L’OCCHIO DELL’ INTERPRETE SU PECULIARI ASPETTI DELLA RIFORMA DI CONDOMINIO L- 220/220 : ESPRESSIONI IMPROPRIE DELLA LINGUA ITALIANA
Flavia Zarba
Pare che la riforma, anziché affrontare reali problemi, si sia limitata a crearne dei nuovi, senza risolvere quelli esistenti ed usando termini che, in lingua italiana, lasciano molte perplessità.
Già a partire dal 1117 cc n.1 sorgono le prime perplessità.
Rubricato “parti comuni dell’edificio” nel definire la proprietà comune si ricomprendono tutte le parti necessarie “all’ uso comune” dovendosi, piuttosto, parlare di “esistenza comune” o semplicemente di “utilità comune” perché non può immaginarsi un “uso di comune” delle fondazioni, dei muri maestri e delle travi portanti e poi, per quel che concerne i portici.. è chiaro che questi possono anche mancare e non sono dunque “necessarie” come previsto in incipit.
Per non parlare poi dell’uso comune, decisamente improprio, delle “facciate”.
La facciata è, secondo una comune definizione linguistica la parte esteriore di un edificio, come può, dunque, supporsi un uso comune del muro perimetrale?
Ed ancora il 1117 ter cc cita i 4/5 dei partecipanti al condominio e del valore dell’edificio, per “modificare la destinazione d’uso”.
Con il nuovo art. 1117-ter c.c. si elimina quindi la pregressa “unanimità” per modificare la destinazione d’uso di una parte comune e si introduce questa “maggioranza” più “proibitiva” seguita poi da un procedimento di convocazione estremamente articolato.
Pare che qui, la volontà legislativa fosse quella di introdurre un’ipotesi più ampia di quella delle innovazioni e di ammettere che un bene comune possa essere trasformato fino a consentirne un uso del tutto estraneo rispetto alla sua originaria destinazione oggettiva e strutturale.
La norma di riferimento, in materia di innovazioni, è infatti l’art. 1120 c.c.,oggetto anch’esso di novella, che dà la possibilità ai condomini di disporre di tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni, con un quorum deliberativo più ‘leggero’ (in virtù del combinato disposto con il nuovo testo del comma 5 dell’art. 1136 c.c.):
si richiede infatti la semplice maggioranza degli intervenuti in assemblea purché rappresentativa di almeno i due terzi del valore dell’edificio.
Deve quindi ritenersi che il legislatore della riforma, introducendo all’art. 1117 ter una maggioranza ben più elevata, abbia qui inteso riferirsi ad un diverso e maggiore intervento sia rispetto all’innovazione sia rispetto alle semplici modifiche volte a rendere più comodo “l’uso” della cosa comune.
Soffermandosi poi sull’art 1120 cc è da notarsi che, al termine di un’elencazione si chiude il n. 3) con “possono disporre di innovazioni… ad esclusione degli impianti che non comportino modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto”.
L’interpretazione letterale dovrebbe portare a concludere il contrario!
Evidentemente si voleva dire ” sono consentite determinate innovazioni o impianti a condizione che non comportino inconvenienti alla destinazione comune ” !?
In particolare, in questa sede, ci si limita da ultimo ad una breve critica dell’art. 1138 cc che, in chiusura delle disposizioni condominiali prevede che “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
Ci si chiede anzitutto cosa significhi un tale disposto visto che la norma si esprime in termini di detenzione.Forse al detenere animali altrui?
L’orientamento della Cassazione era chiaro e comprendeva un generale divieto alla possibilità di dettare limitazioni alla proprietà esclusiva.
Proprio l’ 1138 cc, al quarto comma, prevede che “il regolamento non possa, in alcun modo, menomare i diritti di ciascun condomino”.
Non è forse, quello previsto dall’ultimo comma, una limitazione alla proprietà esclusiva?
Evidentemente il legislatore non era consapevole della differenza tra regolamento condominiale tipico, regolamento condominiale di origine contrattuale e regolamento contrattuale vero e proprio.
Ciò posto è chiaro che, nel caso in cui si tratti di un regolamento contrattuale, allora occorrerà richiamare il 1322 cc e verificarne la meritevolezza, trattandosi infatti di una clausola di contratto atipico.
Non può forse dirsi meritevole, dal punto di vista del condomino, il diritto di “tenere” o “detenere” un animale?
E’ chiaro che quest’ultimo articolo, come altri della riforma in tema di condominio, non è altro che la riprova della difficoltà del legislatore di apprestare una novità senza conoscere il pregresso tessuto normativo o forse un intervento frettoloso che ha fatto un uso improprio della lingua italiana.
Si auspicano pertanto nuovi e tempestivi interventi chiarificatori.