C. La tipologia di provvedimenti che possono disporre la penalità pecuniaria.
Sul punto, va osservato, innanzitutto, come il legislatore abbia optato per una soluzione apparentemente liberale, nella misura in cui ha abilitato – non solo le sentenze, ma più genericamente – i provvedimenti di condanna alla fissazione della pena pecuniaria.
L’impiego della summenzionata espressione parrebbe ricondursi precipuamente alla volontà di permettere che anche l’ordinanza di condanna ex art. 702-ter c.p.c., introdotta proprio con la stessa riforma, possa essere assistita dalla astreinte[48].
Si pone, però il problema, a questo proposito, di coordinare l’accertamento della non manifesta iniquità della misura coercitiva, implicante, come testé ricordato, valutazioni nient’affatto immediate, necessariamente influenzate, il più delle volte, dalle peculiarità del caso concreto, con l’istruzione sommaria che, in base all’art. 702-ter, comma III, c.p.c., deve sorreggere il rito in parola. Tanto più che la prima giurisprudenza in termini ha interpretato in chiave piuttosto restrittiva il concetto di sommarietà, negandone la ricorrenza in quelle controversie che, pur non comportando l’assunzione di prove costituende, richiedano la soluzione di problematiche tecniche o giuridiche suscettibili di molteplici risposte[49].
Infatti, il sindacato sulla congruità della sanzione, non essendo ancorato ad alcun canone legislativamente definito, non può che comportare una disamina generale sulle condizioni economiche delle parti, un giudizio – da rendersi necessariamente sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite nel processo – sulla gravità dell’inadempimento, nonché una valutazione pronostica circa le conseguenze pratiche derivanti dall’adozione della coercizione indiretta.
Pertanto, anche nel procedimento sommario, la pena pecuniaria potrà essere disposta soltanto allorché sia pacifico, o, comunque, non seriamente discutibile, l’intollerabilità dell’inadempimento e la praticabilità, anche in punto di non manifesta iniquità, dei rimedi propulsivi.
Ancor più incerto è se i provvedimenti cautelari possano essere rafforzati da tale misura, atteso che, per un verso, essi non possono, per definizione, contenere alcun dispositivo di condanna e non sono direttamente assoggettabili alle norme sull’esecuzione forzata[50], ma, dall’altro, la funzione anticipatoria della sentenza di merito, a taluni di essi tradizionalmente associata[51], rimarrebbe (parzialmente) frustrata qualora non potessero determinare tutti gli effetti conseguibili all’esito del processo a cognizione piena[52]. D’altro canto, anche a voler prescindere da interpretazioni costituzionalmente orientate, non può sottacersi come l’architettura del codice di rito già consenta al Giudice cautelare un’ampia discrezionalità nella determinazione delle modalità d’attuazione delle misure cautelari ex art. 669-duodecies, delle quali l’astreinte potrebbe considerarsi una mera specificazione[53].
Appurata l’ambiguità della problematica, è ragionevole propendere per una soluzione positiva, se non altro perché un diverso opinamento genererebbe seri dubbi di legittimità costituzionale, risultando irragionevole la negazione al Giudice cautelare dei poteri necessari per garantire quella salvaguardia del diritto sostanziale cui il processo cautelare è preordinato[54].
Va evidenziato, poi, come, in omaggio al principio della lex specialis, da impiegarsi nella risoluzione delle antinomie, l’art. 614-bis non operi in quei settori in cui l’ordinamento già contempli una penalità di mora tipica, come avviene, ad esempio, in materia di separazione personale dei coniugi, per le violazioni dell’ordinanza in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o alle modalità dell’affidamento dei figli ex art. 709-ter c.p.c.[55].
Suscita una forte diffidenza, inoltre, la possibilità che sia corredata con la penalità pecuniaria la conciliazione raggiunta in sede processuale ex artt. 185 e 420 c.p.c., traducendosi la stessa in un accordo di diritto sostanziale, sebbene vidimato dal Giudice, non contenente – né connesso a – qualsivoglia statuizione di condanna[56].
Sorgono perplessità, inoltre sul rapporto e sulle possibili interferenze fra l’art. 614-bis e l’art. 11, comma III, del D.Lgs. 04.03.2010, n. 28, il quale, in materia di mediazione civile e commerciale, dispone che “l’accordo [amichevole, n.d.r.] raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento”.
