DANNO MORALE HA PIENA AUTONOMIA ONTOLOGICA RISPETTO AL DANNO BIOLOGICO
Cassazione, sez. III, 14 maggio 2014, n. 10524 (Imma Maione)
La Terza Sezione della Cassazione è intervenuta recentemente sul delicato tema della risarcibilità iure hereditario del danno biologico e del danno morale terminale, e con l’occasione giunge ad asserire un principio generale che si distacca nettamente dagli orientamenti espressi nel 2008 dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con le note Sentenze di San Martino, ed in virtù del quale il danno morale configurerebbe una autonoma ipotesi di danno non patrimoniale, risarcibile al verificarsi di determinati presupposti e dotato di piena autonomia ontologica rispetto al danno biologico.
Il caso di specie riguarda un’azione giudiziaria promossa dai genitori e dalla sorella di un giovane motociclista, coinvolto in un drammatico incidente stradale e deceduto ventinove giorni dopo il sinistro, a titolo di risarcimento iure ereditario dei danni, patrimoniali e non, subiti in conseguenza della perdita del loro congiunto.
In particolare, il Supremo Consesso ha stabilito una liquidazione autonoma per la voce del danno morale, da intendersi in maniera separata dal risarcimento del danno biologico e relativo al cosiddetto danno tanatologico ( o danno da morte immediata, rappresentato dal danno da perdita della vita).
A tal proposito, infatti, con un inatteso revirement, i giudici di Piazza Cavour hanno riconosciuto la risarcibilità del danno tanatologico, da liquidarsi in via equitativa e distinta, atteso che le tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale sono state pensate e realizzate per risarcire il danno biologico, ben diverso rispetto a quello da perdita della vita.
Viceversa, la Corte di Cassazione, qualche mese prima, aveva diversamente statuito che, in materia di risarcimento del danno morale, le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione all’integrità psico-fisica (danno biologico), elaborate successivamente all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, determinano il valore finale in riferimento al calcolo del danno biologico da invalidità permanente, tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di danno morale (Cass.civ.sez.III, sent.n.5243/2014).
Ad analoghe conclusioni era giunta un’altra sentenza della Corte di Cassazione (Cass.civ.sez.III, sent.n.1361/2014), secondo cui la categoria generale del danno non patrimoniale, che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio, presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d’animo o sofferenza interiore subiti dalla vittima dell’illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale ( costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato), dei quali, ove essi ricorrano cumulativamente, occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione, violato solo quando lo stesso aspetto ( o voce) venga computato due ( o più volte) sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni.
Da quanto detto si evince, pertanto, come da ultimo orientamento giurisprudenziale illustrato, che le tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica, costituiscono un valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. anche per le ulteriori voci di danno non patrimoniale, quale quello morale. Ove, peraltro, si tratti di dover risarcire anche i c.d. “aspetti relazionali” propri del danno non patrimoniale, il giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in concreto applicate tengano conto (come accade per le citate “tabelle” di Milano) pure del c.d. “danno esistenziale”, ossia dell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell’esistenza, e cioè in radicali cambiamenti di vita, dovendo in caso contrario procedere alla c.d. “personalizzazione”, riconsiderando i parametri anzidetti in ragione anche di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l’integralità del ristoro spettante al danneggiato.
Oggi il panorama giurisprudenziale è profondamente mutato in quanto gli Ermellini sono giunti ad articolare un principio, nitido ed inequivocabile, con cui si è stabilito che il danno morale configura una autonoma ipotesi di danno non patrimoniale, risarcibile al verificarsi di determinati presupposti, dotato di piena autonomia ontologica rispetto al danno biologico e non costituendo, pertanto, un accessorio dell’anzidetto danno biologico.
Oltre al dolore interiore (cd. danno morale) che può sussistere in maniera autonoma a prescindere dal danno biologico, la Corte di Cassazione fa riferimento, altresì, alla possibile alterazione della vita quotidiana, da risarcire a titolo di danno esistenziale solo se, come il danno morale, è rigorosamente provato caso per caso nel suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana.