SULLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO IN ESTENSIONE: LA DIFFICOLTÀ PROBATORIA NELLA DIMOSTRAZIONE DELL’INSOLVENZA DELLA SDF
Di Luca D’Apollo
Avvocato Cassazionista del foro di Foggia, Curatore fallimentare e Commissario giudiziale
Abstract
Il presente lavoro ricostruisce l’istituto del fallimento in estensione soffermandosi sugli ultimi arresti giurisprudenziali, che invertendo il trend degli ultimi anni richiedono al soggetto istante la specifica dimostrazione dello stato di insolvenza della sdf
- Premessa: l’estensione del fallimento dal codice del commercio del 1865 al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
La legge Fallimentare, all’art. 147, commi 4 e 5 prevede l’istituto del fallimento in estensione consistente nella ripercussione del fallimento di società con soci illimitatamente responsabili anche al socio, la cui esistenza risulti in un momento successivo al primo fallimento[1].
La legge fallimentare del 1942 raccoglie le ceneri del codice del commercio del 1865 che all’art. 847, primo comma, prevedeva l’ipotesi in cui il fallimento di una società in nome collettivo o in accomandita producesse anche il fallimento dei soci responsabili senza limitazione[2].
È noto che l’evoluzione pretoria applica la norma in parola anche nell’ipotesi in cui la scoperta di un sodalizio di fatto, anche dopo l’iniziale dichiarazione di fallimento individuale o societario, sia riferibile ad un soggetto collettivo irregolare.
L’art. 147, comma 5, L. Fall., pertanto, trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l’impresa è, in realtà, riferibile a una società di fatto tra il fallito e uno o più soci occulti, ma anche, in virtù di sua interpretazione estensiva, quando il socio già fallito sia una società, anche di capitali, che partecipi, con altre società o persone fisiche, a una società di persone (cd. super società di fatto).
Oggi, alla luce del divenire degli assetti normativi, in ragione dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D. L.vo n. 14/2019), l’art. 256 CCII intitolato “Società con soci a responsabilità illimitata” riprende l’impianto originario dell’art 147 LF con alcune significative novità.
Si legge infatti nella “Relazione Illustrativa all’art. 256” che la prima novità è l’espressa previsione che, se dopo l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, la domanda di estensione della procedura di liquidazione a questi ultimi può essere proposta, oltre che dal curatore, da un creditore della società ovvero di un socio nei confronti del quale la procedura sia già stata aperta, come finora è accaduto, anche dal pubblico ministero, nonché dagli stessi soci nei cui confronti la procedura dev’essere estesa nonché dai loro creditori personali.
La seconda trova il suo fondamento nella più recente giurisprudenza ed in particolare nelle due sentenze spartiacque nell’esegesi della fattispecie in analisi: la sentenza della Corte di cassazione n. 1095 del 2016 e la sentenza della Corte costituzionale n. 255 del 2017.
Le due storiche sentenze hanno spinto il legislatore del CCII ad inserire nell’art. 256 l’espressa previsione che, in caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di una società, ove si accerti che l’impresa è, in realtà, riferibile ad una società di fatto, di cui la società in liquidazione è socio illimitatamente responsabile, il tribunale dispone l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti della società di fatto così accertata e degli altri soci illimitatamente responsabili della stessa.
La terza novità consiste nella espressa previsione che al giudizio di reclamo sono parti necessarie il curatore, il creditore, il socio ovvero il pubblico ministero che hanno proposto la domanda di estensione, nonché il creditore che ha proposto il ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, così superando le difformi interpretazioni che, al riguardo, sono state fornite dalla giurisprudenza.
- Sulla struttura e casistiche della fattispecie del fallimento in estensione
Sempre più spesso l’Ufficio di Curatela, nell’analisi degli atti e dei documenti della fallita, si imbatte in casistiche che lo spingono a valutare la possibilità di estendere il fallimento ad altri soggetti giuridici: si pensi al cd imprenditore di fatto. Si può ipotizzare che la società Alfa (fallita) amministrata dalla sig.ra Tizia, sia in realtà, “gestita” in tutto e per tutto dal sig. Caio, marito della sig.ra Tizia, formalmente estraneo alla compagine societaria, che risulta dipendente, o direttore della produzione, ma svolge tutti i compiti tipici dell’amministratore della società quali ad esempio: trattare con i fornitori, curava i rapporti con il commercialista e quelli con il consulente del lavoro, corrispondere la retribuzione ai dipendenti, coordinare i dipendenti impartendo loro direttive in merito ai compiti e mansioni da svolgere, incassare i crediti, curare le ordinazioni delle merci, curare l’incasso delle somme di danaro, stando alla cassa, o avendo apposita delega in banca.
