NO ALLA CLASS ACTION PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO SE LA STRADA È BLOCCATA DALLA NEVE
Corte di Appello di Firenze, sez. II Civile, 14 dicembre 2011
1. Nel tutelare “i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile” la norma [n.d.r.: art. 140 bis Codice del Consumo] ha inteso riferirsi ai diritti derivanti da rapporti contrattuali propriamente intesi.
2. Nel caso di specie, non esiste alcun rapporto contrattuale fra la parte attrice e la convenuta e, a ben vedere, l’esistenza di un rapporto contrattuale non appare configurabile in assoluto, atteso che la prestazione del servizio di cui si tratta dietro pagamento di una tariffa da parte dell’utente non si fonda su una scelta negoziale delle parti interessate, ma deriva direttamente dalla legge.
3. Il generale riferimento ai diritti di natura contrattuale contenuto nella norma consente di annoverare nell’ambito dell’azione collettiva ogni tipo di contratto, quali che siano le modalità con cui esso sia stato concluso, ma non di estendere la tutela a fattispecie generatrici di diritti ed obblighi per le parti che non dipendano dalla scelta negoziale delle parti medesime.
4. Nella fattispecie in esame l’obbligo di pagamento della tariffa di Igiene ambientale per gli utenti del servizio di raccolta e smaltimenti dei rifiuto, così come l’espletamento del servizio medesimo, deriva discende sulla legge (D.lgs. 152/2006, art. 238) e non dalla scelta volontaria degli utenti di usufruire del suddetto servizio versando un corrispettivo per la prestazione ricevuta.
Corte di Appello di Firenze, sez. II Civile, 14 dicembre 2011
(Pres. Occhipinti – Rel. Dinisi)
In fatto
O. De Z. ha citato in giudizio davanti al Tribunale di Firenze la S.p.A. Q. Servizi Ambientali Area Fiorentina (di seguito Q. S.p.A.) ai sensi dell’art. 140 bis del Codice del Consumo chiedendo che, accertata la responsabilità della convenuta nei confronti dell’attrice e dei cittadini consumatori tenuti al pagamento della T.I.A., per inadempimento dell’obbligazione di provvedere al servizio di trattamento antighiaccio e sgombero della neve e a quello di raccolta dei rifiuti in occasione della nevicata verificatasi a Firenze il 17.12.2010, fosse condannata al pagamento, a titolo di risarcimento del danno e/o di restituzione a favore dell’attrice e di ogni aderente, della somma ritenuta di giustizia e di ragione, anche ai sensi dell’art. 1226 c.c.
Si è costituita Q. S.p.A. chiedendo che l’azione fosse dichiarata inammissibile o che la domanda fosse comunque rigettata in quanto infondata.
Il Tribunale, con ordinanza del 30.5/15.7.2011, emessa ai sensi del sesto comma dell’art. 140 bis del Codice del Consumo, ha dichiarato inammissibile la domanda compensando le spese.
Il primo giudice, esaminando i vari profili di inammissibilità dell’azione previsti dalla legge, ha in primo luogo affermato che la domanda fosse manifestamente infondata limitatamente alla richiesta di contenuto restitutorio e a quella avente ad oggetto il risarcimento del danno patrimoniale, ritenendola invece assistita da un serio principio di prova, tale da escluderne la manifesta infondatezza, con riferimento all’esistenza di un danno non patrimoniale per la lesione del diritto alla libertà di movimento subito dai cittadini. Ciò posto, è tuttavia pervenuto alla declaratoria di inammissibilità della domanda ritenendo non configurabile alcuna delle tre fattispecie in presenza delle quali la tutela è ammessa ai sensi del comma 2 dell’art. 140 bis del Codice di Consumo. Ha rilevato, in particolare, che, nel caso in esame, non si verte nell’ipotesi sub a) della disposizione appena citata (diritti contrattuali) perché gli utenti del servizio ne beneficiano a seguito di un rapporto che intercorre esclusivamente tra l’erogatore del servizio e il Comune di Firenze; non si verte nell’ipotesi prevista dalla lettera b) (“diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale”) perché, alla stregua della definizione di prodotto e produttore data dall’art. 115 del Codice del Consumo, tra i prodotti non possono essere annoverati i servizi e tra i produttori i soggetti che li erogano agli utenti; non ricorre l’ipotesi di cui alla lettera c) che prende in considerazione la lesione di diritti derivanti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali, non ravvisabili nel caso di specie.
