UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI FERMO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il GdP di Fermo Avv. Giuseppe Fedeli ha pronunciato la seguente
SENTENZA
in seno alla causa civile iscritta al n. 1002/2012 R.G. promossa con atto di citazione ritualmente notificato
DA
………………., nella sua qualifica di legale rapp. p.t. della società ………………………, corrente a ………………, via …………………………, rappresentato e difeso dall’Avv. …….. ATTORE
Contro
Provincia di ……………….., in persona del Presidente legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. …………….
CONVENUTA
ERGA
Regione Marche, in persona del Presidente legale rappresentante p.t.
TERZA CHIAMATA IN CAUSA CONTUMACE
OBIETTO: azione di risarcimento danni da sinistro stradale
Conclusioni delle parti: ex actibus
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata, ergo meritevole di accoglimento, e va decisa nei sensi di cui infra. Assume la difesa attrice che il giorno 17.05.2012 alle ore 10,20 circa il sig. …………. ………………, alla guida dell’autovettura ………………..tg. ………………. di proprietà della società Pe………………., si trovava a transitare sulla S.p. 29 “Faleriense – Monte” – territorio comunale di Falerone, allorquando, all’uscita di una semicurva, al km 4 + 000 circa, un cinghiale di grossa taglia sbucava improvvisamente dalla scarpata destra ed attraversava il manto stradale, invadendo la corsia di pertinenza dell‘auto in parola. Ora, l’attore, malgrado la repentina manovra di emergenza, non riusciva a scongiurare l‘impatto con l‘animale, che urtava con la parte anteriore dell‘auto; in conseguenza dell’impatto, la vettura attrice subiva danni per un ammontare pari a € 4.749,75. Sul posto interveniva la Polizia provinciale di Fermo. Vocata in giudizio per il ristoro dei lamentati danni la Provincia di Fermo, a contraddittorio integro, stante l’eccezione mossa da quest’ultima di carenza di legittimazione passiva a cospetto di quella della Regione Marche, il Giudice di Pace (già dott.ssa De Lavigne) autorizzava la chiamata in causa della Regione Marche. Il quale ente rimaneva contumace. Preliminarmente, va detto che, affinché la domanda attorea possa considerarsi automaticamente estesa al chiamato in causa da parte del convenuto, senza bisogno di istanza espressa dell’attore, occorre che il convenuto chiami in causa il terzo non al fine di fare valere nei suoi confronti un rapporto di garanzia avente una causa petendi diversa da quella dedotta dall’attore; ma al fine di ottenere la propria liberazione e l’individuazione del chiamato quale unico e diretto responsabile, essendovi in tal caso un collegamento tra la posizione sostanziale dell’attore e del terzo chiamato, sicché la chiamata assolve il compito di supplire al difetto di citazione in giudizio da parte dell’attore del soggetto indicato dal convenuto come obbligato in sua vece, e l’estensione automatica della domanda originaria ha così quale indispensabile presupposto l’unicità del rapporto controverso, realizzandosi solo un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l’obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l’attore, in alternativa rispetto a quella individuata dall’attore: questo, secondo consolidata giurisprudenza degli Ermellini -Cass. 26.1.2006 n. 1522; Cass. 11.8.2004 n. 155563; Cass. 10.5.2002 n. 6771; Cass. 28.3.2003 n. 4740; Cass. 9.1.1998 n. 135). Ora, ritiene questo Giudice, ad onta dei divisamenti d segno diverso, che la Regione sia il solo ens legittimato a stare in giudizio, rectius il solo titolare del rapporto giuridico sostanziale dedotto. La novella legislativa ha infatti reso il pronunciamento della Suprema Corte (sentenza n. 80 dell’8 gennaio 2010) sostanzialmente inapplicabile al caso allo scrutinio(e a tanti casi consimili), come ratione temporis è inapplicabile a tutti gli incidenti che si siano verificati dopo l’entrata in vigore della L.R. 25/08, che ha aggiunto l’art. 34 bis alla L.R. 7/95.
L’art. 34 bis L.R. 7/95 stabilisce, infatti, che:
1. È istituito nel bilancio regionale un fondo per l’indennizzo da parte della Regione dei danni causati alla circolazione stradale dalla fauna selvatica.
2. La Giunta regionale determina la tipologia del danno indennizzabile e le modalità per le relative liquidazioni.
3. La dotazione finanziaria del fondo di cui al comma 1 è determinata annualmente con la legge finanziaria regionale.
Ne consegue evidentemente che, essendo stato istituito un “fondo per l’indennizzo da parte della Regione dei danni causati alla circolazione stradale dalla fauna selvatica” ed essendo tale fondo gestito, per l’appunto, dalla Regione Marche, legittimato passivo in ordine alle richieste di risarcimento è esclusivamente l’ente regionale. Non è un caso che la sentenza di Legittimità n. 80/2010 abbia avuto ad oggetto un danno risalente addirittura al 18 giugno 1999, e cioè ad un fatto di molto anteriore all’introduzione del ridetto art. 34 bis L.R. 7/95. Ne è prova il fatto che la Suprema Corte, nella citata sentenza, non fa mai menzione di tale presidio normativo. Del resto, poi, già l’art. 34 L. 7/95 stabiliva che:
1. Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati o a pascoli dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’esercizio dell’attività venatoria, è costituito un fondo regionale destinato alla prevenzione e ai risarcimenti.
2. I danni arrecati dalle specie selvatiche possono essere risarciti anche mediante polizze assicurative stipulate dalla Provincia o dai comitati di gestione degli ambiti territoriali di caccia.
3. Con il fondo di cui al comma 1, le province, risarciscono i danni provocati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole nelle oasi di protezione, nelle zone di ripopolamento e cattura, nelle zone di sperimentazione e nei centri pubblici di riproduzione di fauna selvatica.
3-bis. Al fondo di cui al comma 1 attingono anche gli ambiti territoriali di caccia per le finalità di cui al comma 7 dell’articolo 19.
4. Il risarcimento dei danni provocati nei centri privati di riproduzione di fauna selvatica, nelle aziende faunistico-venatorie, nelle aziende agri-turistico-venatorie e nelle zone per l’addestramento dei cani e per le gare cinofile fa carico ai rispettivi concessionari.
Proprio sulla base di quest’ultima disposizione, con sentenza n. 23095 del 16 novembre 2010, la stessa Corte di Cassazione, riallineandosi al proprio precedente -e costante- orientamento, è tornata a rimarcare che, anche alla luce del fondo costituito dalle Regioni per far fronte ai danni alle produzioni agricole ed alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo provocati dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria, “alle Regioni, quindi, compete l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose e, pertanto, nell’ipotesi di danno provocato dalla fauna selvatica ed il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, la Regione può essere chiamata a rispondere in forza della disposizione generale contenuta nell’art. 2043 cod. civ.: Cass. 1 agosto 1991, n. 8470; 13 dicembre 1999, n. 13956; 14 febbraio 2000, n. 1638; 24 settembre 2002, n. 13907”. Non solo. La vexata quaestio è stata recentemente risolta, con sentenza n. 33/11 del 3 febbraio 2011, anche dal Tribunale di Camerino, che ha respinto la domanda nei confronti della Provincia di Macerata, condannando al risarcimento la Regione Marche. Così il Giudice del Tribunale camerte: “Muovendo dal dettato costituzionale in materia di caccia risulta che alle regioni è attribuita la funzione legislativa, seppure nei limiti dei principi fondamentali posti dalla legge dello stato (art. 11 cost.). In base al successivo art. 118 spettano alle regioni, nella stessa materia, anche le funzioni amministrative, che, peraltro, se di interesse esclusivamente locale, possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle province, ai comuni o ad altri enti locali: l’ente regionale esercita normalmente tali funzioni amministrative delegandole ai detti enti locali. Il legislatore nazionale, con l’art. 1 della legge quadro nr. 968/1977, e l’art. 1 della legge nr. 157/1992, ha statuito che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, soggiungendo che le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 3, ultima legge citata), esercitando le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistica-venatoria, svolgono compiti di orientamento e di controllo, mentre alle province spettano le funzioni amministrative nel rispetto della stessa legge (art. 9). La legge della Regione Marche nr. 7 del 5.1.1995 conserva ad essa il potere generale di controllo (art. 25), quello di redigere il piano faunistico-venatorio regionale e quello di stabilire i criteri ed indirizzi per la stesura dei relativi piani provinciali e per la gestione della fauna selvatica da parte delle province (vedi gli artt. 3, 4 e 5), demandando ad esse “le funzioni amministrative di cui alla presente legge” (art. 2) ed il controllo delle specie di fauna selvatica in sovrannumero (art. 25, secondo comma). Per quanto riguarda specificamente il risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica, la legge in oggetto (L.R. 7/95) ha stabilito solo che “per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola … è costituito un fondo regionale destinato alla prevenzione e al risarcimento” (art. 34). Infine con la deliberazione di giunta nr. 2724/2000 decideva “di rispondere, a partire dal 1 gennaio 2001, dei danni arrecati alla fauna selvatica con apposita polizza assicurativa”; e con successiva deliberazione nr. 1469/2008 il provvedimento di cui sopra è stato abrogato, ma con la medesima e quella del 6.7.2009 nr. 1132 è stato istituito un fondo regionale “destinato agli indennizzi per i danni causati dalla fauna selvatica alla circolazione stradale”. Orbene, l’esame coordinato delle richiamate norme costituzionali, nazionali e regionali consente di affermare che il potere di gestione della fauna selvatica, e più in generale del territorio spetta alla Regione Marche; né la titolarità dello stesso in capo ad essa viene meno in conseguenza dell’attribuzione o della delega alla province di compiti gestionali e di controllo a carattere locale, per cui coerentemente l’ente si è assunto in vario modo l’onere del ristoro dei danni provocati da animali selvatici. Trova allora applicazione nella questione il seguente principio sancito dalla Suprema Corte: “Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992 nr. 157 … attribuisce alle regioni a statuto ordinario l’emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, co. 3) ed affida alle medesime (legge nr. 142 del 1990) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della legge nr. 142 del 1990 (art. 9, co. 1). Ne consegue che la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni provocati da animali selvatici a persone e a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme” (ex aliis Cass. Civ. nr. 1397/2002; Cass. 8953/2008). (…) Alla stregua di tale complesso normativo deve essere affermata la sola legittimazione passiva della Regione Marche, con esclusione di quella della provincia di Macerata”. Sul punto si era già peraltro recentemente espresso anche il Giudice di Pace di Macerata, osservando che “… la fauna selvatica … rientra tra il patrimonio indisponibile dello Stato ai sensi della L. 157/02, e per tale motivo rientra tra i poteri delegati alle Regioni a statuto ordinario il controllo e la tutela di detta fauna. Spetta alla regione dunque l’obbligo di risarcire i danni cagionati da detta fauna selvatica a terzi che non siano previsti da leggi speciali quali la L. 241/90, che riserva alla Provincia la sola quantificazione dell’indennizzo per i danni cagionati ai fondi agricoli e coltivati. Ne deriva pertanto che la sola Regione è tenuta a tutti quei risarcimenti verso terzi diversi dai danni alle coltivazioni, come per l’appunto la fattispecie (Cass. 16008/03 e Cass. 467/09). Né diversamente la volontà del legislatore appare dal testo della L. 7/95, allorchè all’art. 34 ha previsto espressamente l’obbligo per l’Ente Regionale della stipula di un’assicurazione per i danni arrecati alla circolazione stradale” (sentenza n. 463/2011 del 3 novembre 2011; conf. sentenza n. 464/2011 del 11 novembre 2011). Ed ancora, sulla questione si è ripronunciato il Tribunale di Camerino, in sede di appello, ribadendo che “la Regione Marche, con Delibera 1132 del 6 luglio 2009 (avente efficacia sin dal 1.1.2009), che modifica la precedente DGR del 27/10/2008, ha istituito un fondo regionale destinato a indennizzare i danni ai veicoli causati dalla fauna selvatica a seguito di incidenti stradali. In particolare, in tale delibera è previsto un indennizzo non superiore al 50% del danno subito e sono stabiliti i criteri e le modalità per ottenere l’indennizzo. Vengono indennizzati solo i danni causati dagli ungulati selvatici (quali ad esempio il cinghiale, il capriolo, il tasso) a seguito di impatto con il veicolo avvenuto sulle strade statali, regionali o comunali della Regione Marche. Pertanto, rientrando il sinistro oggetto del presente giudizio (come il nostro) nell’ambito di operatività di tale delibera, si ritiene di dover rigettare l’appello essendo la Regione Marche la destinataria dell’obbligazione risarcitoria” (Tribunale di Camerino, sentenza n. 29/12 del 1 febbraio 2012). Il titolo di responsabilità della Regione Marche, pertanto, va ricondotto alla cosiddetta “mala gestio” della fauna selvatica, per negligente vigilanza o carenza di controllo circa la presenza di specie selvatiche pericolose e troppo vicine alle località attraversate da strade pubbliche, attesa l’elevata probabilità della loro interferenza con la circolazione stradale e con conseguente pericolo per l’incolumità degli utenti. Si rinvia, peraltro, a quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione con la mentovata sentenza n. 80/10: “La responsabilità aquiliana per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc, a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che derivino da delega o concessione di altro ente (nella specie della Regione). In quest’ultimo caso, sempre che sia conferita al gestore autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni”(v. anche Cass. 16.11.2010 n. 23095; Giudice di Pace Offida sent. n. 71 del 16.12.2011). Ora, astraendo dalle misure che la Provincia abbia posto in essere per far fronte a tanto, per imputare alcunché a titolo di responsabilità a carico di quest’ultimo ente occorreva dare prova (onere addossato dell’ente regionale) che alla Provincia fosse stata conferita “autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni” (cfr. Cass. 80/2010, cit.), non esistendo-al postutto- in materia regionale norme che prevedano precise responsibilità in capo alla Provincia per i danni cd “extragricoli”, come viceversa avviene per i danni agricoli. Per quanto concerne l’an si rammenta come la Suprema Corte di Cassazione abbia più volte affermato che “il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 cod. civ., inapplicabile alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della P.A. (il fondamento di tale presunzione va, difatti, ricercato nella concreta possibilità di vigilanza e controllo del comportamento degli animali non configurabile nei confronti della selvaggina, la quale tale non sarebbe se non potesse vivere, spostarsi e riprodursi liberamente nel proprio ambiente naturale), ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 cod. civ., e tanto anche in tema di onere della prova con la conseguente necessaria individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico” (cfr. Cass. Civ., sent. 21.11.08, n. 27673, recentemente confermata da Cass. civ. Sez. III, 20.05.2010, n. 12437 e da Cass. civ. Sez. III, 04.03.2010, n. 5202). Sgombrato il campo da un’ipotetica applicabilità del presidio normativo di cui all’art. 2051 c.c. (i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell’intera collettività, costituendo un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico d’imputazione della responsabilità civile ex art. 2043 c.c.: Corte Cost. n° 4 del 2001), ne discende che è onere di parte attrice dimostrare non solo l’elemento oggettivo del danno, ma anche quello soggettivo, vale a dire la configurabilità in capo all’ente a tanto preposto del dolo ovvero della colpa: in particolare, proprio perché non è configurabile un obbligo di custodia in capo all’ente, dovrà essere fornita la prova di tutti gli elementi costitutivi, ossia la condotta colposa o dolosa, l’evento dannoso e il rapporto eziologico tra la condotta e il danno. In proposito, è noto che “sussiste la possibilità di predisporre da parte degli enti preposti in modo diretto interventi idonei a scongiurare la maggior parte dei sinistri, quali, ad esempio: l’utilizzo di sottopassaggi o sovrapassaggi (i cd. “ecodotti”); l’utilizzo di recinzioni lungo i tratti stradali sui quali è frequente questo tipo di incidenti; l’utilizzo di catarifrangenti, a riflesso direzionale, posti a bordo strada a distanza di 10-25 metri uno dall’altro (in questo caso si sfrutta il riflesso dell’immobilizzazione indotto dal fascio luminoso dei fari sull’animale: se il fascio di luce, deviato dai catarifrangenti, investe l’ungulato ai lati della carreggiata, blocca l’animale e gli impedisce di invadere improvvisamente la sede stradale). Esistono, peraltro, anche misure di prevenzione indirette, come la predisposizione di adeguata e specifica segnaletica stradale di pericolo ovvero la diffusione di campagne di educazione volte a modificare l’atteggiamento degli automobilisti al volante” (excerptum dalla sentenza del Tribunale di Vasto del 07/07/2011). Nella specie all’attuale vaglio, nondimeno, si è omesso di porre in essere quegli accorgimenti tecnici atti ad eliminare il grave e concreto pericolo di attraversamento di animali selvatici, massime non collocando idonea segnaletica di pericolo così come prescritto dal vigente codice della strada. In relazione all’ipotizzata concorrente responsabilità del sinistro del malcapitato automobilista (maxime ai sensi dell’articolo 2054/1 c.c.), questo Giudice è dell’avviso che, in esito all’istruttoria, compendiata in prove storiche/rappresentative, prove costituende e prove critiche, nessun dato è emerso a favore della corresponsabilità dell’attore (ex art. 1227/2 c.c.) nella causazione del sinistro (men che meno ex combinato disposto artt. 1227/1 c.c. e 41 cpv cp). In particolare, non risulta