Altra ipotesi può essere quella della cd società gemella: si pensi al fallimento Alfa srl e alla società Alfa sas aventi entrambe il medesimo nome, stesso logo, medesimo rappresentate legale (o rappresentanti legali legati da vincoli di coniugio e/o di parentela), medesimo oggetto sociale, ed esercitando l’attività sociale con i medesimi dipendenti e/o con i medesimi macchinari o strumenti di lavoro, laddove (spesso) la srl paga un canone di locazione sproporzionato (oltre i valori medi di mercati e i valori Omi di riferimento) alla sas.
Si parla ormai comunemente di società di fatto (sdf o super società o ssdf) allorquando vi sono più soggetti giuridici (imprenditore o società) aventi lo scopo di assicurare una gestione unitaria delle attività imprenditoriali – sostanzialmente collegate – ed all’interno della quale ogni soggetto o società, pur se formalmente distinti e dotati di autonoma personalità giuridica, agiscono secondo una logica imprenditoriale comune, nell’ottica di un disegno imprenditoriale unitario e di una gestione co-ordinata e comune, non solo per i risultati finali ma anche nei rapporti con i terzi.
Indici necessari per ravvisare la sdf, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, sono l’attività comune, la commistione dei patrimoni, la proprietà incrociata delle quote, la direzione comune, la comunanza di sede, la sovrapposizione degli indici distintivi (denominazione, insegna, marchio etc), la commistione di beni strumentali e personale, per i quali vi sarà specifico dettaglio nei paragrafi che seguono.
- Sui requisiti per l’estensione del fallimento
Per costante insegnamento giurisprudenziale, l’esistenza di una società di fatto trova conferma in presenza di: (i) esercizio in comune dell’attività economica, (ii) esistenza di fondi comuni (da apporti attivi patrimoniali), (iii) effettiva partecipazione ai profitti ed alle perdite.
E ciò al fine di accertare l’esistenza di un agire nell’interesse (ancorché diversificato e non però contro l’interesse) dei soci (Cass. n. 12120/2016 in motivazione).
La Corte di legittimità ha affermato che, al fine della dichiarazione di fallimento di una società di fatto, non occorre necessariamente la prova della stipulazione del contratto sociale, la cui sussistenza può invece risultare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti (affectio societatis, costituzione di un fondo comune mediante specifici apporti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, partecipazione agli utili e alle perdite), pure da manifestazioni esteriori dell’attività, quando, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino l’esistenza della società anche nei rapporti interni[3].
Una società viene definita “società di fatto” quando sorge in base ad un’intesa verbale o ad un semplice comportamento concludente, dal quale emerga inequivocabilmente la volontà delle parti di costituire un rapporto sociale.
Ai sensi dell’art. 2247 del cod. civ., oltre all’elemento soggettivo, rappresentato dalla comune intenzione dei contraenti di costituire un vincolo e di collaborare per perseguire uno scopo di lucro guidati dall’affectio societatis, ossia dalla volontà di essere soci, deve sussistere l’elemento oggettivo rappresentato dal conferimento di beni o servizi finalizzato alla formazione di un fondo comune.
A tal fine non occorre necessariamente la prova del patto sociale, ma è sufficiente la dimostrazione di un comportamento, da parte dei soci, tale da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed incolpevole che quelli agissero come soci, atteso che, nonostante l’inesistenza dell’ente, per il principio dell’apparenza del diritto, il quale tutela la buona fede dei terzi, coloro che si comportano esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse[4];
L’esistenza della super società di fatto è provata dalla ricorrenza di una serie di indici sintomatici:
- lo svolgimento da parte dei medesimi soggetti di ruoli preponderanti nell’amministrazione delle medesime società;
- la coincidenza tra le attività e l’organizzazione delle diverse società collegate;
- lo svolgimento dell’attività di impresa in locali anche parzialmente coincidenti;
- l’esistenza di ricavi derivanti soprattutto da fatturati intercompany [5].
