STRUTTURA E FUNZIONE DELLA REMISSIONE. PATOLOGIA E RELATIVI EFFETTI CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA REVIVISCENZA DEL DEBITO RIMESSO ED AI LIMITI NELLA RESURREZIONE DELLE RELATIVE GARANZIE
La Capra Faustina
I modi di estinzione delle obbligazioni si distinguono in due grandi categorie e, precisamente in modi satisfatori e non satisfatori. I primi producono la soddisfazione, diretta o indiretta, dell’interesse del creditore e, pertanto, l’estinzione rappresenta una conseguenza di questa soddisfazione; i secondi, invece, producono l’estinzione del rapporto giuridico senza che il creditore ne esca soddisfatto. Nella seconda categoria rientra la remissione del debito (art 1236 cc) istituto definito implicitamente dal codice civile come la dichiarazione del creditore rivolta al debitore di liberarlo dal suo debito. La questione relativa alla natura giuridica dell’istituto appare abbastanza dibattuta in dottrina quanto in giurisprudenza. La giurisprudenza e la dottrina prevalente affermano che si tratti di un negozio unilaterale recettizio sottoposta condizione risolutiva, contrapponendosi alla tesi minoritaria che configurava l’istituto come un contratto.
In particolare si ritiene che l’opposizione assuma la funzione di condizione risolutiva dell’estinzione, in base alla dicitura dell’art 1236 c.c.. tale configurazione risulta essere più aderente alla funzione dell’istituto ed ai principi di certezza giuridica. La natura di condizione risolutiva rispetto al negozio remissorio non esclude che l’atto di opposizione, autonomamente inteso, sia un negozio unilaterale recettizio cosi come dimostra l’art 1236. L’opposizione eventualmente manifestata dal debitore inoltre si configura come un diritto potestativo. In generale i diritti potestativi si caratterizzano per l’attribuzione del soggetto che ne è titolare del potere di modificare, a soddisfacimento di un interesse proprio, la sfera giuridica dell’altro soggetto, attraverso un atto unilaterale; ne consegue che quest’ultimo nulla deve né può fare per impedire che la propria sfera subisca una modificazione ecco perché si ritiene che si trovi in una situazione di soggezione. Nel caso di opposizione alla remissione, si parla di diritto potestativo, perché l’effetto neutralizzante deriva dalla volontà del soggetto passivo che incide direttamente sulla situazione determinata dal creditore ed è manifestazione del proprio interesse ad adempiere.
In linea di massima tutti i diritti di credito possono essere oggetto di remissione purché siano in possesso dei requisiti di cui all’art 1346 c.c.; tuttavia vi sono delle situazioni particolari per le quali la legge prevede l’indisponibilità del diritto da parte del titolare come ad esempio per i crediti alimentari oppure i crediti dei lavoratori determinati da disposizioni di legge inderogabili. È discusso se l’obbligazione naturale possa formare oggetto di remissione. La tesi prevalente opta per una soluzione negativa della questione basandosi sull’inesistenza di un diritto che possa considerarsi suscettibile di disposizione da parte del creditore, di conseguenza esso non potrà neppure essere oggetto di remissione. Non va comunque trascurata quella parte di dottrina che da al problema una soluzione positiva ritenendo ammissibile la remissione in relazione alle obbligazioni naturali in quanto questa determinerebbe la liberazione da un dovere morale e sociale. Un vecchio problema riguarda la remissibilità dei debiti futuri, questione tuttavia risolta in senso positivo dalla giurisprudenza della Cassazione in quanto troverebbe applicazione la regola contenuta nell’ambito dell’art 1348 cc. Per quanto attiene la struttura dell’istituto ci sono state delle disamine tra la dottrina e la giurisprudenza.
La prima aderisce alla tesi della remissione quale negozio a struttura variabile, in relazione ai concreti interessi perseguiti dalle parti del rapporto obbligatorio; aderendo a tale corrente di pensiero dunque la remissione potrebbe avere tanto la natura di atto gratuito quanto di atto oneroso. La giurisprudenza invece fa riferimento alla teoria della neutralità causale. I soggetti coinvolti sono debitore e creditore; una diversa costruzione teorica ha affermato che il creditore, nel rimettere il debito, avvantaggia il debitore arricchendolo,in maniera tale da far rinvenire ad esso una liberalità. Il mancato perfezionamento della prestazione rappresenta un vantaggio per il debitore e può, secondo tale corrente di pensiero assumere i caratteri della donazione o di liberalità indiretta.
