questa categoria di avvocati, come vedremo meglio più avanti, prima della riforma, non vigeva l’obbligo di iscrizione alla Cassa di Previdenza e Assistenza Avvocati (l’obbligo scattava al raggiungimento, e, a maggior ragione, al superamento, dei limiti di reddito ai fini IRPEF ed IVA che prima si indicavano), e, nell’ipotesi di loro iscrizione (a domanda, visto il regime di facoltatività), era previsto che pagassero in maniera proporzionale alle entrate effettive oltre il pagamento di un contributo oggettivo che veniva dimezzato per i primi 5 anni dall’iscrizione; per coloro che decidevano di non iscriversi alla Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense era data la possibilità di scegliere una forma alternativa di previdenza e, segnatamente, l’iscrizione alla gestione separata INPS (quindi, i “giovani” avvocati dovevano comunque scegliere una forma di previdenza).

Prossimamente per effetto dell’entrata in vigore della riforma, tutti gli avvocati, compresi i “giovani” con redditi IRPEF e volume d’affari relativamente bassi, o anche con reddito zero, saranno iscritti automaticamente alla Cassa e dovranno pagare anche i contributi minimi.

Ciò comporterà un evidente aumento degli oneri ai quali i giovani professionisti dovranno far fronte a prescindere dagli effettivi guadagni.

Anzitutto, occorre attenzionare il testo delle disposizioni di legge che saranno oggetto della presente disamina.

Dunque, il comma 8 dispone che: “L’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di previdenza e assistenza Forense” (questo significa che l’iscrizione alla Cassa Forense, come si accennava prima e si approfondirà tra poco, già prevista obbligatoriamente per tutti gli iscritti all’albo che esercitavano la professionale col carattere della continuità, diventa automatica; prescinde, cioè, dalla sussistenza di determinati parametri reddituali. Ovviamente, la cancellazione dalla Cassa sarà possibile soltanto nel caso di cancellazione dell’iscritto dall’albo professionale. )

 Il comma 9 prevede, quindi, che: “ La cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti – attuali e nuovi – senza il raggiungimento di parametri reddituali – parametri che sono, quindi, ancora da stabilirsi -; eventuali condizioni temporanee di esenzione o diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo.” – perché, attualmente, si applica quello retributivo e l’ammontare della pensione viene determinato tenendo conto dei redditi percepiti durante l’intera vita lavorativa. Applicando un regime contributivo, invece, ai fini del calcolo dell’ammontare della pensione, si terrebbe conto dei contributi versati dal professionista nel corso dell’intera vita lavorativa – .

Infine, ai sensi del comma 10 del cit. art. 21, per tutti gli iscritti agli Albi “ non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa Nazionale di Previdenza ed assistenza forense”. In termini più semplici, la norma in questione non ammette più il ricorso ad una forma alternativa di previdenza obbligatoria (come veniva in precedenza consentito  ai “giovani” avvocati), e, quindi, alla gestione separata INPS.

Nel dossier 1/2013 del Consiglio Nazionale Forense viene chiarito che l’applicabilità di queste norme, i commi 8,9 e 10 dell’art. 21, è subordinata all’emanazione di un regolamento della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense da adottare entro un anno dall’entrata in vigore della legge .

Per comprendere a fondo la portata delle modifiche introdotte con la riforma del 2012 in tema di iscrizione alla Cassa Forense, occorre chiarire più approfonditamente come funzionava l’iscrizione all’Ente di Previdenza ed Assistenza degli avvocati prima dell’entrata in vigore della legge 247 del 31 dicembre 2012.

Ebbene, posto che l’iscrizione all’albo era sempre consentita a chi avesse superato l’esame di abilitazione col solo limite delle ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 3 della Legge Forense (da qui la possibilità per gli avvocati che non esercitavano la professione o che la esercitavano solo marginalmente di restare tranquillamente iscritti all’albo), per quanto concerne la previdenza, l’iscrizione alla Cassa era obbligatoria solo per coloro che esercitavano la professione in concreto e con carattere di continuità; concretezza e continuità che, sulla base della regolamentazione della Cassa, coincidevano con la produzione di proventi professionali uguali o superiori ad una soglia periodicamente predeterminata da appositi organi del’Ente (si tratta del reddito dichiarato ai fini IRPEF e del volume d’affari dichiarato ai fini IVA cui si accennava all’inizio di questa relazione).

