PERMESSO DI COSTRUIRE CON VARIANTE GIÀ APPROVATA: LEGITTIMA LA DISCREZIONALITÀ, NON IL SEQUESTRO
Cassazione, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 4724
In terna di riesame di misura cautelare reale, la verifica del Tribunale non può certamente tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, ma deve investire solo la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato. Ciò però non significa, ovviamente, che sia sufficiente, ai fini dell’individuazione del fumus commissi delicti, la mera “postulazione” da parte del pubblico ministero dell’esistenza del reato perché il giudice del riesame, nella sua pronuncia, deve comunque rappresentare, in modo puntuale e coerente, le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare, nella motivazione del suo provvedimento, la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro condotta al suo esame
Cassazione, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 4724
(Pres. Marzano – Rel. Piccialli)
Ritenuto in fatto
Il Procuratore della Repubblica di Perugia propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame della stessa città, giudicando in sede di rinvio dopo l’annullamento della primigenia ordinanza dell’istanza di riesame – che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo di un’area e delle opere edilizi, in corso di realizzazione sulla stessa emesso dal GIP del Tribunale di Spoleto – ad opera della sentenza della Sezione III di questa Corte, resa all’udienza del 24 febbraio 2011, ha accolto i ricorsi proposti da A. F. e O. Q., nella qualità rispettivamente di Amministratore unico della (…) s.r. ed amministratore unico della O. Costruzioni s.r.l., avverso il citato decreto di sequestro preventivo, disponendo la restituzione degli immobili agli aventi diritto.
Il sequestro riguardava le opere di costruzione di un edificio pluripiano adibito ad abitazione e negozi e di un parcheggio sotterraneo in Spoleto.
Secondo l’assunto accusatorio gli interventi edilizi in corso di realizzazione dovevano ritenersi abusivi in quanto proposti e realizzati in violazione citata normativa ivi indicata.
La Corte di cassazione, con la richiamata decisione, annullava con rinvio la primigenia ordinanza di rigetto del riesame ciel decreto di sequestro preventivo proposto dagli interessati, rilevando che il giudice de libertate non avrebbe adempiuto l’onere motivazionale, essendosi limitato, a riportare le conclusioni della consulenza tecnica fatta espletare dal PM, posta a fondamento dell’accusa e del fumus commissi delicti, rinviando al giudice di merito le analitiche censure svolte in punto eli diritto dagli interessati.
La S.C. annullava, pertanto, l’ordinanza con rinvio per nuovo esame diretto a verificare l’esistenza del fumus del reato di cui all’art. 44 d.p.r. n. 380/2001, sul quale era stata fondata la misura cautelare, affermando che il giudice del rinvio avrebbe dovuto tener conto nella valutazione delle risultanze della consulenza tecnica fatta espletare dal PM delle deduzioni difensive degli istanti per il riesame, con particolare riferimento alla valutazione della legittimità dei provvedimenti emessi dalla pubblica amministrazione in relazione alle norme richiamate o a quelle generali, vigenti in materia di edilizia e urbanistica.
Il Tribunale ha motivato l’accoglimento del riesame partendo proprio dalla consulenza del PM, della quale non ha condiviso le conclusioni, alla luce delle deduzioni difensive, che secondo il giudicante, avevano ricostruito esattamente l’iter amministrativo, individuando le corrette fonti normative. Premesso che il permesso di costruire n. 46231 era stato rilasciato alla (…) in data 8.11.2008 in vigenza della variante al PRG approvata il 17 ottobre 2008, che aveva recepito le modifiche ad opera del piano attuativo di iniziativa mista pubblica privata di cui alla delibera n. 148 del 18.9.2006, il giudicante ha affermato la non applicabilità alla fattispecie dell’art. 14 DPR 3B0/2001 che disciplina il permesso a costruire in deroga agli strumenti urbanistici e delle prescrizioni in esso contenute (ovvero che il realizzando intervento in deroga deve essere relativo ad un edificio pubblico o di interesse pubblico; la deroga ai limiti di densità edilizia non deve comportare il superamento dei parametri individuati dagli artt. 7, 8 e 9 del DM 1444/68 attuativo della cd. legge Ponte 765/67). È stato altresì affermato che: la cessione di volumetria è pacificamente ritenuta legittima dalla giurisprudenza e che nella specie è stato rispettato anche il requisito di omogeneità tra le zone; la volumetria, oggetto di concessione (mc 13.451) è rispondente all’indice di zona B2 non B3, come si legge nella CTU, in conformità alla variante approvata nel 2006.
In conclusione il Tribunale ha affermato che rientrano nella discrezionalità amministrativa le scelte nell’ambito dell’assetto urbanistico e che sono suscettibili di esame sotto il profilo della illegittimità amministrativa degli atti, onde, ad un primo esame, non si riscontrano difformità rispetto alla normativa urbanistica edilizia che possono costituire illecito penale.
Il ricorrente Procuratore, con due motivi, strettamente connessi, lamenta la violazione dell’art. 14 DPR 380/2001 e dell’art. 7 del D.M. 1444/68 attuativo della cd. legge Ponte 765/67.