Contro tale provvedimento ha proposto reclamo davanti a questa Corte, ai sensi dell’art. 140 bis, comma 7, Codice del Consumo, O. De Z. censurando la decisione sotto tre distinti profili: a) nella parte in cui non ha ritenuto configurabile un rapporto contrattuale fra le parti; b) nella parte in cui ha ritenuto non configurabile l’ipotesi di cui al comma 2, lett. b) dell’art. 140 bis Codice del Consumo per non essere i servizi e i soggetti erogatori annoverabili nella nozione di prodotto e produttore considerati dalla norma; c) nella parte in cui ha ritenuto manifestamente infondata la richiesta risarcitoria relativa ai danni patrimoniali subiti e subendi dagli utenti di Q. S.p.A.- Ha chiesto dichiararsi l’ammissibilità dell’azione con adozione dei provvedimenti conseguenti.
Si è costituita Q. S.p.A. che ha resistito al reclamo chiedendo la conferma del provvedimento impugnato e riproponendo le ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate in primo grado e non accolte.
La proposizione del reclamo è stata comunicata al Pubblico Ministero che non è intervenuto.
All’udienza del 6.12.2011, in esito alla discussione, la Corte si è riservata di decidere.
In diritto
Ritiene la Corte che il reclamo non possa trovare accoglimento.
Col primo motivo di censura la reclamante si duole che il Tribunale abbia escluso la configurabilità di un diritto di natura contrattuale (ipotesi sub a) del secondo comma dell’art. 140 bis Codice del Consumo), sostenendo che l’esistenza del rapporto contrattuale andrebbe invece affermata in virtù del pagamento della tariffa da parte degli utenti a Q. S.p.A., della riconducibilità del rapporto contrattuale all’ipotesi del “contatto sociale” e di una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata dell’art. 140 bis del Codice di Consumo.
Ritiene al riguardo la Corte che, nel tutelare “i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile” la norma abbia inteso riferirsi ai diritti derivanti da rapporti contrattuali propriamente intesi. Nel caso di specie, come osservato dal Tribunale, non esiste alcun rapporto contrattuale fra la parte attrice e la convenuta Q. S.p.A. e, a ben vedere, l’esistenza di un rapporto contrattuale non appare configurabile in assoluto, atteso che la prestazione del servizio di cui si tratta dietro pagamento di una tariffa da parte dell’utente non si fonda su una scelta negoziale delle parti interessate, ma deriva direttamente dalla legge.
Il generale riferimento ai diritti di natura contrattuale contenuto nella norma consente di annoverare nell’ambito dell’azione collettiva ogni tipo di contratto, quali che siano le modalità con cui esso sia stato concluso, ma non di estendere la tutela a fattispecie generatrici di diritti ed obblighi per le parti che non dipendano dalla scelta negoziale delle parti medesime.
Nella fattispecie in esame l’obbligo di pagamento della tariffa di Igiene ambientale per gli utenti del servizio di raccolta e smaltimenti dei rifiuto, così come l’espletamento del servizio medesimo, deriva discende sulla legge (D.lgs. 152/2006, art. 238) e non dalla scelta volontaria degli utenti di usufruire del suddetto servizio versando un corrispettivo per la prestazione ricevuta.
La natura contrattuale del rapporto è pertanto da escludere.
Le conclusioni non mutano facendo ricorso alla teoria del “c.d. contatto sociale” richiamata dalla reclamante.
Per un verso, infatti, la diretta riconducibilità della prestazione del servizio e dell’obbligo di pagamento della tariffa ad una fonte normativa impedisce di attribuire al contatto sociale fra fornitore e utente valore di comportamento concludente sintomatico della volontà di concludere un contratto.
