Lo stato di incertezza pregiudizio del dubbio costituzionale Cassazione, sez. I civ., Ord. 21 marzo 2013, n. 12060 (M. Giarrizzo)

Il ricorso lamentava sia la mancanza di motivazione che la inammissibilità della proposizione di questione di legittimità costituzionale. La Corte nel dichiarare infondato il primo motivo del ricorso, ha confermato “l’implicito[27] rigetto nel merito della domanda”.

Ad avviso dello scrivente, la Corte, non poteva dichiarare il ricorso infondato. E’ onere della Corte medesima, dichiarare la corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ma ammesso e non concesso che la Corte di Appello abbia le prerogative di andare oltre il chiesto, si potrebbe dedurre solo una eccezione alla regola[28], ma solo motivandola. La Corte di Appello, a dire dei ricorrenti, che lamentano detto punto,  e a giudizio della Corte di Cassazione, non solo può andare oltre il chiesto, nel giudizio della domanda proposta, ma non deve motivare. E’ implicito non il fatto che la domanda di parte ricorrente sia rigettata nel merito,  ma la violazione dell’art. 111[29] Costituzione. Ma se <<Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati>> cosa può, la Corte di Cassazione, elaborare in punto di diritto? 

E <<Che cosa significa ‘avere un diritto’? Questa espressione ingannevole semplice è in realtà un enunciato impegnativo di cui conviene esplicitare alcune valenze. Avere un diritto significa pretendere qualcosa. E’ la pretesa di qualcuno (di un individuo, di un gruppo) a che altri soggetti facciano o non facciano qualcosa nei suoi confronti. Non è una pretesa arbitraria e immotivata: è una pretesa che accampa ragioni e argomenti, che si vuole ‘giusta’, ‘legittima’, ‘fondata’;  è una pretesa che coinvolge il comportamento di altri soggetti e presuppone (ed esprime a sua volta) una condivisa distribuzione degli oneri e dei privilegi sociali. Rivendicando un diritto partecipo a un complicato intreccio di aspettative nel quale ogni altro consociato è coinvolto; rivendicando un diritto metto in gioco i valori di fondo e le convinzioni culturali della società di cui faccio parte[30]>>.

In uno Stato di diritto, (se così può essere definita l’Italia!), è onere di chi giudica motivare parte della decisione assunta, anche per la giustiziabilità della medesima sentenza.

Senza giustiziabilità di ogni atto, si entra nella sfiducia.  Ed essa, <<…non è nient’altro che la sfiducia in quelle che possono essere ritenute da qualcuno pretese fondate e da altri no, la sfiducia in quelle azioni di cui non appaiono chiaramente i fini e gli effetti, la sfiducia in uno spontaneo accordo tra più individui senza che vi intercorrono raggiri o prevaricazioni, sfiducia insomma in un autoregolazione dei comportamenti, per il timore che essa occasioni ingiustificatamente vantaggi per taluni e svantaggi per altri, sopraffazioni e stati caotici che si riversano sui singoli e sulla comunità. Alla sfiducia si accompagna il sospetto, e sospetto e sfiducia si riproducono a vicenda[31]>>.

La sfiducia quale anticamera del sospetto  che ci induce a riflettere sul significato di ogni atto e della sua motivazione.

Sospetto che come un tarlo ci fa continuamente interrogare sul perché un Organo superiore cerca di giustificare quello inferiore (per gerarchia giurisdizionale e non in violazione all’art. 101, 2 Cost. che recita che il giudice è soggetto alla legge), che per distrazione o per fretta di chiusura del procedimento, omette la motivazione. La motivazione non può ne deve essere implicita. Il suo implicare costringe l’interprete a guardare oltre ciò che viene scritto e che non può essere contestato ne giustiziato.