La natura prevalentemente negoziale dell’accordo amichevole, infatti, induce a ritenere che la suesposta previsione normativa permetta alle parti di pattuire una clausola penale sottratta al vincolo d’equità di cui all’art. 1384 c.c.. In altri termini, l’intervento del mediatore sembra sorreggere una presunzione iuris et de iure di congruità economica e sostanziale della penalità concordata, escludendo, dunque, che, in un secondo momento, il Giudice possa sindacarne le dimensioni quantitative.
Seguendo questa impostazione, dovrebbe ritenersi che la sanzione prevista dall’accordo amichevole si sostituisca, in tutto o in parte, al danno sofferto dalla parte adempiente, senza che quest’ultima possa cumulare l’azione risarcitoria al preteso pagamento della penale.
Appare piuttosto delicata, inoltre, la questione relativa alla compatibilità dell’astreinte con il lodo d’arbitrato rituale[57], anche in ragione dell’assenza di pertinenti precedenti giurisprudenziali e dell’esigenza di fornire risposte al quesito sulla base di valutazioni sistematiche.
Tra le numerose obiezioni sollevate pare dirimente la constatazione che la penalità pecuniaria, sebbene accordata in sede di cognizione, possieda una funzione prettamente esecutiva[58] e, conseguentemente, non intersechi la potestas iudicandi degli Arbitri[59]. Parimenti, sembra doversi affermare che le parti, sia prima, che dopo l’insorgenza della lite, possano investire gli Arbitri di tale facoltà, non potendo questi ultimi provocare effetti giuridici (ossia il compimento di atti esecutivi) che nemmeno le parti, nella loro autonomia negoziale, potrebbero produrre[60].
Né sembra ipotizzabile che l’astreinte possa essere stabilita al momento del conferimento dell’exequatur, giacché il Giudice adito ai sensi dell’art. 825 c.p.c., in omaggio all’autonomia della giustizia privata, può compiere accertamenti riferiti soltanto alla regolarità formale del lodo arbitrale, senza addentrarsi in quelle valutazioni di merito che l’art. 614-bis presuppone.
Non sposta i termini della problematica l’art. 824-bis c.p.c., il quale stabilisce che, a seguito dell’ultima sottoscrizione, il lodo possa produrre i medesimi effetti della sentenza, ma non permette agli Arbitri di pronunciarsi su domande che le parti non possono compromettere ex art. 806 c.p.c..
Qualora si aderisse a questa conclusione, si dovrebbe ritenere che, avverso il lodo che disponga la coercizione indiretta, il soccombente sarà onerato di affidare la propria impugnazione al mezzo previsto dall’art. 829, comma I, n. 4), c.p.c., avendo gli Arbitri deciso una questione non compromettibile ovvero dall’art. 829, comma I, n. 9), nell’ipotesi in cui la convenzione prevedesse (invalidamente) tale potere. A fronte della notificazione del precetto con il quale si intima il pagamento delle astreintes, in misura proporzionale alla quantità di violazioni perpetrate successivamente all’adozione del lodo arbitrale, parrebbe invece esperibile l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., nel contesto della quale la statuizione indebitamente pronunciata dagli Arbitri potrebbe essere apprezzata quale grave motivo per sospendere l’efficacia esecutiva del titolo.
Va rilevato altresì che, qualora si rivelasse fondata una soluzione di contenuto affermativo, sarebbe legittimo prospettare che il debito per ciascuna violazione del comando arbitrale maturi sin da prima della concessione dell’exequatur ex art. 825 c.p.c., richiedendo l’art. 614-bis un semplice provvedimento di condanna, non necessariamente esecutivo[61].
Da ultimo, sembra doversi escludere che la penalità pecuniaria possa essere emessa nel contesto di un giudizio di classe ex art. 140-bis del D.Lgs., potendo tale processo instaurarsi soltanto per ottenere “l’accertamento della responsabilità [dell’imprenditore, n.d.r.] e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori”[62], secondo quanto disposto dalla discutibile, ma difficilmente censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale, previsione di cui al comma II.