L’Abuso di Precariato nella Pubblica Amministrazione.
Breve monografia tra giurisprudenza e istituzioni.
· Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 23.12.2014, n° 27363
· Tribunale di Treviso, sentenza del 13 febbraio 2015
· Il Precariato nella Sanità
· Nota del Senato della Repubblica sul Precariato nella Scuola
La presente breve monografia ha ad oggetto le ultime importanti pronunce giurisprudenziali e gli sviluppi di importanti iniziative di varie Istituzioni, tra cui il Senato della Repubblica, sul tema dell’abuso del precariato nella Pubblica Amministrazione ed il vasto e contraddittorio panorama normativo in materia.
1) Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 23.12.2014, n° 27363
Con il richiamato provvedimento viene condannato l'”abuso” del precariato nella pubblica amministrazione, aderendo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, ma con “obiter dictum” che non riguardava la materia del processo.
Con la sentenza esaminata la Corte di Cassazione cita per adesione la sentenza “Carratù” e l’ordinanza “Papalia” della Corte di Giustizia Europea.
Si tratta di:
Corte giust. Ue, Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 361/2012, C. Carratù c. Poste Italiane S.p.A. (in Giur. it., 2014, n. 5, 1158);
Corte giust. Ue, Sez. VIII, 12 dicembre 2013, n. 50/2013 (ordinanza), R. Papalia c. Comune di Aosta (in Corr. giur., 2014, n. 2, 275).
La sensazione però è che la Cassazione abbia tenuto conto soprattutto della sentenza “Mascolo” (Corte giust. Ue, Sez. III, 26 novembre 2014 nelle cause riunite C-22/2013, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13, R. Mascolo ed altri c. Ministero dell’Istruzione ed altri). Il rinvio a quest’ultima è solo implicito, in quanto pubblicata dopo (Cass. 27363/2014 è stata decisa il 15 ottobre 2014 e depositata il 23 dicembre 2014, mentre la sentenza “Mascolo” è del 26 novembre 2014).
La sentenza 26 novembre 2014 della Corte Ue è quella sui precari della scuola, diventata subito famosa perché, come generalmente affermato, imporrebbe l’immissione in ruolo senza concorso specifico;
Come si è visto, con la richiamata sentenza, la Cassazione ha fatto affermazioni di rilievo sul precariato pubblico ma solo con «obiter dictum» e cioè per materia estranea al processo (OBITER DICTUM: L’espressione indica i principi di diritto, privi di specifica rilevanza per il caso deciso, enunciati incidentalmente in una sentenza. Gli obiter dicta della Corte di Cassazione possono risultare fuorvianti se inseriti nelle massime ufficiali, perché possono indurre in errore i giudici di merito: per la dottrina dominante, infatti gli obiter dicta sono privi di qualsiasi forza vincolante, e quindi è loro negata la dignità di precedente).
Il caso era quello d’una infermiera d’ospedale che negli anni ’90 era stata assunta con contratti precari vari (a termine, collaborazioni continuative e forse altro) per essere infine assunta a tempo indeterminato o, come si dice ancora, “in ruolo” tramite concorso: a questo punto, e quando ormai era stata collocata a riposo, ha chiesto il risarcimento dei danni per quei vecchi contratti di precariato. I giudici dei due primi gradi di giudizio avevano respinto la domanda, affermando che, incontestata l’illegittimità dei contratti, comunque mancava il danno. L’infermiera ha fatto ricorso per Cassazione solo per il risarcimento dei danni, perché non c’era più interesse al posto di ruolo, che infine l’interessata aveva avuto con regolare concorso ed era stata collocata a riposo.
Con la sentenza “Mascolo” 26 novembre 2014, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato per la scuola che una successione di supplenze, anche se conforme alla legge italiana, comunque contrasta con l’accordo-quadro europeo di cui alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999; inoltre, se l’immissione in ruolo per avanzamento in graduatoria è aleatoria, manca una sanzione sufficientemente effettiva e dissuasiva. Anche in presenza di esigenze particolari di flessibilità, lo Stato italiano non può esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una misura adeguata contro l’«abuso» di successione di contratti a termine; pertanto, per la scuola, la Corte giunge alla conclusione che debba o possa essere ammessa la conversione a tempo indeterminato (“in ruolo”) senza concorso specifico.
Nell’incapacità dello Stato-ordinamento di risolvere per la scuola il problema di un precariato che dura da decenni, ed anzi da sempre, alla fine di fatto la soluzione non poteva essere diversa. Giustamente, s’è applicato l’art. 117 della Costituzione, che impone i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, coordinato con l’art. 97 comma 3 Cost. che richiede il concorso pubblico per l’immissione “in ruolo”. S’è ritenuto che l’«abuso» illecito si avrebbe oltre un “tetto” massimo di contratti a termine, individuato nei trentasei mesi cumulativi ex art. 5, comma 4-bis del D. Lgs. 06.09.2001, n. 368 (inserito dall’art. 1 comma 40 lett. b) della L. 24.12.2007, n. 247.
La situazione resta però difficile ed incerta, sia perché si prospetta un numero abnorme di immissione “in ruolo”, con rischio di sovrannumero di dimensioni imprevedibili, sia perché non è chiaro come si possa giungere a questo risultato e se siano comprese anche le altre pubbliche amministrazioni o solo la scuola.
Su tutto questo, nulla si dice nella sentenza n. 27363 del 23 dicembre 2014 citata all’inizio, limitata ad un’adesione acritica alla giurisprudenza della Corte Europea e ad un rinvio solo implicito alla sentenza “Mascolo”; la Cassazione ha ripetuto però, riferendole genericamente a tutto il pubblico impiego, le parole della Corte europea sull’applicabilità del “tetto” dei trentasei mesi ex art. 5 , comma 4-bis del D. Lgs. n. 368/2001, oltre il quale scatterebbe l’immissione “in ruolo” senza concorso specifico. Come, non si sa; che siano compresi gli altri comparti, oltre la scuola, potrebbe essere logico, ma forse no.
Sul punto da ultimo risulta interessante anche una recente pronuncia:
2) Sentenza Tribunale di Treviso 13 febbraio 2015
1396125158-si-alla-stabilizzazione-dei-precari-se-il-commissario-non-impugnaEssa ha regolato il caso sorto dalla iniziativa di alcuni lavoratori di Treviso, i quali per il tramite della struttura locale e del legale territoriale, hanno avviato una vertenza avverso l’Amministrazione Scolastica lamentando l’illegittimità della reiterazione dei contratti a tempo determinato (qualcuno dei ricorrenti anche per oltre dieci, dodici contratti), stipulati e rinnovati, in successione.
I lavoratori hanno sostenuto che tutti i contratti a tempo determinato erano stati stipulati per soddisfare un fabbisogno permanente e durevole della stessa Amministrazione e che in forza dell’abuso dalla stessa reiterato avessero diritto oltre che alla conversione dei contratti a termine in contratti a tempo determinato anche ad un congruo risarcimento del danno pari alle differenze retributive tra ciò che era stato percepito negli anni e quanto dovuto qualora fossero stati legittimamente assunti a tempo indeterminato fin dall’inizio oltre alla perdita di chances.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Treviso ha riconosciuto l’illegittimità del comportamento dell’Amministrazione condannandola al risarcimento di un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Il Giudice, a ristoro del danno da abusiva reiterazione, ha stabilito un’indennità calcolata per ciascun ricorrente in base alle annualità del rapporto a tempo determinato, liquidando una mensilità per ogni anno di lavoro a tempo determinato sino ad un massimo di 12 mensilità, ridotte a 6 per i ricorrenti che nel frattempo sono stati immessi in ruolo.
Facciamo, ora, alcune considerazioni sul precariato nel comparto sanità:
3) Il Precariato nel Comparto Sanità
front5340013Il problema del precariato pubblico, presente anche del comparto sanità, che ha attivato un numero significativo di ricorsi seriali, al fine del riconoscimento della stabilizzazione del rapporto di lavoro e/o del risarcimento del danno a favore dei lavoratori non stabilizzati che hanno prestato effettivo servizio per più di 36 mesi, era stato momentaneamente risolto a favore dello Stato italiano prima con la sentenza nr. 392 del 13 gennaio 2012 della Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sul precariato pubblico in generale, poi con la sentenza nr. 10127 del 20 giugno 2012 della stessa Corte, sul precariato scolastico.
Le due sentenze certamente hanno posto ulteriori ostacoli all’agognata stabilizzazione del rapporto di lavoro, almeno in Italia, anche se le distinte fattispecie esaminate dalla Suprema Corte riguardavano contratti (un solo contratto a termine, nella sentenza nr.392/2012) stipulati prima del 1° gennaio 2008, cioè prima dell’entrata in vigore dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001 e prima del D.L. n.112/2008 (convertito in legge n.133/2008) che all’art.49 ha espressamente previsto l’applicazione a tutte le pubbliche amministrazioni, dell’intero decreto legislativo n. 368/2001.
Si ricorda che il suddetto decreto legislativo è quello di recepimento della direttiva 1999/70/CE che, ad oggi, si pone come tutela del lavoro precario nell’ambito di tutti paesi aderenti alla comunità europea, Italia compresa.
Tant’è che la stessa legge n.92 del 28 giugno, 2012, c.d. “Riforma Fornero”, nonostante i limiti anche di lettura del testo, ha statuito che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro. La suddetta riforma non modifica il periodo complessivo di rapporto a tempo determinato con il medesimo datore di lavoro che consente l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che, come detto, è di 36 mesi. La riforma aggiunge la possibilità che, a tal fine, si computi anche il periodo lavorativo prestato in missione nell’ambito dei contratti di somministrazione a tempo determinato.
E’ stata poi inserita una norma di interpretazione autentica dell’art. 32, comma 5 della L.183/2010, a proposito del risarcimento del danno subito dal lavoratore, nell’ipotesi di conversione di contratto a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La norma prevede, ora, che il risarcimento del lavoratore costituisca l’unico risarcimento spettante al lavoratore relativo al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento giudiziale di conversione del rapporto di lavoro.
Le suddette tutele di legge, però, sono rimaste sulla carta.
Nei fatti i precari italiani, allo stato, non pare abbiano alcun tipo di tutela a dire delle richiamate sentenze della Corte di Cassazione che, a tutti gli effetti, si pongono come sbarramento al diritto dei lavoratori, che abbiano superato i 36 mesi di precariato, a vedersi convertito il contratto di lavoro a termine a tempo indeterminato e/o a vedersi riconosciuto il risarcimento del danno.
Ma le menzionate sentenze “politiche” (vi è un chiaro richiamo alla gravità della situazione economica per giustificare la incredibile negazione dei diritti dei lavoratori, con generiche argomentazioni che contrastano con quanto invece, puntualmente, affermato dalla Corte dei Conti nella esaustiva relazione del 2 maggio 2012 sul costo del lavoro pubblico) sono state accompagnate, non casualmente, da un importante intervento legislativo.
Infatti, l’art. 53 del d.l. Monti, rubricato “Misure urgenti per la crescita del Paese” n. 83/2012, convertito in legge con modificazioni dalla legge n.134/2012, apportando una modifica al codice di procedura civile, rende inammissibile il ricorso in appello quando esso “non ha una ragionevole probabilità di essere accolto”.
In questo contesto si è inserita la strategia di tutela del “diritto al lavoro” portata avanti in primis da una Associazione Rappresentativa degli insegnanti e nella procedura d’infrazione alla Commissione europea anche da alcuni iscritti ad un Sindacato (febbraio 2013).
La vittoria è stata preparata giocando quindi su più tavoli:
procedura di infrazione alla Commissione europea, in materia di violazione degli obblighi imposti dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE, riguardante le tutele relative all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP, sul lavoro a tempo determinato ai fini della riqualificazione in un contratto a tempo indeterminato dei contratti a termine dopo 36 mesi di contratti a termine, a qualsiasi titolo prestati e conseguente richiesta di risarcimento del danno.La commissione europea ha qui preso posizione in favore dei precari.
il sindacato quindi si è anche costituito presso il tribunale di Napoli a supporto della vertenza aperta da una precaria.
Infine il sindacato si è schierato a difesa degli iscritti alla Consorella di Catanzaro nella causa arrivata in Corte Costituzionale che ha rimesso, per la prima volta, alla Corte di Giustizia la questione del precariato scolastico italiano e più in generale del pubblico impiego.
Nell’ordinanza di rimessione, nr. 207/2013 del 18.07.13, la Corte Costituzionale ha posto due questioni pregiudiziali alla CGUE:
1- se la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE, avente ad oggetto “Misure di prevenzione degli abusi” (ndr. dei contratti a termine) osta all’applicazione dell’articolo 4 della l. 124/99 ossia al conferimento di supplenze annuali posti che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre;
2- se le esigenze di riorganizzazione del sistema scolastico italiano costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della citata clausola 5 (ossia se la struttura organizzativa del sistema scolastico italiano possa giustificare la reiterazione dei contratti a termine senza che possa conclamarsi la violazione della direttiva sopra menzionata).
L’esito del giudizio è stato a favorevole ai lavoratori riconoscendo che la normativa nazionale, in attesa dei concorsi, non può consentire il rinnovo dei contratti a tempo determinato per la copertura dei posti vacanti e disponibili ed escludere la possibilità di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito.
Dunque, i Giudici italiani, tra cui quelli della Corte di Appello dell’Aquila che hanno riconosciuto il risarcimento del danno di quasi €. 50.000 pro/capite ad alcuni infermieri che hanno adito le vie giudiziali contro la ASL di Pescara, orienteranno i loro giudizi (anche) sulla base di quello che ha deciso la Corte di Giustizia europea di Lussemburgo sulla questione del precariato scolastico.
Stessa considerazione dovrà farsi per la valutazione che la Corte di Cassazione farà in sede di ricorso della ASL avverso quanto disposto dalla Corte di Appello dell’Aquila, con riferimento al citato risarcimento danno e al più generale problema del precariato nella sanità pubblica.
Ciò che emerge da questa sentenza, oltre al merito, sono due aspetti di non poco conto:
le norme europee prevedono che le parti sociali (i sindacati) abbiano una parte attiva nel processo di formazione delle norme sul diritto del lavoro; e in un momento in cui si vogliono bypassare le rappresentanze dei lavoratori bloccando i contratti e surrogando per legge le materie definite dalla contrattazione non è considerazione irrilevante.
Solo con la forza di una rappresentanza organizzata di lavoratori si è in grado di difendere il diritto al lavoro.
Per lo Stato e per i Giudici, i precari non avevano diritto ad alcun tipo di tutela in Italia.
Alcune sigle sindacali, quindi, hanno diffidato il Governo perché si adegui alle statuizioni della Corte di Giustizia ed alle tutele previste dalla Direttiva 1999/70/CE e si riservano di valutare tutte le iniziative possibili, giudiziarie e politiche, al fine di ricostruire uno stato di diritto anche per i precari.
Il sindacato, quindi, oggi “supplendo” alla politica ed ai partiti nonché alle stesse istituzioni, si pone quale possibile strumento “politico” strategico impegnato per il miglioramento delle condizioni di lavoro, della giustizia sociale, della solidarietà tra le generazioni, della lotta contro le esclusioni e la discriminazione sociale a difesa, in ultima analisi, dei valori fondanti di uno Stato di diritto.
Si è giunti alla conclusione di proporre ai propri iscritti per le cause in corso di:
comunicare agli avvocati che potranno chiedere l’applicazione dell’art. 5, comma 4 bis, del d.lgs. 368/01 per i precari che abbiano maturato i 36 mesi alla data del 13.05.2011 poiché fino alla citata data l’articolo in questione consentiva la stabilizzazione dei precari a norma di legge;
comunicare agli avvocati di chiedere, anche in via subordinata, la rimessione costituzionale per far dichiarare illegittime le norme che hanno abrogato il menzionato art. 5 e gli altri articoli di tutela dei precari.
