UN DIRITTO DI ACCESSO … SEMPRE PIU’ “CIVICO”.
a cura di Flavia Zarba
“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” così recita l’art. 24 della Carta Costituzionale, indiscutibile punto di avvio in tema di diritto di accesso.
Tale caposaldo è il fulcro attorno al quale si concentra l’ampia tutela del cittadino, in un’ottica procedimentale e processuale sempre più partecipata e partecipativa, che prescinde dalla natura della propria posizione soggettiva e tende, piuttosto, al raggiungimento del “bene della vita”. È proprio in quest’ottica di effettività che si pone la complessa materia del diritto di accesso. Venendo, in particolare alla nuova nomenclatura “diritto di accesso civico” occorre, da subito, precisare che l’aggiunta di tale aggettivo dalle sfumature “democratiche” è il frutto di un articolato dibattito giurisprudenziale che ha visto il susseguirsi di innumerevoli pronunce.
La questio iuris sulla quale si è a lungo discusso concerne la qualificazione dell’accesso in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo, con le conseguenti implicazioni procedimentali. Occorre, preliminarmente, definire l’accesso come il diritto, originariamente previsto all’art. 22 della L. 241/1990, “degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”.
Una definizione volta a comprendere la ratio essendi della novella, di cui all’art.5 del dlgs n.33 del 2013, al cui approdo si è giunti al fine di garantire una quanto più efficiente ed efficace tutela delle posizioni giuridiche soggettive in gioco, uscendo dagli angusti confini preposti dall’originaria formulazione legislativa. Stando infatti alla Legge sul Procedimento Amministrativo, per legittimati all’esercizio del diritto di ostensione si intendono i “soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici e diffusi” con “un interesse concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso”, modifica apportata con la legge 15/2005, intervenuta ad ampliare l’operatività dell’originaria norma. A lungo ci si è interrogati sul significato di questa ermetica definizione partendo, in primo luogo, dal bisogno di qualificare l’accesso in termini privatistici o pubblicistici.
Un problema ormai risolto, alla luce dell’attuale formulazione che prevede “l’obbligo di pubblicare documenti, informazioni o dati” che incombe in capo alle pubbliche amministrazioni a fronte del “diritto di chiunque ne richieda i medesimi nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”. Il nuovo appiglio normativo sembra voler concentrare l’attenzione sul concreto interesse sotteso alla tutela, prescindendo dalla sua qualifica giuridica.
La norma parla a chiare lettere al secondo comma della medesima disposizione, ove il legislatore, nel prevedere “che la richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente” sembra voler ribadire il carattere strumentalmente processuale della richiesta, espressione della legittimazione ad agire in giudizio citato in apertura. È infatti proprio in termini di strumentalità che è stata risolta l’annosa diatriba sulla natura giuridica dell’accesso che ha posto sullo stesso piano posizioni procedimentali e processuali senza distinzione alcuna di soggetti pubblici e privati o di oggetti (documenti o dati).
Vi era infatti chi sosteneva che fosse fondamentale definire l’istituto in termini meramente privatistici o pubblicistici e che la tutela fosse differente a seconda del soggetto richiedente. La quaestio si concentrava preminentemente su opposte argomentazioni: chi si orientava sulla natura di diritto soggettivo faceva leva sulla formulazione letterale e chi invece propendeva per la natura pubblicistica si faceva forza sulla previsione di una “motivazione”, prevista nella pregressa formulazione.
Tali dubbi interpretativi, superati dall’Adunanza Plenaria che ha accolto l’orientamento intermedio della strumentalità della posizione giuridica (a prescindere dalla sua natura privatistica o pubblicistica) sono stati del tutto dissipati alla luce del riordino della disciplina.
Pubblicità, trasparenza a diffusione delle informazioni delle pubbliche amministrazioni quali corollari del principio costituzionale di legalità, in specie dell’art.97 della Costituzione, sembrano finalmente trovare conferma nella nuova normativa “civica”.
Il legislatore infatti ha inteso precisare che la non necessità di una motivazione è espressione dell’esigenza di una quanto più celere ed effettiva tutela dell’interesse vantato, concreto ed attuale. Tale assunto interpretativo sul significato normativo del diritto di accesso civico è utile per giungere a una, ulteriore e meno scontata, conclusione, alla luce delle novità introdotte: il carattere processuale della norma è volto a garantire la soddisfazione del cittadino leso dalla mancata ostensione di un documento a lui utile.