LA MANCATA REALIZZAZIONE DELL’OPERA È UNA CIRCOSTANZA TALE DA ESCLUDERE L’UTILITÀ DEL PROGETTO E BLOCCARE IL PAGAMENTO AI PROGETTISTI?
Cassazione, sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26193
(Pres. Filadoro – Rel. Uccella)
Svolgimento del processo
Con sentenza 1 settembre 2006 la Corte di appello di Napoli ha riformato la decisione del locale Tribunale del 23 luglio 2002 ed ha condannato la Amministrazione provinciale di Napoli a pagare ad ognuno dei tre professionisti B.G., D.N. M. e R.F. la somma di Euro 55.000,00 per la esecuzione di un incarico di redigere un progetto esecutivo per la realizzazione dell’Istituto Tecnico Commerciale di Boscoreale.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la Amministrazione provinciale di Napoli con tre motivi. Resistono i tre originari attori con controricorso. La Provincia di Napoli ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2041, 1176 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1, prima parte, n. 3 e 5 c.p.c.) la ricorrente Provincia lamenta quanto segue.
I giudici di appello avevano ribaltato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda degli attori, senza tener conto del fatto che, nel caso di specie, l’opera progettata non era stata costruita perché il fondo sul quale la costruzione avrebbe dovuto essere effettuata (di proprietà di privati) era privo di qualsiasi collegamento con la pubblica via.
Sarebbe stato preciso onere dei tre progettisti accertare tale circostanze e riferirla immediatamente all’Ente con la diligenza professionale imposta dall’incarico affidato. Dall’attività dispiegata dai tre professionisti l’amministrazione provinciale aveva ricevuto solo danni e non valeva a confermare la correttezza della decisione impugnata la circostanza che la mancanza di accesso diretto al fondo sul quale si sarebbe dovuto erigere l’edificio scolastico fosse conseguenza diretta della mancata realizzazione di una strada di progetto di PRG da parte del Comune di Boscoreale.
Dunque, i giudici di appello avevano errato nel riconoscere la utilitas per il solo fatto che il progetto esecutivo fosse stato approvato dal consiglio provinciale ed utilizzato quale base per approntare lo schema di convenzione per l’affidamento in concessione dei lavori. L’ente, comunque, non aveva ricevuto alcun vantaggio dalla prestazione resa dai professionisti.
In ordine a questa doglianza osserva il Collegio che con sentenza n. 9141 del 2011 questa Corte ha statuito che, a fronte di una utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell’ente, ma da questi sostanzialmente assentita, il giudice può ritenere riconosciuta di fatto l’utilità dell’opera o della prestazione, conseguentemente formulando in via sostitutiva il relativo giudizio con adeguata e congrua motivazione (v. anche Cass. n. 3322/10).
Ed è quello che si rinviene, leggendo l’articolato argomentare del giudice, il quale dopo avere posto in rilievo che la normativa del 1989 non era applicabile, nella specie, perché non retroattiva, essendo la delibera dell’incarico del 22 luglio 1987, ha affermato che vi era stato almeno un riconoscimento implicito perché il progetto redatto dai professionisti fu approvato dal Consiglio provinciale, utilizzato per ottenere il finanziamento e quale base per approntare lo schema di convenzione per l’affidamento in concessione dei lavori.
Pertanto, la mancata approvazione dell’autorità di controllo e l’omessa realizzazione dell’opera non erano circostanze tali da escluderne la utilità, che può essere rappresentata dal suo utilizzo per pratiche amministrative.
In tal modo argomentando il giudice dell’appello non ha affatto sindacato la discrezionalità amministrativa, ma si è limitato ad accertare il riconoscimento implicito dell’utilità della prestazione.
Né rileva che il fondo prescelto dalla Amministrazione fosse intercluso con nessuna possibilità di accesso alla via principale, perché, come, implicitamente, sembra riconoscere la stessa Provincia – che lo afferma, invero, per confortare la sua tesi -, ben avrebbero potuto crearsi una serie di servitù nei confronti dei fondi limitrofi, trattandosi di opera pubblica, che doveva essere destinato ai fini istituzionali dell’Ente (v.p. 7 ricorso).
In altri termini, la doglianza nel suo complesso riguarda un accertamento storico in ordine ad uno degli elementi integranti la fattispecie generatrice del credito e poiché questa Corte non può esperire indagini di fatto, l’accertamento del giudice può essere censurato solo sotto il profilo del difetto di motivazione, che in questo caso, per le considerazioni di cui sopra, non si rinviene (Cass. n. 16595/08).
2. – Con il secondo motivo, la Provincia si duole che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe dichiarata tardiva e, quindi, inammissibile la eccezione consistente nella nullità della delibera di incarico, in quanto il contratto sarebbe stato privo di copertura finanziaria, perché non consentita ex art. 345 c.p.c.
Infatti, ad avviso del giudice dell’appello tale eccezione introduceva un nuovo tema di indagine che non aveva costituito oggetto di esame nel giudizio di primo grado. Al riguardo, osserva il Collegio che in thesi la censura è fondata, in quanto detta eccezione è rilevabile d’ufficio e, quindi, non poteva essere liquidata con l’argomentare, errato, del giudice dell’appello.
Tuttavia, questa eccezione, anche se esaminata ed eventualmente accolta, non incide sull’esito della controversia perché tutto il giudizio è stato impostato in riferimento all’azione residuale di cui all’art. 2041 c.c., per cui a tal fine la decisione, pur da emendare nell’affermazione di principio, è conforme al decisum.
3) – Con il terzo motivo, la ricorrente Provincia si duole del fatto che anche in caso di accoglimento dell’azione ex art. 2041 c.c., ai tre attori avrebbe dovuto essere riconosciuto solo una parte di quanto richiesto, vale a dire una indennità pari alla utilità ricevuta in conseguenza dell’arricchimento nei ristretti limiti di questo. La doglianza va disattesa.
Premesso che gli originari attori hanno convenuto la Provincia per sentirla condannare al pagamento in loro favore di lire 103.364.000, pari ad Euro 53.630 oltre rivalutazione ed interessi legali sulla base della parcella non contestata del 25 settembre 1987, il giudice dell’appello ha avuto presente come parametro di riferimento le tariffe professionali e i criteri di liquidazione e, secondo un calcolo matematico, ha liquidato l’indennizzo, ovvero non ha applicato in via diretta la tariffa professionale, che come è noto è solo parametro di valutazione, come lo è stato nella specie (Cass. n. 21292/07). Conclusivamente il ricorso va respinto, ma, dato l’alterno esito delle fasi di merito, sussistono giusti motivi per la compensazione integrale tra le parti delle spesse del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.