Le nuove iniziative giudiziarie seguiranno le seguenti fasi:
a – In prima battuta verificare con i delegati sindacali e gli avvocati la situazione specifica di ogni singolo precario con riferimento al servizio prestato.
b – All’esito delle verifica in questione potrà essere incardinato un ricorso presso il Tribunale competente per territorio per la riqualificazione dei contratti a termine su posti vacanti e disponibili;
c – Le Sigle Sindacali presenteranno, comunque, un ricorso presso il Tribunale di Roma per risarcimento del danno per inadempimento degli obblighi comunitari del Governo italiano. Al suddetto ricorso potranno partecipare tutti i precari che vorranno prenderne parte, indipendentemente dalla loro sede di servizio e dal fatto di avere attivato il ricorso per la riqualificazione del rapporto di lavoro.
Alla fine di questo lungo excursus riportiamo la nota del Senato della Repubblica sulla Sentenza UE:
4) Precari della scuola, la nota del Senato sulla sentenza UE
senato_04Si riporta la nota del 12 dicembre 2014 del Servizio studio del Senato sulla sentenza del 26 novembre scorso, con la quale la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ritenuto che il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale, che, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali (1), il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo.
Ad avviso del servizio Studio la normativa italiana prevede un sistema per la sostituzione del personale docente e amministrativo nelle scuole statali(2) in base al quale si provvede alla copertura dei posti vacanti e disponibili entro il 31 dicembre tramite supplenze annuali «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali».
Tali supplenze sono attribuite attingendo da graduatorie in cui sono iscritti in ordine di anzianità i docenti vincitori di concorso (senza però ottenere un posto di ruolo), nonché quelli che hanno seguito corsi di abilitazione tenuti da scuole di specializzazione per l’insegnamento. I docenti che effettuano siffatte supplenze possono essere immessi in ruolo in funzione dei posti disponibili e della loro progressione in tali graduatorie. L’immissione in ruolo può anche avvenire direttamente in seguito al superamento di concorsi, tuttavia interrotti tra il 2000 e il 2011.
I ricorrenti, assunti in istituti pubblici come docenti e collaboratori amministrativi con contratti a tempo determinato stipulati in successione, hanno lavorato durante periodi differenti, ma non sono mai stati impiegati per meno di 45 mesi su un periodo di 5 anni. Sostenendo l’illegittimità di tali contratti, detti lavoratori hanno chiesto giudizialmente la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i singoli contratti e il risarcimento del danno.
La Corte costituzionale e il Tribunale di Napoli hanno adito la Corte di Giustizia dell’Unione europea per sottoporre la normativa italiana a verifica di conformità rispetto all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato(3) .
Nella sentenza in commento, la Corte europea ha anzitutto ricordato che l’accordo quadro si applica a tutti i lavoratori, senza distinzione in base alla natura pubblica o privata del datore di lavoro, nonché al settore di attività interessato. Esso si applica quindi anche ai lavoratori assunti per effettuare supplenze annuali nelle scuole pubbliche(4) .
Per prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, l’accordo quadro impone agli Stati membri di prevedere almeno una delle seguenti misure(5) : l’indicazione delle ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti ovvero la determinazione della durata massima totale dei contratti o del numero dei loro rinnovi. Peraltro, al fine di garantire la piena efficacia dell’accordo quadro, una misura sanzionatoria deve essere applicata in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato. Tale misura deve essere proporzionata, effettiva e dissuasiva.
La normativa italiana non prevede alcuna misura che limiti la durata massima totale dei contratti o il numero dei rinnovi; essa non prevede neanche misure equivalenti(6) . In tali circostanze, il rinnovo deve essere giustificato da una «ragione obiettiva», quale la particolare natura delle funzioni, le loro caratteristiche o il perseguimento di una finalità di politica sociale.
Secondo la Corte, la sostituzione temporanea di lavoratori per motivi di politica sociale (congedi per malattia, parentali, maternità o altro) costituisce una ragione obiettiva che giustifica la durata determinata del contratto; inoltre la Corte rileva che l’insegnamento è correlato a un diritto garantito dalla Costituzione, che impone allo Stato di organizzare il servizio scolastico garantendo un adeguamento costante tra numero di docenti e scolari, circostanza dipendente da fattori difficilmente prevedibili, che attestano una particolare esigenza di flessibilità, la quale può giustificare il ricorso a una successione di contratti a tempo determinato.