E’ appena il caso di pensare a F. C. SAVIGNY. Egli scrisse <<…omissis…Il diritto primitivo di Roma, come di tutti i popoli, era quello che noi chiamiamo  diritto consuetudinario e che si fonda unicamente, senza vil sibile derivazione, nella fede e coscienza comune del popolo. Non la mala contezza di questo stato del diritto ma l’attitudine politica dei ceti provocò molto  per tempo una gran legge organica in cui oltre la costituzione dello Stato fu descritta gran parte di quelle vecchie consuetudini. In questo senso le dodici tavole furono anche base al diritto civile e si rimaser tali fino a Giustiniano…omissis…Ma l’avvenuta alterazione del carattere romano dovette pure far convergere il diritto proprio di Roma a questo diritto universo, vale a dire  far prevalere vieppiù sempre fra gli stessi Romani il ius gentium al ius civile. Ad apparecchiare e dirigere questo mutamento concorse principalmente l’editto del pretore, per modo che pretore e giureconsulti agivano sul carattere del diritto in senso opposto, volendo questi la conservazion dell’antico e quello per ragion di ufficio l’introduzione del nuovo. Pertanto in sullo scorcio della repubblica i fonti del diritto più vivi e di maggior momento erano le dodici tavole e l’editto[32]>>.

Né, di pari, si può invocare la CEDU, visto che in tema di costituzionalità, la Corte Costituzionale  mostra << un orientamento del tutto uniforme e privo di incertezze, ma tale, comunque, da far ritenere che in linea di massima, la Corte Costituzionale non abbia aderito alle tesi favorevoli all’attribuzione di una copertura costituzionale alla CEDU. Dunque, tendenzialmente, … la Corte Costituzionale non riconosce valore costituzionale né di norma interposta alla CEDU e non la usa, quindi, come parametro del controllo sulle leggi[33]>>.

Ma anche <<…L’ordinamento comunitario, in realtà, all’origine mancava di un precetto che garantisse il diritto alla tutela giurisdizionale, considerando quello della giustizia e della giustiziabilità dei diritti un  affare proprio di ciascuno stato membro (principio della autonomia processuale degli stati membri). Come di recente sottolineato da Troncket, l’opera della Corte di Giustizia della Comunità Europea ha successivamente richiesto dapprima che gli ordinamenti nazionali garantissero alle posizioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto  comuinitario un “livello minimo di garanzia”, passando successivamente (a partire dalla sentenza Johnston del 1986) al più ambizioso obiettivo della “tutela effettiva dei diritti”, il quale è stato poi sanzionato nell’art. 47 della Carta di Nizza, dove si afferma che “ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice(…) indipendente e imparziale, precostituito per legge”. Tra le leggi insindacabili in questa categoria, vi sono certamente quelle elettorali per la Camera dei Deputati ed il Senato, le quali determinano una posizione di assoluta carenza di garanzie per quanto concerne i diritti del candidato alle elezioni (assai più grave  a seguito dell’introduzione di un sistema maggioritario uninominale), dal momento che, ai sensi dell’art. 66 Costituzione, unico Giudice risultano essere le camere stesse attraverso la c.d. verifica dei poteri, la quale, come hanno in più occasioni ribadito le stesse camere, ha natura politica e non giurisdizionale[34]>>. 

Dunque, i principi elementari del Diritto Costituzionale, (diritto di voto, diritto di tutela giurisdizionale, etc.), vengono rovesciati senza che ci sia una possibilità di redenzione: unici giudici, (nel sistema elettorale con funzione politica), sono le Camere.  Ma la legge non è figlia della Costituzione? E chi la interpreta non deve prima fare i conti con la Grundnorm[35], cioè con la Costituzione? E se essa viene messa in discussione non c’è il pericolo di criticarla senza che sia, a tutt’oggi, passata di moda?

Sorrido all’“invenzione[36]” di taluno che per salvare la politica ha introdotto, dopo oltre sessant’anni di costituzionalismo, gli amministratori di sostegno costituzionali: i cosiddetti “Saggi”. Come se la Costituzione, o meglio gli Organi Costituzionali,  abbisognano di tutori.

