PERMESSI RETRIBUITI PER MOTIVI DI STUDIO
Spunti di riflessione
“Accordo integrativo di Amministrazione Ministero della Giustizia relativo ai criteri generali per la concessione dei permessi retribuiti” 28 luglio 2003
A cura di Vincenza Esposito
Dirigente Amministrativo Ministero della Giustizia
La disciplina afferente i permessi retribuiti per motivi di studio è stata oggetto negli ultimi anni di numerosi interventi chiarificatori e di indirizzo da parte di più autorità ed organi a vario titolo investiti della problematica risultando ridefiniti i criteri per la concessione dei permessi in argomento e l’ambito di utilizzo dei medesimi da parte del “ lavoratore- studente”.
Tali interventi si sono resi per lo più necessari al fine di contemperare le esigenze di crescita culturale e professionale dei dipendenti con la necessità assicurare il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione anche in considerazione delle innovative modalità di fruizione dell’offerta formativa rappresentate dalla diffusione dei corsi organizzati dalle università telematiche .
A tanto, si aggiungono le incisive riforme che nel tempo hanno ridisegnato il percorso relativo alla formazione universitaria .
All’interno del quadro normativo di riferimento rappresentato sia dai generali principi costituzionali che pur continuano a rappresentare un indefettibile cardine di riferimento per l’intera materia sia dalle più dettagliate fonti legislative e contrattuali di vari enti e ministeri di appartenenza, la mutata realtà economica e le incrementate opportunità di formazione hanno contribuito alla progressiva erosione di significative disposizioni prima contenute negli accordi di riferimento delle varie amministrazioni.
Il ripensamento interpretativo circa l’ambito di operatività del regime dei permessi in argomento trova il fondamento nelle argomentazioni dispiegate dal giudice di legittimità che, seppur formulate con riferimento al regime contrattuale vigente nel comparto delle regioni ed autonomie locali , giungono a conclusioni valevoli per una più generale ricostruzione dell’intero istituto in argomento.
Potendo la Corte leggere direttamente la clausola del contratto collettivo sulla cui interpretazione verte il giudizio , la Corte medesima, in applicazione dei generali principi ermeneutici , è pervenuta alla conclusione che vede tali permessi straordinari retribuiti concessi legittimamente solo per frequentare i corsi coincidenti con l’orario di servizio escludendo eventuali necessità connesse alla preparazione degli esami ovvero altre attività complementari ( come ad es. i colloqui con i docenti ovvero il disbrigo di pratiche amministrative). Tanto si conclude perché la stessa normativa contrattuale di riferimento prevede, pena la considerazione dell’assenza come ingiustificata, la presentazione da parte del dipendente – al termine dei corsi frequentati – degli attestati di partecipazione agli stessi e degli esami sostenuti ancorché con esito negativo (mostrando, pertanto, la necessità della presenza del dipendente presso la struttura formativa in orari di servizio) mentre contempla e tutela solo indirettamente le attività di studio nella misura in cui pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di assegnare al lavoratore studente turni di lavoro tali da agevolare la “preparazione ad esami” ( ad es. escludendo lo stesso da turni di lavoro straordinario o in giorni festivi o di riposo settimanale) .
Come dire, in altre e più semplici parole, che tutte le attività funzionali al mero studio ovvero ad attività amministrative e/o di segreteria, al di fuori di tali agevolazioni collaterali, non sono contemplate minimamente nella disciplina relativa alla concessione dei permessi straordinari retribuiti e non giustifica, pertanto, il legittimo esonero temporaneo del dipendente dalla prestazione lavorativa.
Pareri dal tenore restrittivo erano stati già formulati negli anni precedenti anche dall’ARAN tanto che sembravano già sul viale del tramonto le più ampie interpretazioni fornite in precedenza da alcuni ministeri .
Di seguito alla menzionata sentenza della Corte di Cassazione, si registra un generale allineamento degli orientamenti applicativi ministeriali e non nonché delle circolari interpretative dal comune tenore restrittivo circa l’ambito operativo dei congedi retribuiti di cui trattasi.
Appare opportuno rammentare che anche la disciplina dall’aspettativa per il conseguimento del dottorato di ricerca è stata modificata prevedendosi che il collocamento in aspettativa del dipendente avviene “ compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione” per cui, al fine di non pregiudicare l’organizzazione dell’amministrazione, soprattutto nell’attuale momento storico caratterizzato da forti limitazioni nell’acquisizione di nuove risorse umane, viene riconosciuta all’interessato una posizione giuridica condizionata .
La stessa sorte è toccata all’ Accordo integrativo di amministrazione sottoscritto nell’anno 2003 per il Ministero della Giustizia stilato in considerazione, tra l’altro, dei principi che con riferimento all’istituto del quo sono tracciati nell’art. 13 CCNL , sicchè l’ampio ventaglio di ipotesi di fruizione dei permessi in argomento è stato ridimensionato progressivamente con molteplici interventi di allineamento all’interpretazione dell’istituto fornita dalla Corte di Cassazione.
