SULLA SUSSISTENZA DEL LITISCONSORZIO NELLA AZIONE DI RIVENDICA TRA CONDOMINI
Cassazione, Sez. Uniti civili, 13 novembre 2013, n. 25454
Filippo Li Causi, funzionario UNEP Tribunale Marsala
LA MASSIMA
Le azioni a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune sono promovibili anche da uno solo dei comproprietari senza che occorra integrare il contraddittorio nei confronti degli altri condomini, purché ricorrano i seguenti presupposti, e cioè:
a) che l’attore non chieda che l’eventuale accertamento oggetto della sentenza abbia efficacia di giudicato anche nei confronti degli altri comproprietari;
b) che colui il quale sia convenuto in rivendica si limiti a resistere alla domanda senza agire in riconvenzionale (il che comporterebbe un ampliamento del tema del decidere mettendo in discussione la comproprietà degli altri soggetti, a cui si estenderebbe necessariamente il giudicato).
IL CASO
Tizio diviene proprietario di un box facente parte di un fabbricato realizzato da una cooperativa edilizia ed a cui si accede tramite uno spazio condominiale.
Nell’aprile del 1993 agisce contro Caio, lamentando che quest’ultimo aveva illegittimamente occupato una porzione di quello spazio condominiale.
Caio resiste in giudizio, eccependo che egli era comproprietario dell’area per come delimitata.
Il giudice di primo grado accoglie le deduzioni di parte convenuta e rigetta la domanda.
La Corte d’appello conferma la sentenza di primo grado.
Tizio notifica tempestivo ricorso per cassazione.
Caio resiste con controricorso.
All’udienza di discussione il P.G. ipotizza la configurabilità di una ipotesi di litisconsorzio necessario, rimettendo la causa al Primo Presidente, il quale la destina alle SS.UU., essendo la relativa questione contrassegnata da contrasti giurisprudenziali.
LA DECISIONE
La questione che viene affrontata concerne la configurabilità o meno del litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i comproprietari nell’ipotesi di controversia introdotta da un condomino contro altro condomino, per far accertare che un tratto di parcheggio condominiale, da destinare a spazio di manovra, era stato inglobato abusivamente dal condomino convenuto nella propria autorimessa, con condanna dell’occupante alla rimozione dei manufatti a tal fine realizzati.
Tale questione concerne sia il lato della legittimazione attiva che quello della legittimazione passiva.
Già in Cass. n. 7705/1996 si affermava che “In tema di controversie relative a questioni condominiali bisogna distinguere tra ipotesi in cui non è necessario il litisconsorzio, e quindi la chiamata in giudizio di tutti i partecipanti al condominio (es. caso in cui si controverta tra i condomini per i diritti all’uso della cosa comune ovvero di azione proposta a difesa dei diritti anche reali del condominio nei confronti dei terzi oppure a tutela della proprietà comune) e ipotesi in cui tale partecipazione è indispensabile perché altrimenti la sentenza sarebbe inutiliter data trattandosi di litisconsorzio necessario (è il caso del singolo condomino che, convenuto in rivendicazione di un bene condominiale, eccepisca la sua proprietà esclusiva di detto bene; ovvero di domanda diretta all’accertamento della proprietà condominiale di un bene o di giudizio promosso da un condomino per sentirsi riconoscere comproprietario del bene comune posseduto da altro condomino, il quale deduca in via riconvenzionale la verificatasi usucapione del bene in suo esclusivo favore)”.
Una tesi come quella appena riportata comporta che, in un caso come quello in esame, che vede il convenuto resistere alla azione di rivendicazione semplicemente negando la condominialità del bene e affermandosene proprietario esclusivo, senza tuttavia agire con domanda riconvenzionale per apposita declaratoria, deve ritenersi sussistente un’ipotesi di litisconsorzio necessario con tutti i condomini.
In contrario si è però sostenuto, già dai primi commentatori di questa stessa sentenza, che la necessità di integrare il contraddittorio può ravvisarsi soltanto nel caso in cui il convenuto proponga a sua volta domanda riconvenzionale per l’accertamento della proprietà esclusiva del bene.
In tal senso si sono pronunciate Cass. Sez. II n. 17465/12 e 4624/13, in cui si è affermato che l’eccezione riconvenzionale di proprietà esclusiva sollevata da un condomino non dà luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario dei restanti condomini, ipotesi che invece dovrebbe ritenersi sussistente ove egli proponesse, ex artt. 34 e 36 CPC, una domanda riconvenzionale diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, con effetti di giudicato estesi a tutti i condomini; se invece il convenuto oppone il proprio diritto al solo fine di far respingere la pretesa altrui, ne scaturisce un accertamento domandato incideter tantum, al solo fine di paralizzare la pretesa avversaria.
Quest’ultimo è ritenuto dalle SS.UU. l’orientamento preferibile da seguire.
La prima norma che viene in considerazione è l’art. 102 cpc, il quale al primo comma dispone che “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”.
Trattasi di una norma che può definirsi in bianco, in quanto non specifica quando si sia in presenza di un unico rapporto con pluralità di parti, limitandosi solo a precisare che tutte le parti devono essere chiamate in giudizio allorché tale forma di rapporto sia ravvisabile.
Ciò comporta che, al fine di poter verificare se la norma sia stata rispettata, occorre stabilire quale utilità può derivare da una pronuncia qualora il giudizio si svolga in assenza di altri soggetti potenzialmente coinvolti nel rapporto.
Per fare ciò si deve spostare l’attenzione dalla causa petendi al petitum, ossia dalla astratta configurazione del rapporto all’attitudine del provvedimento giurisdizionale invocato a soddisfare la pretesa che sia stata riconosciuta come fondata.
Così, in materia di diritti reali, deve ritenersi inutile una sentenza che riconosca l’intervenuta usucapione di Tizio nei confronti di Caio allorché Caio, sulla base di un valido titolo di acquisto, abbia alienato a terzi in buona fede l’immobile oggetto della sentenza di usucapione e la sentenza sia stata pronunciata in assenza di questi ultimi.
Diversa, invece, è l’ipotesi in cui Caio, convenuto da Tizio che si affermi comproprietario del bene, opponga un diniego volto a resistere solo alla domanda, senza svolgere domanda riconvenzionale e dunque senza mettere in discussione, con finalità di ampliare il tema del decidere e di ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato, la proprietà degli altri soggetti.
Traslando quanto appena detto al caso di specie, può dirsi che la partecipazione al giudizio degli altri condomini quali litisconsorti necessari non sarà da ritenere necessaria se il convenuto Caio resterà soddisfatto dal puro e semplice rigetto della pretesa attorea, che implica il mantenimento della sua situazione favorevole di possesso del bene, contro la quale l’attore si era attivato (non sarà dunque necessario ottenere un titolo giudiziale opponibile ai comproprietari).
Ciò vale anche dal lato attivo, non potendosi ritenere necessaria l’integrazione del contraddittorio se l’attore mira solo a far valere la propria posizione di comproprietario e non a far accertare la comproprietà dei condomini non partecipanti al giudizio.
Il favorevole riconoscimento della propria condizione di comproprietario legittimerà l’attore ad ottenere anche esecutivamente la demolizione dei manufatti posti in essere dal convenuto al fine di delimitare l’area che quest’ultimo afferma di avere acquistato e che gode in via esclusiva.
Se, invece, la sentenza fosse favorevole al convenuto, quest’ultimo conseguirà l’utile effetto di respingere la pretesa del soggetto più determinato a rivendicare il bene, ma non sarebbe “protetto” dall’essere esposto ad analoghe iniziative giudiziarie da parte del condominio o degli altri condomini.
A sostegno della tesi appena riportata si adducono ancora le seguenti considerazioni:
a) il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto la cosa comune nella sua interezza, pur se entro i limiti dei concorrenti diritti altrui;
b) ad ognuno dei condomini compete la tutela dei diritti comuni, sussistendo il principio della rappresentanza reciproca;
c) la sentenza emessa non avrà effetti costitutivi;
d) sul comproprietario che agisce per l’accertamento del suo diritto ed il conseguente rilascio incombe la prova dell’acquisto di una sola quota del bene e non di quale sia l’esatto regime proprietario del bene stesso (non si chiede, dunque, che sia accertata con efficacia di giudicato, la posizione degli altri comproprietari).
Di interessante rilievo, anche ai fini di utilità pratica, è poi la parte della motivazione in cui la Corte afferma che a determinare quale sia in un condominio l’area destinata a parcheggio è proprio e soltanto l’atto concessorio che vincola il costruttore a questa destinazione e che è il riferimento cui ancorare ogni controversia circa la natura condominiale o privata delle parti della costruzione.
Ciò comporta che nell’ipotesi di un’eventuale discrasia tra l’accatastamento (ossia la dichiarazione presentata dal costruttore/proprietario agli uffici finanziari) e la concessione edilizia, questa va risolta avendo riguardo a quest’ultima, perché essa designa l’entità della costruzione assentita e la destinazione impressa e approvata del bene da edificare.
Infine, da sottolineare quella parte della sentenza in cui si afferma che non può essere inibito al proprietario esclusivo di un’area di parcheggio ricadente in uno spazio condominiale di recintare tale area ove ciò non arrechi alcun pregiudizio agli altri condomini ed in assenza di un qualche divieto posto dal contratto di acquisto o da un regolamento di condominio avente efficacia contrattuale.