 Questo significava che l’iscrizione all’albo professionale, a differenza di quanto oggi previsto nell’art. 21, non comportava l’automatica iscrizione alla Cassa Forense; tale iscrizione diventava, infatti, obbligatoria solo in presenza di determinati parametri reddituali.

Perché era richiesto proprio il requisito della continuità nell’esercizio della professione ai fini dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa Forense?

Tale requisito trovava, in particolare, fondamento nella previsione dell’art. 38, II comma, della Legge Fondamentale, laddove: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

 La nostra Costituzione riconosce, dunque, a tutti i lavoratori il diritto a che siano previsti ed assicurati mezzi adeguati per far fronte alle esigenze di vita, ai bisogni che sorgono quando si verificano determinati eventi (infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria).

Ora, una normativa previdenziale, ispirata dall’art. 38, deve, per forza di cose, avere come destinatari, tra gli altri lavoratori, anche i liberi professionisti, ma, non in quanto soggetti iscritti agli albi od elenchi, piuttosto, in quanto LAVORATORI nel senso più proprio del termine, e, cioè, soggetti che esercitano l’attività professionale per provvedere alle loro esigenze economiche e a quelle delle loro famiglie .

Ai giovani avvocati per i quali non ricorrevano i presupposti per l’iscrizione obbligatoria alla Cassa (ricordiamo: iscrizione all’albo professionale e raggiungimento e/o superamento dei limiti reddituali più volte menzionati) era consentita, nel caso in cui non scegliessero di iscriversi alla Cassa, l’iscrizione ad altra forma alternativa di previdenza e, segnatamente, la gestione separata INPS (art. 2, comma 26, L. 335 del 1995 “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”).

Adesso, ritorniamo alla disciplina vigente dopo la riforma.

Possiamo partire da una riflessione.

Considerata la finalità anche sociale, assistenziale della Cassa (si pensi, ad es., alla contribuzione riservata alla tutela della maternità) oltre che previdenziale (i contributi degli iscritti alla Cassa sono destinati a finanziare l’erogazione delle varie pensioni – ad es. quella di vecchiaia, di anzianità, di inabilità totale, di invalidità parziale e via dicendo – ), appare giusto e sensato che ogni avvocato debba versare i contributi alla stessa.

Non è giusto, infatti, che tutto il carico previdenziale venga addossato ai colleghi che si sono “poco furbamente” iscritti alla Cassa; oltretutto, a conti fatti, dovrebbe anche presumersi che, nel lungo periodo, il pagamento dei contributi da parte di tutta la categoria forense dovrebbe comportare un abbassamento degli stessi oneri contributivi.

Da qui, possiamo concludere nel senso che la previsione del comma 8 dell’art. 21 ha delle buone ragioni per esistere.

Allo stesso tempo, però, non può non tenersi conto di un particolare, che, di certo, non è “piccolo”.

Dietro l’angolo c’è sempre il pericolo che l’iscrizione obbligatoria diventi insostenibile per i giovani avvocati o, comunque, per quei colleghi che non hanno la fortuna di avere un giro d’affari particolarmente redditizio.

Per renderci conto della portata del pericolo che potrebbe concretizzarsi con la recente introduzione dell’obbligo di iscrizione alla Cassa e, dunque, di questo “particolare” niente affatto trascurabile, facciamo un po’ i conti in tasca ad un “giovane” avvocato che intraprende il suo cammino professionale.

Allo stato attuale, con l’entrata in vigore della Riforma, chiunque acceda all’Albo dovrà versare non solo del denaro per l’iscrizione allo stesso, come da sempre viene previsto, ma, anche dell’altro denaro per le polizze RC professionale e infortuni, ormai obbligatorie (art. 12 L.247 del 2012).