A seguito di un primo intervento devono considerarsi disapplicate le lettere c) e d) del punto 5 del su menzionato accordo (preparazione esami ed attività di studio), mentre con un successivo intervento è stata esclusa la possibilità di fruire di tali congedi per la preparazione dell’elaborato finale ( ad es. per recarsi in biblioteca).
In pratica, allo stato attuale, la fruizione di tali congedi è destinata esclusivamente alla partecipazione dei dipendenti ai corsi “ destinati al conseguimento dei titoli ” che si svolgono durante l’orario di lavoro. Tanto vale anche per la partecipazione a corsi organizzati dalle c.d. università telematiche ribadendosi la posizione già assunta al riguardo dall’Aran .
Tralasciando qui osservazioni critiche sollevate relativamente alla modalità con cui è stata operata la modifica all’accordo del 2003 , sono le profonde innovazioni che hanno interessato l’articolazione degli studi universitari a sollevare margini di perplessità interpretativa rischiandosi non solo l’uniformità applicativa della disciplina di riferimento, ma soprattutto, lo scongiurare ipotesi di rilevanza erariale per l’amministrazione concedente i benefici in argomento.
Segnatamente destano perplessità alcune situazioni che in concreto possono verificarsi all’atto della richiesta di autorizzazione da parte del dipendente anche perché sfuggenti da una modulistica orami non più attuale onde il dubbio se la concessione del beneficio delle c.d. 150 ore di congedo retribuito possa intendersi legittimamente accordata.
Ad es. nell’ipotesi in cui :
1) Il dipendente intenda frequentare lezioni che, pur appartenendo alla facoltà cui il medesimo è iscritto ( es. Giurisprudenza), non sono contemplate – al momento della richiesta – nel piano di studio individuale del dipendente e, quindi, potranno non essere oggetto di esame alcuno;
2) Il dipendente intenda frequentare lezioni che, pur appartenendo alla facoltà cui il medesimo è iscritto ( es. Giurisprudenza ) ed al corso di laurea al quale è iscritto (es. laurea cd. “di primo livello” in Giurisprudenza ), non risultano funzionali al conseguimento del titolo di studio finale perché al dipendente resta solo da discutere la tesi su una materia diversa dalle lezioni che intende frequentare (es. tesi da discutere in diritto regionale e richiesta di frequentare lezioni in diritto canonico);
3) Il dipendente intenda frequentare lezioni che non rientrano nel corso di laurea al quale è iscritto ( laurea “di primo livello” ) pur se rientranti nella stessa facoltà ( es. Giurisprudenza) né sono funzionali al sostenimento della tesi ( perché ad es. il dipendente è iscritto al corso di laurea “di primo livello” in giurisprudenza, deve discutere solo la tesi ed intende frequentare lezioni di corsi previsti nella laurea “magistrale” vertenti su materie diverse dall’argomento della tesi da discutere).
Orbene, nell’ipotesi di cui al n.1) i permessi in argomento potrebbero ritenersi legittimamente concessi in quanto l’elaborazione del cd. “piano di studi”, a differenza del previgente ordinamento universitario, appare attualmente improntato ad una maggiore flessibilità. Permane, tuttavia, il dubbio di come poter conciliare la flessibilità del piano di studi con l’esigenza che il dipendente presenti all’amministrazione “ a consuntivo” l’attestato degli esami sostenuti ancorché con esito negativo per cui, in altre parole, prima o poi il piano di studi dovrebbe intendersi “stabilizzato” con la richiesta di fruire dei permessi per frequentare le lezioni del corso prescelto e finalizzate al sostenimento del relativo esame di profitto.
Non parrebbe possa, invece, giungersi alla medesima conclusione nelle ipotesi di cui ai punti nn.2) e 3) come sopra prospettati poiché la frequenza al corso di lezioni oggetto della richiesta autorizzazione non appare, ad una prima analisi, preordinata al conseguimento del titolo universitario al quale il dipendente è iscritto o perché le lezioni non sono funzionali alla redazione della tesi finale ( che verte su una materia del tutto diversa ) o perché le lezioni appartengono al corso di studi cd. “magistrale” ( al quale il dipendente potrebbe anche non iscriversi mai).
Nell’opposto caso, sarebbe, comunque, opportuno avere un più chiaro parametro di riferimento circa l’attinenza tra la frequenza di un corso di lezioni e la elaborazione della tesi posto che è stata esclusa la concessione del beneficio per la mera preparazione dell’elaborato finale.
Si potrebbe, quindi, ipotizzare il caso di un dipendente di un Ufficio che richieda al Dirigente Amministrativo dell’Ufficio dove presta servizio ( es. Tribunale), nel far seguito al provvedimento autorizzativo emesso dal competente Ufficio (es. Corte di Appello), l’autorizzazione a frequentare lezioni (ad es. in diritto commerciale) non afferenti l’ultimo esame da sostenere (introduzione al diritto processuale penale,) non afferenti alla tesi da discutere (vertente in diritto canonico ) e verosimilmente non previste nel corso di laurea cd “di primo livello”.
Sarebbe, quindi, opportuno che l’Amministrazione di appartenenza del dipendente possa quanto meno richiedere allo stesso, a corredo o integrazione della istanza di ammissione ai benefici in argomento (visto la vetustà dell’accordo e della relativa modulistica), ad es. il piano di studi ovvero la materia della tesi ovvero l’elenco delle materie rientranti nel corso di laurea cd. “di primo livello” o “magistrale”, ovvero l’elenco degli esami mancanti alla discussione della tesi atteso che non tutti tali argomenti sono oggetto della dichiarazione sostitutiva di certificazione ovvero contemplati nel modulo che il dipendente compila all’atto della presentazione della domanda di ammissione ai permessi restibuiti.
Soprattutto, come sopra già accennato, sarebbe opportuno conoscere con la maggiore precisione possibile quali siano i criteri in base ai quali l’Amministrazione possa ritenere la frequenza di un corso di lezioni “destinata al conseguimento del titolo universitario” e, segnatamente, in che limiti debba intendersi il legame funzionale tra la materia oggetto delle lezioni ed il titolo finale da conseguire.
Resta fonte di perplessità se ad es. uno dipendete che intenda sostenere la tesi in criminologia forense possa beneficiare dei permessi per frequentare lezioni di psicologia alla facoltà di medicina o pedagogia.
L’esigenza di pervenire a una maggiore certezza interpretativa circa i parametri di valutazione cui attenersi ai fini della concessione dei benefici in argomento appare preliminare anche alle verifiche successive circa la veridicità delle dichiarazioni rese dal dipendente che l’Amministrazione, in ogni caso, si riserva .
In tal caso, infatti, il problema interpretativo circa la legittima fruizione dei permessi resta immutato nel contenuto spostandosene solo il riferimento temporale.
Ulteriori perplessità possono presentarsi nelle ipotesi di acquisizione di c.d. crediti formativi funzionali al conseguimento del titolo finale ma ottenuti non tramite la frequenza alle lezioni nelle consuete forme della didattica con il sostenimento del relativo esame bensì ottenuti tramite il riconoscimento da parte dei consigli di facoltà di stage, attività libere o extra universitarie. Resta in tal caso il dubbio se tale tipo di frequenza – diversa dalla erogazione didattica “ classica” – possa intendersi quale frequenza a corso finalizzato al conseguimento del titolo di studio universitario. In tali casi, infatti, pur essendo riconoscibili le esperienze in tal modo maturate come utili ai fini della quantificazione dell’impegno dello “studente” per il conseguimento del titolo universitario al quale è iscritto potrebbe non esservi una articolazione in “lezioni”, un esame di profitto da sostenere ovvero la necessità di attenere a tali impegni in orari coincidenti con l’orario di lavoro del soggetto interessato in quanto “dipendente”.
Atteso che il contemperamento tra le legittime aspirazioni all’acquisizione di sempre più elevati strumenti culturali e l’esigenza di garantire più elevati livelli di efficienza dell’azione amministrativa ha portato nel corso degli ultimi anni alla rimodulazione delle modalità di fruizione dei permessi in argomento eliminando progressivamente alcune ipotesi prima contemplate, farebbe propendere verso un interpretazione restrittiva dei parametri applicativi dell’istituto de quo per cui si potrebbero accordare al dipendente – lavoratore i permessi in argomento solo per la frequenza alle lezioni contemplate nel piano di studio, nel corso di studio al quale il dipendente è iscritto ovvero strettamente funzionali alla elaborazione della tesi finale ( ridefinendo, in tal caso cosa ed intro quali parametri possa ritenersi soddisfatto il requisito della funzionalità) : tutti elementi ulteriori che il dipendente preferibilmente dovrebbe dichiarare o allegare all’istanza.
Resterebbe, quindi, esclusa la frequenza alle lezioni non contemplate nel corso di studi al quale il dipendente è iscritto ( es. lezioni di corsi previsti nella laurea “magistrale”) ovvero non direttamente afferenti la preparazione dell’elaborato finale ( per la stessa ratio per cui è esclusa la concessione dei benefici anche ad es. per la frequenza alla biblioteca).
Sulla scorta della ormai costante interpretazione restrittiva dell’istituto, ci si chiede se è legittimo concludere che, nell’assistere al passaggio dall’idea di “studente lavoratore” all’idea di “lavoratore-studente”, lo stesso dovrebbe far ricorso agli altri istituti previsti contrattualmente o ad una gestione personale dei tempi non lavorati per la partecipazione intellettuale a corsi ai quali l’amministrazione non accorda rilevanza ai fini dell’accrescimento delle conoscenze del dipendente in misura tale da incidere sulla gestione organizzativa e funzionale delle risorse umane disponibili.