La Corte ammette inoltre che, qualora uno Stato membro riservi, nelle sue scuole, l’accesso ai posti permanenti al personale vincitore di concorso, tramite l’immissione in ruolo, può altresì giustificarsi che, in attesa dell’espletamento di tali concorsi, i posti siano coperti con una successione di contratti a tempo determinato.
Tuttavia ciò non è sufficiente a rendere la predetta normativa conforme all’accordo quadro, se risulta che l’applicazione concreta conduce a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Ciò si verifica quando tali contratti sono utilizzati per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali in materia di personale.
La Corte ha rilevato che, nel caso preso in esame, il termine di immissione in ruolo dei docenti nell’ambito di tale regime è variabile e incerto, dipendendo da circostanze aleatorie e imprevedibili.
Infatti, da un lato, l’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento dei docenti in graduatoria è in funzione della durata complessiva dei contratti a tempo determinato nonché dei posti nel frattempo divenuti vacanti. Dall’altro lato, non è previsto alcun termine per l’organizzazione dei concorsi: ne deriva che la normativa italiana, sebbene limiti formalmente il ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato per provvedere a supplenze annuali per posti vacanti e disponibili solo per un periodo temporaneo fino all’espletamento delle procedure concorsuali, non consente di garantire che l’applicazione concreta delle ragioni oggettive sia conforme ai requisiti dell’accordo quadro. Inoltre, le considerazioni di bilancio non costituiscono, di per sé, un obiettivo perseguito dalla politica sociale e, pertanto, non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Di conseguenza, la normativa sottoposta al vaglio della Corte non prevede alcuna misura diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. La medesima normativa esclude il risarcimento del danno subito a causa del suddetto ricorso abusivo nel settore dell’insegnamento ed è inoltre preclusa la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
Il fatto che un lavoratore che abbia effettuato supplenze non possa ottenere un contratto a tempo indeterminato se non con l’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento in graduatoria è aleatorio e non costituisce una sanzione sufficientemente effettiva e dissuasiva al fine di garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro.
La Corte sottolinea che, sebbene il settore dell’insegnamento testimoni un’esigenza particolare di flessibilità, lo Stato italiano non può esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una misura adeguata per sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Per tali motivi, la Corte è giunta alla conclusione che l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo.
Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Note:
1) Si ricorda che, nella seduta (antimeridiana) n. 58, del 4 luglio 2013, dell’Assemblea del Senato, il Governo aveva accolto, nell’ambito della discussione dell’Atto Senato n. 588 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013), l’ordine del giorno G12.100 (testo 3), contenente, tra l’altro, l’impegno «a valutare l’opportunità di definire celermente le questioni oggetto della procedura d’infrazione 2010/2124, concernente la stabilizzazione del personale scolastico». La procedura d’infrazione era stata aperta per violazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato con riferimento al personale della scuola pubblica.
2) Legge 3 maggio 1999, n. 124, Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico.
3) Accordo quadro del 18 marzo 1999 che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
4) Si vedano le seguenti sentenze della Corte: 4 luglio 2006, Adeneler e a. (causa C-212/04; si veda anche il comunicato stampa n. 54/06); 23 aprile 2009, Angelidaki e a. (cause da C-378/07 a C-380/07) e 11 aprile 2013, Della Rocca (causa C-290/12).
5) Invece l’accordo quadro non impone agli Stati membri un generale obbligo di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato (sentenza della Corte del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., causa C-362/13; si veda il comunicato stampa n. 92/14).
6) Il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 stabilisce che la disposizione secondo la quale i contratti a tempo determinato di durata superiore a 36 mesi sono trasformati in contratti a tempo indeterminato non si applica alle scuole statali.
A cura di Avv. Amilcare Mancusi
https://avvocatoamilcaremancusi.wordpress.com