- Compenetrazione e commistione soggettiva tra le società.
In ordine ai rapporti di commistione soggettiva tra le varie società costituenti l’unico consorzio tipico della società di fatto è sintomatica la circostanza per cui il management e/o la proprietà è spesso riferibile a componenti del medesimo nucleo familiare soggetti che contemporaneamente rivestono cariche sociali in tutte le altre società, quali rappresentanti legali e/o soci di maggioranza, di talchè il potere gestionale di tutte le società è in mano alla medesima famiglia.
L’identità di soggetti che compongono tutte le società costituenti la sdf ed il rapporto di stretta parentela che lega le persone fisiche che le compongono ed anche le amministrano, dal lato interno, genera, rafforza e cementa il comune interesse nell’impresa familiare e nel suo scopo sociale, e soprattutto, dal lato esterno, rende assai scemata agli occhi dei terzi l’imputabilità degli atti di gestione compiuti dalle persone fisiche all’una piuttosto che all’altra società facenti capo al nucleo familiare, ed ingenera l’opinione che il soggetto agisca come socio di un unico consorzio.
- Sulla sede sociale.
Altro elemento tipico della fattispecie in analisi è la comunanza della sede sociale, spesso legata ad insegne aventi il medesimo logo. Di particolare rilevanza la fattispecie in cui l’estensione viene richiesta nei confronti di una società immobiliare creata ad hoc dall’imprenditore o dall’amministratore per schermare i beni immobili della super società ai creditori.
In tale ipotesi la cd “società di comodo” è a servizio delle altre società costituenti la unica società di fatto, in quanto nella compagine societaria unitaria conferisce gli immobili che spesso vengono locati a prezzi spropositati solo alle altre società dell’unico consorzio di fatto creatosi.
Per aversi la fattispecie della società di comodo bisogna verificare se siano rispettati i requisiti del test di operatività:
- a) il canone corrisposto non è in linea con i valori OMI,
- b) il calcolo dei ricavi minimi (come indicato da Cassazione n. 2785/2021) fa presumere un’attività esclusivamente Intercompany
- Sulle garanzie e le fideiussioni tra le varie società o tra i soci e le società
L’esistenza del contratto sociale, anche ai fini della dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile ex art. 147, L. Fall., può risultare, oltre che da prove dirette, pure da manifestazioni esteriori, rivelatrici delle componenti del rapporto societario, fra le quali particolare significatività può riconoscersi ai rapporti di finanziamento e di garanzia che, se costituiti sistematicamente e con esclusione del diritto di regresso del garante, sostanzialmente si risolvono in uno strumento di apporto di capitale alla società[6].
- Sulla commistione dei patrimoni
Tra gli elementi più complessi da analizzare vi è sicuramente l’aspetto della commistione dei patrimoni e la partecipazione in comune degli utili e delle perdite tra tutte le società costituenti l’unico consorzio della super società di fatto. È compito, pertanto, del curatore o del creditore che intende chiedere l’estensione di fallimento verificare in maniera prudente le fatturazioni cosiddette intercompany e di rapporti di dare avere tra le varie società (spesso gestite in maniera domestica e senza una corretta contabilità) che permetta una ricostruzione composita sia dei rapporti contabili sia dei rapporti economici tra le varie società.
Tra le circostanze più significative vi è sicuramente l’analisi relativa agli spostamenti patrimoniali senza una giustificazione contabile ossia senza un rapporto di compensazione annuale nel dare/avere tra le varie società: da ciò è lecito ritenere che entrambe le società partecipino agli utili e alle perdite dell’unico rapporto sociale tra le stesse tessuto.
- Sull’insolvenza della società di fatto.
La giurisprudenza negli ultimi anni ha modificato radicalmente il proprio orientamento in ordine alla necessità, da parte del ricorrente, di verificare e dare allegazione e cognizione negli atti di causa dell’esistenza dello stato di insolvenza delle singole società costituenti la super società di fatto. Mentre in un primo momento l’esegesi giurisprudenziale riteneva che lo stato di insolvenza della SDF fosse desumibile dal fallimento di una delle socie di quell’unico consorzio di fatto muovendo anche da fattori indizianti (cfr. Cass., 13 giugno 2016, n. 12120), oggi invece si ritiene necessario l’accertamento dell’insolvenza di tutti i soggetti (imprenditore individuale o ente collettivo) costituenti la società di fatto (Cass., Sez. VI, 4 marzo 2021, n. 6030).