Per altro verso l’affermazione, ricorrente in giurisprudenza, della natura contrattuale della responsabilità derivante dal c.d. “contatto sociale” non implica il riconoscimento della costituzione del rapporto in base ad un atto qualificabile come contratto – ribadendosi anzi, nelle ipotesi considerate, il fondamento sostanzialmente normativo e non negoziale della responsabilità -, ma mira piuttosto a qualificare il “tipo” di responsabilità che ne consegue (per differenziarla da quella aquiliana) e il regime normativo ad essa applicabile che, venendo in considerazione l’inadempimento di una pregressa obbligazione (ancorché di origine legale e non negoziale), è quello proprio della responsabilità “contrattuale”.
Né può ritenersi che il contenimento della tutela nell’ambito dei soli rapporti contrattuali in senso stretto, secondo l’interpretazione fatta propria dall’ordinanza reclamata e qui ribadita, presterebbe il fianco a dubbi di legittimità costituzionale della norma, per la decisiva ragione che l’azione di cui si tratta introduce una modalità di tutela dei diritti del consumatore che non sostituisce, ma si aggiunge a quelli già riconosciuti dall’ordinamento sia a livello individuale che collettivo (v., a tale ultimo riguardo, il d.lgs.20.12.2009, n. 198 di attuazione dell’ art. 4 della l. 4.3.2009, n. 15 in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici), sicché non può fondatamente affermarsi che tale interpretazione si traduca in una compromissione di diritti fondamentali e dei mezzi di tutela, tanto da porsi in contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 Cost., come prospettato dalla reclamante.
Col secondo motivo di censura la reclamante si duole della ritenuta esclusione della riconducibilità della domanda alla fattispecie di cui al secondo comma lett. b) dell’art. 140 bis del Codice di Consumo, sostenendo che il primo giudice abbia erroneamente preso in considerazione la definizione di prodotto e produttore riferita alla fattispecie di responsabilità per prodotto difettoso contenuta nell’art. 115 (collocato in un titolo e in una parte diversa del Codice di Consumo rispetto a quella in cui trova collocazione l’art. 140 bis), anziché fare riferimento alla disposizione generale contenuta nell’art. 3 dello stesso Codice che definisce le figure di prodotto e produttore in termini più ampi, tanto da ricomprendere fra i prodotti non solo i beni ma anche i servizi e fra i produttori non solo il fabbricante del bene ma anche il fornitore del servizio.
Ritiene la Corte che anche questa censura sia infondata.
La formulazione della norma, nella parte in cui richiama “i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale”, mostra inequivocabilmente di riferirsi alla responsabilità per danno da prodotti difettosi contemplata dagli artt. 114-127 del Codice di Consumo. Per delineare la figura del prodotto e del produttore occorre pertanto far riferimento alla definizione dettata dall’art. 115 del Codice di Consumo e, come correttamente rilevato dal primo giudice, tale norma espressamente individua come prodotti i soli beni mobili (anche se incorporati in altro bene mobile o immobile) e l’elettricità, escludendo i servizi.-
L’infondatezza delle censure sopra esaminate assume rilievo assorbente ai fini del rigetto del reclamo – risultando la tutela azionata riferita a fattispecie non riconducibile a quelle previste dal comma 2 dell’art. 140 bis del Codice di Consumo – a prescindere dalla fondatezza della terza censura in punto di configurabilità del danno patrimoniale mossa dalla reclamante e dalla fondatezza delle ulteriori eccezioni di inammissibilità riproposte dalla società reclamata, il cui esame può essere perciò omesso.
Le ragioni addotte dal primo giudice nel provvedimento impugnato giustificano la disposta compensazione per il primo grado, che deve essere quindi confermata. Le spese del reclamo vanno invece regolate facendo applicazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c. e poste conseguentemente a carico della parte soccombente. Esse sono liquidate d’ufficio come in dispositivo, in mancanza della prescritta notula.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il reclamo e conferma il provvedimento impugnato. Condanna la reclamante O. De Z. a rifondare alla S.p.A. Q. Servizi Ambientali Area Fiorentina le spese di questo procedimento che liquida in complessivi € 3.800,00 (di cui € 800,00 per diritti e € 3.000,00 per onorari), oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CAP come per legge.