L’Avvocato, nell’esercizio della sua professione, dovrà, ancora, sostenere delle spese per la formazione continua (alcuni corsi di aggiornamento sono a pagamento e, in ogni caso, in molte occasioni, per partecipare ad un corso, bisogna spostarsi e ciò comporta dei costi – carburante, trasporto, vitto, alloggio – ).

Non dimentichiamo, inoltre, che, l’Avvocato deve fare sempre i conti con un dovere di aggiornamento professionale che va adempiuto anche con lo studio individuale; da qui i costi per l’acquisto di libri e banche dati.

Poi, ci sono le spese inerenti alla gestione dello studio professionale (canone locazione, se l’immobile non è di proprietà, come accade spessissimo; tasse ed imposte – si pensi, ad es., all’IMU – se l’immobile è di proprietà; corrente elettrica; telefono; connessione internet, ormai indispensabile; materiale di cancelleria.)

Fin’ora s’è fatto cenno alle spese che l’avvocato è stato da sempre chiamato a sostenere (col l’eccezione delle spese relative alle assicurazioni che, come precisato poc’anzi, sono divenute obbligatorie con la riforma del 2012); costi che, in molto casi, sono tutt’altro che sostenibili, vista l’esiguità delle entrate (non di rado, si sente dire del collega Tizio che ha dovuto chiudere lo studio ed andare a lavorare presso lo studio di un collega di lungo corso perché non aveva più il denaro occorrente per pagare il canone di locazione ).

Ebbene, alle spese che prima si enunciavano (ma l’elenco non deve esser considerato esaustivo perché ce ne staranno delle altre che, in questo momento, mi sfuggono), “dulcis in fundo”, e mai espressione fu utilizzata in maniera più impropria ( perché non c’è proprio nulla di dolce!!), vista la previsione del comma 8 dell’art. 21 della legge 247 del 2012, si aggiungerà quella relativa al pagamento dei contributi minimi per l’iscrizione automatica alla Cassa nella misura che verrà stabilità da qui a un anno circa (dal regolamento di cui al comma 9 dell’art. 21).

Si tratterà di un vero e proprio salasso per i giovani avvocati che non hanno delle entrate certamente paragonabili a quelle dei professionisti di lungo corso.

 In buona sostanza, con i contributi minimi, i giovani avvocati si troveranno gravati da ulteriori spese e usciranno sconfitti dal mercato concorrenziale perché non saranno in grado di correre allo stesso ritmo di studi e professionisti economicamente più solidi.

L’effetto collaterale dell’introduzione dell’obbligo di iscrizione alla cassa potrebbe essere di non poco momento.

Alla lunga, infatti, si potrebbe assistere ad una diminuzione del numero degli Avvocati italiani dovuta non certo a una selezione meritocratica (chi sa lavorare resta iscritto; chi è impreparato verrà cancellato), ma, ad una mera espulsione dei soggetti economicamente più deboli a vantaggio di quelli più fortunati o, comunque, già presenti nel mercato in posizione di vantaggio.

In termini più semplici, la contrazione del numero degli avvocati iscritti all’albo sarà dovuta all’applicazione di un mero criterio economico e ciò accadrebbe nonostante (e in palese contrasto con) la previsione contenuta nel primo comma dell’art. 21, laddove viene escluso proprio il parametro reddituale come criterio cui fare ricorso per stabilire se l’avvocato esercita in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente la professione.

Fatte queste riflessioni, si comprende quanto sia importante e difficile il compito assegnato alla Cassa dal comma 9 dell’art. 21.

La Cassa è stata chiamata a stabilire i famigerati contributi minimi che i “giovani” avvocati saranno chiamati a pagare; ha, quindi, tutti gli strumenti per intervenire al fine di evitare che il concretizzarsi del pericolo poco sopra descritto.

A dirla con l’Avv. Antonino Ciavola: “Se il regolamento sarà adottato con saggezza, i relativi costi (faccio solo un timido esempio: il 14% sul reddito effettivo con un minimo annuo di 500,00€) garantiranno a tutti i più giovani o meno fortunati un’iscrizione obbligatoria ma sostenibile.”

È proprio questo l’obiettivo da raggiungere: “un’iscrizione obbligatoria ma sostenibile”!