Tale tesi non ha avuto seguito in quanto l’istituto della remissione assume una funzione dismissiva e la disciplina codicistica pone l’accento solo sugli effetti della perdita del diritto e non al conseguente necessario arricchimento dell’asse ereditario del debitore.La remissione del debito determina la perdita del diritto di credito, nello stesso tempo, sia pure di riflesso, l’estinzione della corrispondente obbligazione. Naturalmente si scioglie l’intero rapporto giuridico ma non è esclusa la possibilità di una remissione parziale. Relativamente alle garanzie queste a seguito della remissione, si estinguono, ma la semplice rinuncia alla garanzia non comporta la remissione (art 1238). Quanto alla fideiussione l’articolo di riferimento è il 1239 cc. Si deve inoltre distinguere la remissione del debito dal pactum de non petendo perché mentre la remissione produce effetti reali il pactum, che consiste nell’impegno assunto dal creditore di non esigere dal debitore quanto dovuto per un certo periodo di tempo o a tempo indeterminato, ovvero in presenza di determinate circostanze, ha natura obbligatoria. Sussiste anche una differenza da un punto di vista strutturale in quanto in caso di remissione si concretizza una vero e propria rinuncia da parte del creditore al proprio diritto, nell’ipotesi del pactum invece si realizza una semplice rinuncia all’azione da parte del creditore. Come si è detto la remissione rientra in quei metodi di estinzione dell’obbligazione non satisfativi ma che comunque comportano l’estinzione delle obbligazione. Tuttavia ogniqualvolta un’obbligazione si estingue bisogna chiedersi se si tratti di “morte” definitiva in quanto da un punto di vista giuridico potrebbe verificarsi il fenomeno della reviviscenza.
Affinchè vi sia il fenomeno in questione è necessario che debba esserci una patologia della causa estintiva della obbligazione. Mentre in materia di novazione ritroviamo il disposto dell’articolo 1234 cc “La novazione è senza effetto, se non esisteva l’obbligazione originaria. Qualora l’obbligazione originaria derivi da un titolo annullabile la novazione è valida se il debitore ha assunto validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario” per la compensazione e la remissione manca una norma in tal senso. Con particolare riferimento alla remissione possiamo, per quanto attiene alle forme patologiche che la possono colpire, prendere in considerazione invalidità nella forma della nullità e dell’annullamento; un discorso a parte meritano la remissione inefficace e quella risolta (che presuppone l’aderire alla teoria contrattuale della remissione).
La reviviscenza dell’obbligazione implica dunque che l’obbligazione non si sia mai estinta per adempimento data la natura giuridica di quest’ultimo che si configura come un atto giuridico di senso stretto. Nel momento in cui rivive l’obbligazione originaria tuttavia si pone il problema della eventuale reviviscenza delle garanzie assunte dai terzi. La dottrina basandosi sul disposto dell’art 2881 cc secondo il quale “salvo diversa disposizione di legge,se la causa estintiva dell’obbligazione è dichiarata nulla o altrimenti non sussiste ovvero è dichiarata nulla la rinunzia fatta dal creditore all’ipoteca e l’iscrizione non è stata conservata, si può procedere a nuova iscrizione e questa prende grado dalla sua data”., ha assunto una posizione favorevole rispetto alla reviviscenza delle garanzie, ritenendo che tale norma costituisca una espressa regolamentazione del fenomeno in questione e che assurga a grado di principio generale valido non solo in materia di ipoteca ma anche in materia di garanzie reali o personali. Tale ricostruzione tuttavia va incontro a molteplici censure; innanzitutto la norma in questione si limita a prevedere la possibilità di procedere ad una nuova iscrizione ipotecaria, che prende il grado della sua data, quindi non si tratta della stessa garanzia reale che assisteva l’obbligazione originaria e dunque non si verifica nessun fenomeno di reviviscenza.
