Com’è noto, in materia di diritto del consumatore, in occasione della presentazione della cd. azione di classe ai sensi dell’art. 140 bis del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, la proposizione della domanda è sottoposta a un giudizio di ammissibilità sul quale il Tribunale si pronuncia con ordinanza reclamabile dinanzi alla Corte d’Appello.
La questione posta all’attenzione della Suprema Corte attiene alla ricorribilità in Cassazione dell’ordinanza pronunciata in tale sede dal Giudice di secondo grado.
Con ordinanza interlocutoria n. 8433 pubblicata il 24.04.2015 la Corte di Cassazione, discostandosi dalla tesi assunta in un suo precedente del 2012, ha ritenuto di dover rimettere la questione al Primo Presidente, al fine di valutare l’assegnazione alle Sezioni Unite.
Il caso affrontato era relativo alla dichiarazione di inammissibilità dell’azione collettiva proposta da alcuni consumatori e dal Codacons contro la British American Tobacco Italia – B.A.T. Italia S.p.a. A seguito di tale pronuncia da parte del Tribunale e della conferma della stessa da parte della Corte d’Appello si è posto il problema di comprendere la natura di tale ordinanza ed, in particolare, la sua attitudine ad assurgere a giudicato.
Secondo il precedente citato (Corte di Cassazione, Sez. I, Sentenza 14.06.2012, n. 9772), infatti, il giudizio di inammissibilità dell’azione di classe consisterebbe in una pronuncia di mero rito fondata su una delibazione sommaria, inidonea, da un lato, a impedire la riproposizione dell’azione risarcitoria in via ordinaria e, dall’altro, ad assumere la stabilità del giudicato sostanziale. Conseguenza di tale interpretazione è, evidentemente, l’esclusione della ricorribilità in Cassazione della stessa, salvo per ciò che riguarda la pronuncia sulle spese e sulla pubblicità.
Di contrario avviso, invece, la recente pronuncia della Terza Sezione, la quale, pervendo a un’interpretazione del tutto opposta alla precedente, afferma il carattere decisorio e definitivo dell’ordinanza di inammissibilità, con la conseguente impossibilità di riproporre l’azione collettiva a seguito di siffatta pronuncia.
Quattro, fondamentalmente, le argomentazioni poste alla base di tali conclusioni, la prima di carattere eminentemente letterale. Si rileva infatti che non vi è, nell’art. 140 bis del Codice del Consumo, alcuna previsione in ordine alla riproponibilità dell’azione collettiva a seguito dell’ordinanza di inammissibilità (e ciò, contrarimente a quanto affermato dalla Prima Sezione nel 2012), la norma si limita, infatti, a prevedere solo la riproponibilità dell’azione individuale.
Nemmeno si ritiene condivisibile l’affermazione della Prima Sezione secondo cui la tutela mediante azione collettiva consisterebbe in una “mera forma processuale di tutela dei diritti, alternativa ed equipollente rispetto all’azione individuale”, tale per cui la libera esperibilità dell’azione individuale, a seguito di dichiarazione di inamissibilità di quella collettiva, varrebbe a qualificare l’ordinanza come non decisoria.
Ed invero, secondo il Collegio, l’azione di classe sarebbe dotata di indubitabili vantaggi e peculiari caratteristiche rispetto all’azione individuale. In confronto a quest’ultima, infatti, l’azione ai sensi dell’art. 140 bis del D.Lgs. 206/2005 si connoterebbe per la maggiore pressione economica e psicologica nei confronti del professionista o del produttore e, per converso, garantirebbe a chi vi partecipa minori costi e maggior coazione ai fini dell’adempimento. Differenti sono infatti il contenuto, gli effetti e gli scopi dell’azione di classe. Solo con quest’ultima, infatti, è possibile ottenere la tutela di interessi collettivi ed assicurare una maggior forza al consumatore che, tradizionalmente considerato come “parte debole” del rapporto, riacquista senz’altro un’elevata forza se organizzato in forma collettiva. Quanto agli effetti, poi, significativo è il comma 12 della norma in esame, che esonera il debitore da diritti e incrementi sulle somme pagate entro 180 giorni dalla pubblicazione della sentenza.
Venendo al terzo argomento a sostegno della tesi in commento, il Collegio ritiene non condivisibile l’affermazione secondo cui la dichiarazione di inammissibilità dell’azione collettiva sarebbe il frutto di una delibazione sommaria: neppure il dato letterale appare propendere in tal senso.
Infine ed in egual misura, si rileva la non correttezza dell’argumentum a contrario sostenuto da Cassazione 9772/2012. Quest’ultima, infatti, dall’assunto secondo cui “non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l’adesione” (art. 140 bis, comma 14) – e quindi in esito alla deliberata ammissibilità dell’azione collettiva – fa discendere, quale conseguenza, la riproponibilità dell’azione di classe a seguito, invece, dell’ordinanza di inammissibilità.
Il Supremo Collegio conclude, pertanto, per la ricorribilità in Cassazione avverso l’ordinanza che dichiara inammissibile l’azione di classe. Soluzione questa che, sebbene meno favorevole al consumatore, pare certamente più corretta alla luce di considerazioni di carattere logico-sistematico nonché in ossequio ai principi di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e di certezza del diritto. E’ dunque auspicabile, oltre che necessario, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite chiamate, se il primo Presidente lo valuterà opportuno, a risolvere il contrasto sorto tra le Sezioni Semplici.
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