Così facendo, la riforma forense del 2012, con il suo art. 21, garantirebbe sì la cancellazione dagli albi degli incompatibili e dei non esercenti, ma, allo stesso tempo, farebbe salvi quegli avvocati che, dall’esercizio della professione, traggono la loro unica fonte di reddito anche se modesta.

Ma, c’è di più perché la previsione di contributi minimi sostenibili da parte degli avvocati meno facoltosi dovrebbe anche accompagnarsi alla possibilità, concessa agli stessi, di riscattare, ai fini contributivi, gli anni durante i quali erano iscritti all’albo ma non alla Cassa perché non in grado di sostenere gli oneri contributivi previsti, ancorché dimezzati (si ragionava, grosso modo, in termini di € 1.400,00/1.500,00 circa).

Altra questione che la Cassa sarà chiamata a risolvere attiene poi alle modalità di iscrizione dei circa 60.000 avvocati interessati dall’innovazione introdotta dal comma 8 dell’art.21.

E’, in particolare, controverso se gli avvocati in questioni saranno iscritti d’ufficio con decorrenza dal 2 febbraio 2013 o se l’iscrizione dovrà avvenire a domanda dopo l’emanazione del regolamento di cui al comma 9 della norma in esame .

La questione non è di poco momento se si pensa che, se si dovesse optare per la soluzione dell’iscrizione d’ufficio gli avvocati interessati sarebbero automaticamente destinatari di diritti ed a far data dal 2 febbraio 2013 e di obblighi contributivi solo in un momento successivo; la seconda soluzione, invece, comporterebbe uno slittamento di diritti ed obblighi in avanti nel tempo, solo dopo l’emanazione del regolamento della Cassa e la presentazione delle domande.

I sostenitori dell’iscrizione a domanda danno particolare rilievo alla previsione del comma 9 laddove viene demandata alla Cassa l’emanazione di un regolamento che determinerà i minimi contributivi.

 Finché tali minimi non saranno stabiliti risulterà impossibile dare applicazione alla previsione del comma 8.

 L’iscrizione automatica farebbe, quindi, scattare, per coloro che ne verrebbero interessati, solo i diritti e non anche l’obbligo di versamento dei contributi fino alla data di emanazione del regolamento.

I fautori dell’iscrizione d’ufficio a far data dal 2 febbraio 2013 fanno, invece, notare che la lettera dei commi 8 e 10 dell’art. 21 hanno è chiara ed inequivoca.

Vero è che il comma 9 dell’art. 21 rimanda all’emanazione di un regolamento da parte della Cassa entro un anno dall’entrata in vigore della legge, ma, tale regolamento riguarderà, per esplicita previsione legislativa, solo la determinazione dei minimi contributivi e di eventuali condizioni temporanee di esenzione o diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni, nonché, l’eventuale applicazione del regime contributivo, non anche l’iscrizione automatica alla Cassa (comma 8) e la preclusione ad ogni altra forma alternativa di previdenza (comma 9).

Ad ogni buon conto, per quanto concerne l’insorgenza dei diritti a far data dal 2 febbraio 2013 e dell’obbligo di versamento dei contributi solo dopo l’emanazione del regolamento di cui al comma 9, nulla cambierebbe rispetto al passato (chi si iscriveva, prima dell’entrata in vigore della legge e chi, tutt’ora, si iscrive a domanda, matura immediatamente i diritti mentre comincia a versare i contributi molto più in là, spesso, quando era trascorso un anno dalla presentazione della domanda).

Nel precedente regime, peraltro, l’iscrizione a domanda aveva senso in quanto vigeva un regime di facoltatività dell’iscrizione alla Cassa per gli avvocati che non raggiungevano i parametri minimi, ma, a seguito della contestualità, prevista dal comma 8, tra l’iscrizione all’albo e alla Cassa, e, quindi, all’introduzione di un regime di obbligatorietà di iscrizione a quest’ultima, tale meccanismo di iscrizione perde di senso; basti pensare al fatto che, per gli avvocati che omettessero di presentare domanda di iscrizione alla Cassa scatterebbero immediate le relative sanzioni.