provato che il conducente dell’autovettura procedesse a velocità inadeguata rispetto al contesto (tanto ciò vero, che al conducente non sono state contestate infrazioni di sorta ai precetti del CdS). Viceversa, a suffragare l’assunto il teste di parte attrice ………………………, maresciallo Maggiore della Polizia Provinciale di Fermo, il quale, riportandosi integralmente al verbale redatto ed allegato al fascicolo di parte attrice, ha confermato le circostanze e la dinamica del sinistro ricostruita a posteriori in base all’analisi dello stato dei luoghi ed alle dichiarazioni del conducente il veicolo. Lo stesso agente ha confermato la circostanza secondo cui nei pressi del luogo del sinistro non erano presenti segnali di pericolo di attraversamento di animali selvatici né reti metalliche a protezione della carreggiata. Dal canto suo, il teste ……………, Maresciallo Maggiore della Polizia provinciale di Fermo ha ugualmente confermato la dinamica del sinistro, causato dall’attraversamento improvviso di un cinghiale (che restava ucciso nell’urto, e la cui carcassa veniva rinvenuta lì da presso- si veda rilevamento incidente stradale, in atti) che ha impattato con la parte anteriore del veicolo e ha confermato anche la circostanza che nei pressi del luogo del sinistro non vi sono segnali di pericolo di attraversamento di animali selvatici né reti metalliche a protezione della carreggiata. Inoltre la terza chiamata in causa (rimasta significativamente contumace) avrebbe dovuto provare, anche attraverso la delega alla Provincia, il controllo della densità della fauna selvatica, gli abbattimenti e tutte quelle attività suelencate, finalizzate e prodromiche all’eliminazione del prevedibile rischio di intralcio alla circolazione stradale e protezione degli utenti: in particolare, l’istituzione delle oasi di protezione e la loro soppressione, l’istituzione e/o la soppressione delle zone di ripopolamento e cattura, l’immissione di nuovi capi, la determinazione della superficie adeguata alle esigenze biologiche degli animali, la realizzazione delle attrezzature e degli interventi tecnici necessari a perseguire scopi di protezione e di incremento delle specie o tese ad eliminare pericoli di interferenze con le attività esterne e segnatamente con la pubblica circolazione, sì da impedire agli animali selvatici di sconfinare dall’area protetta. Il che non ha sovvertito punto il regime dell’onere della prova, valendo la conclamata (e dimostrata) omissione dell’ente a tanto preposto assolvimento –ad corroborandum- dell’onus a mente dell’art. 2697/1 c.c. Riguardo a quantum respondeatur, il danno alla vettura …………………………….è stato sufficientemente provato alla stregua delle foto allegate al fascicolo, e dalla deposizione del sig. ………………………. legale rapp. P.t. dell‘Autocarrozzeria …………………. teste di parte attrice, che ha confermato in udienza l’importo dei danni, ed il preventivo di riparazione allegato nel fascicolo di parte, precisando che la fattura definitiva ammontava ad € 5.046,20. Da ultimo, la Suprema Corte con la Sentenza n. 6907 del 08/05/2012 (seguita da altre pronunce di egual tenore) ha segnato una importante novità sul risarcimento del danno da “fermo tecnico” a seguito di sinistro stradale, affermando come sia possibile la liquidazione equitativa del danno stesso anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato. L’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore. Le spese tengono dietro alla soccombenza, e vanno rifuse dalla Regione Marche a beneficio dell’instante; di converso, si reputa di doverle compensarle tra le altre parti nei rapporti l’un l’altra (sulla scorta di quanto rileva a contrariis Corte di Cassazione Civile, sezione III, sentenza n. 24800 del 5 novembre 2013, e considerati anche i diversi orientamenti succedutesi nel tempo in subiecta materia).
P.Q.M.
Il Giudice di Pace, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, previa declaratoria della carenza di legitimatio ad processum et ad causam della Provincia di ………….., e, viceversa, della legitimatio ad processum et ad causam della Regione Marche, accertata la responsabilità della terza chiamata in causa, in accoglimento della domanda, condanna quest’ultimo ente al risarcimento del danno in favore dell’attore nella misura complessiva di € 5.000,00, al netto degli interessi legali dalla domanda al saldo. Ai sensi dell’art. 91 cpc condanna la Regione Marche a rifondere all’instante gli oneri di lite, che liquida, in ossequio ai parametri ex DM 150/14, in complessivi € 1.500,00 (di cui € 100,00 per spese borsuali), al netto del rimb. forfett. 15% e degli accessori di legge. Compensa gli oneri di giudizio tra le altre parti nei rapporti l’un l’altra.
Sic decisum in Fermo hodie 23.04.2015
Il Giudice di Pace
Avv. Giuseppe Fedeli