Sotto il primo profilo, dopo aver evidenziato alcune imprecisioni del provvedimento con riferimento alle critiche svolte nei confronti della consulenza tecnica del PM, evidenzia che l’intervento in corso di realizzazione deve considerarsi abusivo in quanto realizzato, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, in violazione dell’art. 14 DPR 380/2001.
Sul punto si sostiene che il permesso di costruire era stato rilasciato alla (…) in data 6.8.2008 ( e non 1’8.112008) quando non era stata apportata alcuna modifica al PRG allora vigente, intervenuta soltanto nell’ottobre del 2008.
Ciò premesso, l’intervento edilizio doveva essere considerato “in deroga” con conseguente applicazione del citato art. 14 che prevede due condizioni nella specie insussistenti: che il realizzando intervento in deroga sia relativo ad un edificio pubblico o di interesse pubblico; che la deroga ai limiti di densità edilizia, altezza degli edifici e distanza tra i fabbricati non comporti in ogni caso il superamento dei parametri individuati dagli artt. 7, 8, 9 del richiamato DM 1444/68.
Sotto tale secondo profilo, il ricorrente, premesso che gli artt. 7 e segg. del D.M. 1444/68, recante i limiti di densità edilizia, hanno efficacia di legge dello Stato in quanto emanati su delega dell’art. 41 quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, lamenta l’erroneità della decisione, laddove afferma che l’intervento realizzato sia conforme alle prescrizioni di cui al citato art. 7, tenuto conto della variante urbanistica e della cessione di cubatura.
Quanto alla variante, si rileva ancora una volta che la stessa era intervenuta solo dopo il rilascio del permesso a costruire, onde la piena vincolatività delle previsioni di cui all’art. 14 del DPR 380/2001 nella parte in cui richiama il rispetto dei limiti di densità.
Quanto alla cessione di cubatura, che secondo il Tribunale legittimerebbe una volumetria pari a mc. 13,000 – a fronte di una volumetria consentita nella prospettazione dell’accusa di soli mc. 5.913 – il ricorrente osserva che tale operazione non trova alcun fondamento normativo, atteso che tanto la legge statale quanto la legge regionale in materia non contemplano tale possibilità prevedendo esclusivamente l’istituto della cessione da privato al pubblico non viceversa, come nel caso in esame. Difetterebbe, in ogni caso, uno dei presupposti per la configurabilità della cessione ossia l’omogeneità della zona territoriale e risultano, comunque superati i limiti volumetrici consentiti dal richiamato D.M..
È stata depositata memoria difensiva nell’interesse di A. F. e O. Q. con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso del PM contestando analiticamente le argomentazioni del PM..
Quanto al primo motivo, afferente la ritenuta violazione dell’art. 14 DPR 380/2001, si sostiene l’inapplicabilità al caso in esame della norma citata, come affermato nell’ordinanza impugnata, poiché l’intervento edilizio in contestazione è stato autorizzato dopo la modifica del P.R.G. ad opera del piano attuativo di iniziativa mista pubblico-privata di cui alla delibera di approvazione del consiglio comunale n. 148/2006. Ne conse9ue che esattamente il tribunale del riesame aveva richiamato l’art. 22 della L. R. Umbria n. 11/2005 che contempla appunto i piani attuativi di iniziativa mista pubblica-privata. Si sostiene che solo per mero errore materiale l’ordinanza impugnata aveva indicato come data del rilascio del permesso quella dell’8 novembre anziché quella del 6 agosto 2.008 e che in ogni caso, anche tenuto conto della data erroneamente indicata, le conclusioni in ordine alla piena legittimità dell’intervento edilizio non sarebbe stata diversa: alla data de/l ‘8 novembre 200B sussisteva infatti non solo la conformità dell’intervento al piano attuativo approvato n’el 2006 ed in variante al PRG Parte Operativa, il cui iter si era concluso con la relativa approvazione intervenuta il 17 ottobre 2.008, con il conseguente recepimento del piano attuativo e la destinazione dei due comparti UMI1 e UMI2 a zona B2, con un indice paria 5mc/mq e non già a zona B3 con un incide di 3 mc/mq come erroneamente indicato dai consulenti.
Quanto al II motivo di ricorso, con riferimento alla ritenuta violazione dell’art. 7 DM 1444/68, si sostiene che il ricorrente non aveva tenuto conto cella sopra citata delibera comunale n. 148/2006 che recepiva il piano attuativo che sarebbe stato approvato il 17 ottobre 2008, con !a conseguente destinazione della intera area interessata a zona B2 (zona residenziale di completamento di tipo intensivo con indice di 5 ma/mq, con volume di progetto pari a 30.550 mc ed un indice di intervento pari a 3,59 mc/mq, inferiore all’indice di 5 mc/mq.