Intanto, il Presidente della Cassa (Alberto Bagnoli) ha diramato un comunicato nel quale si legge che “In attesa dell’emanando regolamento previsto dal comma 9 e della sua approvazione da parte dei Ministeri vigilanti, non sarà richiesto il pagamento di alcun contributo minimo previdenziale da parte degli iscritti agli Albi che non siano iscritti alla Cassa alla data dell’1 febbraio 2013” .

 In attesa sia del Regolamento di cui al comma 9, che, delle delucidazioni sulle modalità di iscrizione, possiamo, almeno, stare tranquilli.

La breve relazione che segue è mirata   sinteticamente  analisi dei primi sette commi dell’art. 21.

E’ evidente la portata innovativa delle disposizioni in esame nella misura in cui, a seguito della loro entrata in vigore,  l’iscrizione e la permanenza all’albo non saranno più consentite a tutti gli abilitati, ma soltanto a chi dimostri di esercitare la professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente.

Preliminarmente  diamo lettura del comma 1:

Art. 21.

1. La permanenza dell’iscrizione all’albo è subordinata all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, salve le eccezioni previste anche in riferimento ai primi anni di esercizio professionale. Le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, le eccezioni consentite e le modalità per la reiscrizione sono disciplinate con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite, con esclusione di ogni riferimento al reddito professionale.

Il dato che risalta icutu oculi   è che la norma in questione, da una parte, statuisce che la permanenza dell’iscrizione all’albo è subordinata all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, ma, dall’altra, non fornisce alcuna informazione sul modo in cui debbano essere intesi i criteri che abbiamo appena enunciato.

Delucidazioni in ordine alle modalità con le quali si dovrà procedere all’interpretazione di questa disposizione di legge arriveranno solo quando il Ministero della Giustizia provvederà ad emanare il Regolamento di cui all’art. 1 della Riforma; a conti fatti, nella migliore delle ipotesi, tale intervento legislativo arriverà a distanza di 2 anni dall’entrata in vigore della legge 247 del 2012.

E’ superfluo evidenziare che le interpretazioni sulla verifica di tali criteri in termini strettamente interpretativi saranno le più svariate .

 I requisiti di continuità e concretezza dell’esercizio della professione erano condizioni richieste, nell’epoca anteriore all’entrata in vigore della Riforma, ai fini dell’iscrizione obbligatoria alla Cassa e si sostanziavano nell’avvenuto superamento, da parte dell’Avvocato, di determinati livelli di reddito dichiarato ai fini IRPEF e volume d’affari ai fini IVA.

Il parametro della continuità professionale era, dunque, nel passato, di natura reddituale.

L’art. 21, 1 comma, tra le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, esclude proprio ogni riferimento al reddito professionale.   in che modo deve essere intesa questa esclusione è il punto focale dell’ impianto di questa norma dalla cui applicazione discende la permanenza nell’albo  .

  Non è di facile rinvenimento  ermeneutico  i limiti posti per la cancellazione dal legislatore   possiamo escludere con una certa sicurezza  che non potrà essere cancellato dall’albo un professionista per una motivazione solo reddituale, e, ovviamente, il problema riguarderebbe, eventualmente, i giovani avvocati (a quegli ormai famosi 60.000) che hanno un reddito basso.

Posto ciò, il riferimento al reddito professionale dovrà essere escluso in modo assoluto  oppure potrà essere utilizzato come parametro per stabilire se la professione è svolta in maniera continuativa ed abituale; nel senso che si dovrà, di volta in volta, stabilire se il reddito professionale è prevalente rispetto ad altri redditi percepiti dal professionista?

Già che si è fatto cenno agli “altri redditi” percepibili da parte di un avvocato e che, di fatto, possono comprendere quelli derivanti da altre attività lavorative, si pone un’altra questione.

Mi riferisco alla questione dei criteri da utilizzare allo scopo di comprendere quando un’attività può essere definita prevalente perché, la lettera della norma autorizza a concludere nel senso che l’esercizio della professione di avvocato dovrebbe essere compatibile con lo svolgimento di altre attività in forma “non prevalente”; da qui consegue che, di volta in volta (e con quale scadenza? Annuale? Semestrale?),  si dovrà proceder a una ponderazione del rapporto tra le diverse attività potenzialmente dal singolo iscritto all’albo.

