DIFFAMAZIONE A MEZZO INTERNET E ACCERTAMENTO DEL REATO
Nota a sentenza Cass. penale n. 34406 del 06/08/2015
Con la sentenza n. 34406, depositata il 6 agosto 2015, la V sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato, condannato in primo grado, con sentenza confermata in appello, di diffamazione (a mezzo internet) ai sensi dell’art. 595 c.p. e dell’art. 13 della Legge n. 47 del 1948, recante Disposizioni sulla stampa, nonché di trattamento illecito di dati personali ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 196 del 2003, in esecuzione del medesimo disegno criminoso ex art. 81 comma 2 c.p.
L’imputato si rendeva colpevole, secondo l’accusa, della pubblicazione sul web di due annunci, apparentemente provenienti dalla ex-moglie, con i quali quest’ultima offriva prestazioni sessuali, corredandoli altresì, senza il consenso dell’interessata, dei suoi numeri di telefono.
Le censure mosse dalla difesa con ricorso per Cassazione attenevano in primis l’omessa motivazione in ordine alla valenza probatoria degli annunci, stampati da un’amica – non ascoltata né identificata dalla polizia – della persona offesa, il primo dei quali peraltro non riscontrato su uno specifico dispositivo di rete per via della cancellazione dei dati di identificazione da parte del gestore telefonico.
In secondo luogo l’avvocato dell’imputato N. lamentava la carenza di accertamenti in ordine alle caselle e-mail associate agli indirizzi IP e ai nominativi utilizzati dall’ignoto autore degli annunci, nonché sul computer dell’imputato e sul relativo disco fisso, paventando l’ipotesi che la connessione di N., non protetta da password, fosse stata utilizzata da terzi. Aggiungeva peraltro che anche il fratello e i figli minori di N. avevano accesso allo stesso PC.
La pronuncia della Suprema Corte appare particolarmente interessante in quanto, pur non ritenendo manifestamente inammissibili i motivi proposti con ricorso, li ritiene infondati sulla base di un “lineare percorso”.
Non pone particolari perplessità la ritenuta infondatezza del secondo motivo di ricorso. La sentenza in commento non dà invero alcuna importanza alla mancanza di accertamenti sul PC dell’imputato, in quanto ciò che viene in considerazione è il collegamento alla rete internet, che “potrebbe essere effettuato con qualsiasi Personal Computer collegato alla terminazione di rete (Modem o Modem/Router) della linea telefonica fissa (…), istallata presso l’abitazione della madre” di N.
Viene altresì considerata inverosimile l’ipotesi di thiefing da parte di terzi della rete Wi-fi non protetta, posto che “nessun altro aveva interesse a diffamare la F.”, e viene ritenuta priva di logica e di aderenza al senso comune “l’affermazione che autore del reato possa essere stato il fratello dell’imputato o uno dei figli di quest’ultimo”.
Passando ad esaminare il rigetto del primo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ritiene che il secondo annuncio postato su internet sia da far “risalire, senza possibilità di equivoci, al dispositivo informatico (elaboratore o PC) – in questo caso, il PC dell’imputato collegato alla rete informatica”, mentre con riferimento al primo annuncio – come già detto non riconducibile ad uno specifico dispositivo di rete a causa della cancellazione dei dati di identificazione da parte del gestore di telefonia – si asserisce che “esso, per le caratteristiche sue proprie e per il fatto che era praticamente sovrapponibile a quello del 27 agosto 2008, non poteva che provenire dall’imputato, già all’epoca mosso dallo stesso astio verso la moglie”.
Trattasi, secondo le parole della Suprema Corte, “di un percorso che si lascia apprezzare per aderenza a regole tecniche e a quelle della logica”.
Avv. Simona Aduasio