In secondo luogo l’art 2881 cc non può svolgere il compito di principio generale in tal materia perché esso è stato formulato in maniera tale da potersi adattare alla struttura e al particolare compito che l’ipoteca è chiamata a svolgere. L’opposto principio della non riviviscenza delle garanzie si desume dall’ 1213 com 2 cc “se,dopo l’accettazione del deposito o il passaggio in giudicato della sentenza che lo dichiara valido,il creditore consente che il debitore ritiri il deposito egli non può più rivolgersi contro i condebitori e i fideiussori ,né valersi dei privilegi del pegno e delle ipoteche che garantivano il credito”, in questo caso neppure le garanzie prestate dal debitore rivivono. Ulteriori riferimenti normativi che vanno in questa direzione sono l’art 1276 c.c. ed infine l’artico 1197 cc che in caso di evizione o vizi della cosa trasferita in luogo dell’adempimento, pur determinando la reviviscenza dell’obbligazione originaria esclude la reviviscenza delle garanzie dei terzi determina. Quindi il creditore rimasto sostanzialmente insoddisfatto per le vicende che vanificano l’effetto estintivo, riacquista l’originaria posizione creditoria nell’ambito del rapporto obbligatorio con il debitore, ma perde definitivamente le garanzie prestate dai terzi.
Dal combinato di queste norme la giurisprudenza ha ritenuto che nel nostro ordinamento non esistesse un principio generale di reviviscenza delle garanzie reali o personali in caso di reviviscenza dell’obbligazione principale. Nel momento in cui si registra la sopravvenuta inesistenza di una causa estintiva dell’obbligazione , il rapporto rivive inter partes; dunque in virtù della regola dell’accessorietà che caratterizza le garanzie deve ritenersi che con l’originaria obbligazione rivivono anche le garanzie che l’assistono se prestate dal debitore. L’esclusione della reviviscenza delle garanzie prestate dal terzo risponde al principio generale di certezza dei rapporti giuridici. Accolto come principio generale del nostro ordinamento, occorre vedere come questo agisce in caso di remissione patologica. Premesso che nella remissione abbiamo un effetto estintivo conseguenza della volontà abdicativa, è logico ritenere che se cade la volontà cade anche l’effetto estintivo; in caso di remissione invalida se per invalidità di intende nullità l’effetto estintivo è ex tunc, se si tratta di annullamento si avrà retroattività formale.
È chiaro in questo caso che venendo meno o non essendoci mai stato il fenomeno estintivo, l’obbligazione rivive dal momento in cui si verificata la causa dell’estinzione venuta meno. Questo dovrebbe comportare la reviviscenza delle garanzie; tale meccanismo comporta la reviviscenza delle garanzie ma solo di quelle prestate dal debitore in base alla disciplina del bilanciamento degli interessi e data come prima osservato l’inesistenza di un principio generale di reviviscenza delle garanzie dei terzi. L’ipotesi di remissione inefficace si realizza quando la condizione risolutiva, consistente nell’opposizione del terzo, si avvera. La realizzazione della condizione ha effetto retroattivo ma ciò non deve indurre a pensare che le garanzie possano rivivere in quanto il creditore ha inteso comunque disfarsene rinunciando al proprio diritto.Tale assunto viene confortato dal rilievo che, una volta dimostrato concretamente dal creditore di non avere più interesse alla realizzazione del suo diritto, è evidente come le garanzie, il cui ufficio era quello di assicurare tale realizzazione, abbiamo perduto ogni ragione di esistere. Infatti, il rapporto obbligatorio estinto riprende vigore per l’interesse del debitore all’adempimento e non per l’interesse positivo del creditore cui erano funzionalmente collegate la garanzie. In questo caso sul piano giuridico si applica, per analogia, la regola contenuta in tema di delegazione,espromissione ed accollo e, precisamente l’art.1276 cc secondo il quale “ se l’obbligazione assunta dal nuovo debitore verso il creditore è dichiarata nulla o annullata e il creditore aveva liberato il debitore originario, l’obbligazione di questo rivive, ma il creditore non può più avvalersi delle garanzie prestate dai terzi.”
Si è detto che per quanto riguarda la risoluzione della remissione è necessario fare un discorso diverso. Si può ammettere la risoluzione della remissione solo se si abbandona l’idea della remissione intesa come atto unilaterale recettizio sottoposto a condizione risolutiva e si abbraccia l’idea della remissione in quanto contratto. Si tratterebbe in particolare di un contratto estintivo la cui risoluzione farebbe rivivere il rapporto estinto con il ripristino delle preesistenti situazione creditorie e debitorie, e non comporrebbe la rinascita di nessuna delle garanzie. La questione tuttavia pone dei particolari problemi data l’efficacia ex nunc della risoluzione responsabile di creare una sorta di vuoto normativo nel periodo che intercorre tra il momento in cui è stato stipulato il contratto estintivo e il momento in cui è stato risolto.