Gli Organi Costituzionali si reggono e si autoalimentano, come una sorgente che conferisce linfa vitale a una intera generazione.

Ma i Saggi, saranno in grado di essere di ausilio al Parlamento, o al Governo, o a qualunque altro Organo indefettibile dello Stato Costituzionale? Abbiamo assistito ad un vuoto: una Nazione che è rimasta con un Governo dimissionario, mentre dopo le elezioni del 2013, è stato conferito incarico di costituire un Governo a Persona che successivamente non ha rassegnato, sciogliendo la riserva,  nelle mani del Presidente della Repubblica le proprie dimissioni dall’incarico ricevuto. 

Ma la sovranità non appartiene al popolo?  <<La sovranità- scrive nel 1934 Manuel Rodrigues (1889-1946), ministro della Giustizia (1932-1940) di Salazar – appartiene allo Stato.  Ciò vuol dire: non c’è potere trascendentale, il potere appartiene alla Nazione organizzata. Ne risulta che allo Stato spetta creare  la norma della sua esistenza e degli elementi che la costituiscono […]. Lo Stato è la fonte di ogni regola normativa […]. Il cittadino  non  può  ricorrere  a  un  principio  estraneo  al  suo  paese,  e  neppure  invocare  le  regole  dell’unanimità. (Politìca,  direito  e  justiça,  Coimbra,  1943,  p.41)[37]>>.

E’ un dato inequivocabile: la motivazione di  ogni provvedimento, ivi anche le sentenze. Ma <<…la scomparsa di un potere coordinatore, ma non coordinato, in grado di esprimere una volontà suprema non condizionabile, è  premessa  teorica  indispensabile  per  affermare  la  positività  dei  limiti  nelle  attribuzioni  dei  poteri  e  degli  enti,  che  esercitano  funzioni autoritative in un dato territorio[38]>> 

Dunque, nell’ammettere che un organo periferico dello Stato, ha omesso la motivazione, significa che si deve restituire ad altro Giudice dello stesso Tribunale, la questione, al fine di poter bene motivare l’atto. C’è un fatto[39]: Dei soggetti, volendosi tutelare dalle libertà negative dallo Stato, adiscono un giudice per cercare di poter far affermare/dichiarare un loro diritto, quello del voto libero e segreto.

Ci sono due atti[40]: le sentenze del Tribunale di Milano, e della Corte di Appello di Milano, che opprimono diritti e libertà individuali tutelati dalla Costituzione.

Ci sono effetti[41] devastanti per una intera Nazione: la mancata applicazione delle tutele e guarentigie devolute ai singoli in virtù di una Carta Fondamentale che a tutt’oggi è in grado di spiegare i propri articoli programmatici mai come prima, con un solo Giudice elettorale di valenza politica.

C’è il comportamento[42] di taluni che al fine di evitare maggior carico di lavoro non cercano di leggere, come si sarebbe dovuto fare, la norma che pesa l’incostituzionalità della legge elettorale: l’art.  56 comma 1, Costituzione  (per l’Elezione della Camera dei Deputati), e l’art. 58, comma 1 Costituzione (per l’elezione del Senato della Repubblica).

In detti articoli, non è previsto il suffragio di secondo grado: l’elettore deve eleggere non  chi è stato scelto dal partito, ma chi vuole senza cooptazione alcuna.

Ma se questo diritto deve essere filtrato da un partito o da una élite, allora si è in dovere di cercare di fare ragionare il Legislatore Ordinario a voler rivedere i parametri che lo hanno indotto alla promulgazione di una legge che viola ogni elementare diritto libero di poter votare senza cooptazione di alcuno.  Se è vero che il potere di creare leggi, nella specie elettorali,  appartiene al Legislatore Ordinario, senza che alcun Organo dello Stato possa sindacare la scelta, è altrettanto vero che le leggi emanate devono essere ragionevoli e conformi alla Costituzione.

Ed il giudizio che è emanato dalla Corte Costituzionale riporta alla legalità costituzionale dell’atto emanato in violazione di norme di rango superiori quali quelle disposte dalla Carta Fondamentale. Infatti, <<…Mentre l’illegittimità costituzionale, cioè a dire l’invalidità dell’atto legislativo, si evince dal riscontro di un contrasto tra questo e la Costituzione, che tuttavia non impedisce il prodursi di effetti, l’annullamento, che ha carattere costitutivo in quanto importa, con il venir meno di una o più norme, una modificazione del tessuto legislativo, è  la sanzione predisposta dall’ordinamento non certo come reazione, ma come misura, come rimedio alla illegittimità produttiva di invalidità[43]>>.

Il dubbio, resta per il fatto che ben due Tribunali non sono riusciti a pesare le leggi elettorali in vigore con il parametro della ragionevolezza.

Detto metodo, ad un primo esame, appare un parametro con aspetti problematici.  Migliore Dottrina[44]  ha spiegato con saggezza e brillante arguzia di argomentazioni che occorre poter pesare la norma incriminata di irragionevolezza. E non servono sofismi di alcuna sorta, e nemmeno il diritto comparato che, la sentenza in commento ci snocciola portando ad esempio le sorti di una legislazione che, nata dal sangue di rivoluzionari, ha cercato di imporsi per vario periodo anche in tutt’Italia, prima di poter svelare le proprie arcane debolezze.

Già Taluni ci posero in guardia sulle nefaste storie del Codé Civil[45] , e altri[46] nel cercare le lusinghe del Tiranno di turno, tessevano elogi su di esso.

Ciascuno Paese  si è dato un Ordinamento consono alla propria storia, con  pesi e  contrappesi che ogni Costituzione riconosce.   

La Costituzione Italiana si è data una giurisdizione capace di poter espungere dal nostro Ordinamento ogni legge che non appare ragionevole. Lo fa a seguito di scrutinio incidentale, proposto da chi pensa di aver leso un proprio diritto costituzionale dinanzi ad un giudice che ha incardinato un ruolo giudiziario autonomo e capace di potersi chiudere senza che vi sia necessità di altro. Il ricorso incidentale, incardinato in un giudizio ordinario, appare l’unico modo di poter far pesare, ad un Organo di chiusura Costituzionale, quale la Corte Costituzionale, la norma che appare manifestamente irragionevole.

<<Naturalmente si è discusso e si discuterà ancora se l’espansione delle funzioni e delle tecniche della Corte abbia natura più sussidiaria che strutturale, se- in altri termini – sia frutto più della sua abilità o piuttosto conseguenza delle altrui carenze ed omissioni, ma resta il fatto che, appunto nel silenzio della Carta, il nostro tribunale costituzionale non solo ha realizzato la sua natura funzionale terminale di <<organo di chiusura>> giuridica dell’ordinamento, ma è divenuto (forse suo malgrado, per certi aspetti) la sede centrale di <<valutazione ultima>> delle più variegate istanze politiche, una sorta di <<sede d’appello>> in cui è possibile correggere e affinare il già complesso e lungo lavoro di mediazione svolto dal legislatore…. Per dire, allora, pane al pane e vino al vino: il nostro tribunale costituzionale non doveva essere, nelle intenzioni dei costituenti, un superparlamento (Überparlament), ma – piaccia o no – la realtà del processo costituzionale italiano ha indotto la Corte a comportarsi come se (als ob) lo fosse.

Ma- per chiosare le parole di L.Sciascia[47] a proposito della differenza fra <<verosimile>> e <<vero>> – seppure non è vero che la Corte sia un superparlamento, è però altamente verosimile che lo sia, visto che essa si comporta come se lo fosse o, se si preferisce, come se non potesse essere altrimenti[48]>>.

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