E per tale ponderazione quali parametri si utilizzeranno?

Posto che il parametro reddituale deve essere escluso per esplicita previsione normativa, dobbiamo forse dar peso al tempo ed ai mezzi impiegati per lo svolgimento delle varie attività lavorative?

Ritornando ai criteri della continuità, della abitualità, della effettività dell’esercizio della professione.

Sicuramente, l’apertura della posizione IVA è indice di sussistenza degli appena citati requisiti, ma, ovviamente, da sola non basta. Cos’altro bisognerà tenere in considerazione? Forse il numero di cause attive o il fatto che l’avvocato disponga di un immobile presso il quale svolge regolarmente l’attività?

Oppure bisogna fare una sorta di collegamento tra questa norma e quanto disposto dall’art. 12 sull’assicurazione obbligatoria ( intendendo le polizze per la RC professionale e sugli infortuni) e l’art. 11 sulla formazione continua, dato che sono imposte all’avvocato indipendentemente dal reddito prodotto?

Va da se che tutti gli interrogativi che sto oggi ponendo origineranno, per il futuro, e, mi riferisco al tempo che verrà dopo l’emanazione del regolamento ministeriale, un contenzioso di non poco momento.

Ora, al fine di effettuare gli accertamenti sulla sussistenza dei requisiti di cui al primo comma, il legislatore ha previsto a norma del comma secondo che, il consiglio dell’ordine, con regolarità ogni tre anni, compie le verifiche necessarie anche mediante richiesta di informazione all’ente previdenziale, e ciò pur tenendo presente che, come già detto, debba essere escluso ogni riferimento al reddito professionale.

Ai sensi, poi, del terzo comma,  con la stessa periodicità, il consiglio dell’ordine esegue la revisione degli albi, degli elenchi e dei registri, per verificare se permangano i requisiti per la iscrizione, e provvede di conseguenza. Della revisione e dei suoi risultati è data notizia al CNF.

 E, qualora il consiglio dell’ordine non provveda alla verifica periodica dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente o compia la revisione con numerose e gravi omissioni, si da luogo, a norma del comma quinto, ad una sorta di commissariamento.

Il CNF nomina uno o più commissari, scelti tra gli avvocati con più di venti anni di anzianità anche iscritti presso altri ordini, affinché provvedano in sostituzione. Ad essi spetta il rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno e una indennità giornaliera determinata dal CNF. Spese e indennità  che, sono a carico del consiglio dell’ordine inadempiente.

Viene ancora disposta dal quarto comma dell’art. 21 che, la mancanza della effettività, continuatività, abitualità e prevalenza dell’esercizio professionale comporta, se non sussistono giustificati motivi, la cancellazione dall’albo. Ovviamente, la procedura prevede il contraddittorio con l’interessato, che dovrà essere invitato a presentare osservazioni scritte e, se necessario o richiesto, anche l’audizione del medesimo in applicazione dei criteri di cui all’articolo 17, comma 12, cioè il consiglio con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, invita l’interessato ad effettuare le osservazioni entro un termine non inferiore a 30 gg dal ricevimento della lettera e, se necessario o l’interessato lo richiede, quest’ultimo potrà essere ascoltato personalmente.

Seguendo le modalità che ho appena enunciato facendo riferimento ai commi 2-5 dell’art. 21, si procederà con una revisione degli albi, che, per forza di cose, comporterà una più o meno massiccia ondata di cancellazioni.

Come si accennava prima, se il Regolamento ministeriale non sarà chiaro ed inequivocabile, arriverà una valanga di ricorsi di giovani colleghi al CNF.

Di certo, sarebbe auspicabile un intervento ragionevole da parte del Ministero nel senso che bisognerà che, nell’atteso Regolamento, i parametri del 1 comma, art. 21 non vengano intesi in modo eccessivamente rigido.

Peraltro, brevemente, vorrei far cenno ad un’altra questione che si agita intorno alle disposizioni che sono oggetto del mio intervento.

il comma 9 dell’art. 21 nel quale viene previsto che la Cassa, entro un anno dall’entrata in vigore della Riforma, provvederà ad emanare un Regolamento con il quale si determineranno l’ammontare dei contributi minimi, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo.