Tale ultimo addentellato dell’esegesi giurisprudenziale ha reso piuttosto complesso il meccanismo processuale dell’estensione di fallimento.
Come insegna la Cassazione “lo stato di insolvenza delle società che non siano in liquidazione va desunto non già dal rapporto tra attività e passività, bensì dall’impossibilità dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, che si traduca in una situazione d’impotenza strutturale (e non soltanto transitoria) a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento dell’attività” (da ultimo Cass., Sez. 1, 3 marzo 2022, n. 7087).
Il primo dato di analisi è costituito dai bilanci depositati presso la Camera di Commercio degli ultimi tre anni delle varie società costituenti la SDF.
La redditività operativa delle aziende socie della super società di fatto è data dal rapporto tra reddito operativo e fatturato-valore della produzione.
È noto che il bilancio fotografa una situazione pregressa (la chiusura dell’esercizio) che dovrà essere rivalutata: è necessario, pertanto, avere attenzione al margine operativo lordo calcolato come sottrazione tra ricavi ed i costi monetari operativi, quindi quei costi che prima o poi si tradurranno in uscite finanziarie, e che rappresenta anche il flusso di cassa potenziale della gestione corrente e quindi ha un significato che, da un lato, è reddituale e, dall’altro, anche di dinamica finanziaria.
L’altro parametro di riclassificazione del bilancio, dal quale emerge lo stato di crisi della società di fatto, è il reddito operativo o margine operativo netto, (EBIT) che rappresenta il flusso di reddito generato dalla gestione operativa, che, quindi, si concretizza nella gestione corrente al netto degli ammortamenti.
Può risultare significativo e vantaggioso per il soggetto istante dell’estensione di fallimento la verifica preliminare dei debiti erariali dei soggetti partecipanti alla sdf, che può essere richiesta all’agente della riscossione.
Altro punto di analisi al fine di dimostrare lo stato di insolvenza dell’SDF può essere l’estratto di ruolo del contenzioso delle esecuzioni mobiliari ed immobiliari pendenti a danno dei soggetti partecipanti al consorzio di fatto.
La circostanza della pendenza di procedure esecutive mobiliare e/o immobiliari, e l’esistenza di debiti scaduti con l’Erario, in uno con il passivo della fallita, sono chiari elementi sintomatici della non transitorietà dello stato d’insolvenza della società di fatto (Tribunale di Foggia nella parte motiva della sentenza del 13/4/2022).
- Conclusioni
Il fallimento in estensione affascina l’interprete perchè diritto vivente, inteso come diritto che vive e muta socialmente a cui l’interprete deve fornire una precisa classificazione fenomenica alla luce della stringata regola di diritto.
L’esegesi normativa, approntata nel corso del tempo, dalla giurisprudenza di merito e dalla Corte di legittimità ha piallato il dato normativo e ne ha sottolineato la differenza rispetto alla holding personale e rispetto alle ipotesi di responsabilità dell’amministratore per mala gestio nonché nelle differenze rispetto alla responsabilità della capogruppo ex art 2497 e ss. cod. civ.
Correttamente il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza all’art. 256 ha fatto proprie le risultanze di anni di evoluzione pretoria ma d’altro canto ha scelto una tecnica legislativa che permettesse alla norma di essere elastica, non imbavagliata in una fattispecie a casistiche prestabilite, e lasciata al prudente apprezzamento degli operatori del diritto.
[1] Senza pretesa di esaustività si veda F. Signorelli, Fallimento in estensione, in https://ilsocietario.it; A. Caiafa Fallimento in estensione e società di fatto tra persone fisiche e società di capitali, in https://www.nuovodirittodellesocieta.it/
[2] si veda O. Cagnasso, Il “fallimento per estensione” alla luce del Codice della crisi, in https://www.nuovodirittodellesocieta.it/,
[3] cfr. Cass. nn. 7119/1982, 6422/1984, 3398/1985, 6087/1986, 5403/1988, 2985/1994, 4187/1997, 7624/1997
[4] Cass. 11491/04; in motivazione Cass., sez. un., n. 2243/2015
[5] vedasi, da ultimo, Cass. 18.11.2010 n. 23344
[6] In tal senso si veda Cass. 28/10/2019, n.27541