Ebbene, come già più volte rilevato, il primo comma dell’art. 21 prevede, entro due anni dall’entrate in vigore della legge 247 del 2012, l’emanazione di un regolamento ministeriale che individuerà le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione.

E’ di tutta evidenza l’assenza di un coordinamento cronologico tra le due previsioni dal momento che la Cassa Forense dovrebbe determinare le aliquote contributive ed il regime previdenziale di decine di migliaia di professionisti senza conoscere i requisiti di iscrivibilità da verificarsi in capo a tali soggetti, né, quindi, quanti di loro dovranno essere effettivamente iscritti; da qui consegue che la Cassa, nel determinare l’ammontare dei contributi minimi, non avrà un quadro preciso e reale delle caratteristiche degli Avvocati la cui iscrizione all’albo verrà mantenuta a norma del comma 1 vista la presenza dei parametri là indicati.

A chiusura, occorre rilevare che l’art. 21 prevede, con i suoi commi 6 e 7, delle eccezioni alla prova dell’effettività, continuità, abitualità e prevalenza nell’esercizio della professione, oltre alle eccezioni previste dal primo comma per i primi anni di esercizio della professionale.

E, segnatamente, a norma del  comma sesto,  non è richiesta la prova, dell’effettività, continuità, abitualità e prevalenza nell’esercizio della professione, durante il periodo della carica, per gli avvocati componenti di organi con funzioni legislative o componenti del Parlamento europeo.

Proprio con riferimento a questo comma, c’è chi ha ravvisato un profilo di incostituzionalità per irragionevolezza e disparità di trattamento per il semplice fatto che, è prevista la cancellazione dall’albo per quegli avvocati che non svolgono la professione in modo continuativo, effettivo, abituale e prevalente e che poi, tale principio non venga applicato per i parlamentari avvocati o membri di altri organi legislativi.

Infatti, i parlamentari avvocati, durante il loro mandato, in virtù dei principi di democrazia elettiva, sono chiamati a svolgere tale attività in modo prevalente e continuativo, e questo a discapito e sacrificando, per forza di cosa, la professione di avvocato che, certamente non potrà essere svolta in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente.

 

Catania 23/03/2013.

 

 

 

1)  “Nuova Disciplina Dell’Ordinamento Della Professione Forense-  Legge 31Dicembre 2012, n. 247” Dossier  di documentazione e analisi a Cura dell’Ufficio studi del Consiglio Nazionale Forense – n.1/2013;

2)Avv. Santi  Geraci, “La Riforma dell’ordinamento professionale”, in www.cassaforense.it;

3) Giuseppe Sileci, “Riforma Forense in “Gazzetta”: il calendario dell’attuazione, in Guida al diritto, www.ilsole24ore.com;

4)Avv. Paolo Rosa, “La legge Professionale e la previdenza forense: luci e ombre”, in Diritto e  Giustizia, il Quotidiano di Informazione Giuridica, www.dirittoegiustizia.it;

5) Avv. Eugenio Sacchettini: “Avvocati: obbligo di iscrizione alla Cassa, fuori dall’albo chi non esercita, in Guida al diritto, www.dirtto24.ilsole24ore.com;

6) Avv. Massimo Carpino, “Post  riforma forense qual è la continuità d’esercizio professionale per iscrizione a Cassa Forense?” , in www.avvocati-part-time.it;

7) Avv. Santi Geraci, “ Iscrizione Obbligatoria degli avvocati alla Cassa Forense?”, in www.avvocati-part-time.it;

8) Avv. Antonino Ciavola, “Nuova Legge Forense: un primo approfondimento” in www.altalex.com;

9) “CASSA FORENSE: Obbligo di iscrizione alla previdenza forense ai sensi dell’art. 21 commi 8-9-10 L. n.247/2012”, in www.dirtto24.ilsole24ore.com;

10) “Riforma Forense, -Corte di Giustizia dice NO a effettività, continuità, abitualità e prevalenza”, in www.avvocati-part-time.it;

 

 

 

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