Sempre con riferimento al secondo motivo di ricorso in relazione alla intervenuta cessione di cubature di 3.320 mc dal Comune al soggetto privato (…) s.r.l., si sostiene l’erroneità al richiamo effettuato dai consulenti all’art. 30 L. R. n. 11/2005, che riguarda le cd. compensazioni, cioè la cessione da parte del Comune di volumetrie ai privati prevista per fronteggiare le scarse risorse economiche dei Comuni, ipotesi estranea a quella in esame in cui vi è stato un negozio di cessione di volumetria da parte del Comune di Spoleto a fronte della corrispondente somma di denaro da parte della ditta proprietaria dell’area adiacente su cui avrebbe dovuto, essere realizzata detta volumetria. Si sottolinea che detta cessione era avvenuta con il parere favorevole del Segretario Generale del Comune, espresso previa acquisizione della perizia di, stima redatta dall’Agenzia del territorio in ordine alla congruità della somma offerta. Si afferma che nella specie era stata altresì rispettata la condizione posta dalla giurisprudenza che la cessione della cubatura debba avvenire tra zone omogenee, visto che entrambe le aree coinvolte avevano entrambe in base alla variante di cui al piano attuativo approvato bel 2006 destinazione B2.
A dimostrazione del larghissimo uso fatto dell’istituto della cessione di cubatura si evidenzia che il legislatore con il D.L. n. 70 del 2001, convertito in, L. 106/2001, all’art. 5, ha espressamente previsto la tipizzazione del nuovo schema contrattuale della cessione di cubatura diffuso nella prassi.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Vale nel caso in esame, il principio pacifico che circoscrive le doglianze ordinariamente devolvibili in sede di legittimità, in forza del quale, in coerente lettura del disposto del codice di rito, si afferma che, in materia di misure cautelari reali, il ricorso per cassazione ex articolo 325 c.p.p. può essere proposto soltanto per violazione di legge: in tale nozione rientrano anche la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto correlate alla inosservanza di precise norme processuali, ma non vi rientra l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi, nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui alla lettera e) dell’articolo 606 c.p.p. (Sezione V, 16 giugno 2006, Silletti). In altri termini, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sezioni unite, 29 maggio 2008, Ivanov; Sezione III, 22 ottobre 2010, Barbagallo).
E va altresì ricordato che in terna di riesame di misura cautelare reale, la verifica del Tribunale non può certamente tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, ma deve investire solo la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato. Ciò però non significa, ovviamente, che sia sufficiente, ai fini dell’individuazione del fumus commissi delicti, la mera “postulazione” da parte del pubblico ministero dell’esistenza del reato perché il giudice del riesame, nella sua pronuncia, deve comunque rappresentare, in modo puntuale e coerente, le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare, nella motivazione del suo provvedimento, la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro condotta al suo esame (cfr. Sezione VI, 8 maggio 2006, Desiato ed altro).
Ebbene, alla luce dei rilevati limiti, il ricorso non può trovare accoglimento, ponendosi la decisione in linea con i principi affermati dalla Corte nel primigenio annullamento, avendo proceduto il giudice della cautela alla rinnovata valutazione [in fatto] della vicenda [e dei parametri di interesse] alla luce delle deduzioni difensive articolate dagli interessati con riferimento alla legittimità dei provvedimenti emessi dalla P.A., in questa vicenda, come sollecitato dalla Corte di cassazione.
Il Tribunale ha affrontato i punti rispetto ai quali era stata evidenziata la necessità di una più approfondita valutazione ed in ossequio alle indicazioni della sentenza di annullamento, ha proceduto alla rinnovata valutazione nel quadro giuridico e fattuale.
In questa prospettiva il giudicante ha evidenziato, quanto alla ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti, che non era applicabile al caso in esame, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’art. 14 DPR 380/2001 – che disciplina il permesso a costruire in deroga agli strumenti urbanistici – in quanto l’intervento edilizio in contestazione era stato autorizzato dopo la modifica del P. R.G. ad opera del piano attuativo di iniziativa mista pubblico-privata, previsto dalla normativa regionale (art.. 22 della L. R. Umbria n. 11/2005), la cui approvazione definitiva risaliva al 18.9. 2006, che aveva modificato l’assetto urbanistico della zona; b) il suddetto piano attuativo misto, conforme alla legislazione statale e regionale, era espressione di discrezionalità amministrativa circa il governo del territorio non sindacabile in sede penale; c) la parte operativa del PRG (con recepimento del piano attuativo), era stata approvata il 17 ottobre 2008 e la variante al piano regolatore non risultava impugnata dagli interessati.
Il Tribunale ha, altresì escluso, semplice con riferimento al fumus commissi delicti, la violazione dell’art. 7 DM 1444/68 rilevando che: a) il CTU non aveva tenuto cento della variante urbanistica e della cessione di cubatura, rispondente all’indice di zona B2, in conformità alla variante di cui al piano attuativo approvato nel 2006 destinazione B2; b) nella specie era stata rispettata la condizione posta dalla giurisprudenza che la cessione della cubatura debba avvenire tra zone omogenee, visto che entrambe le aree coinvolte avevano destinazione B2.
Orbene, l’ordinanza gravata non può che andare esente da censure in questa sede giacché nel valutare le prospettazioni difensive ha escluso correttamente e logicamente la sussistenza del fumus commissi delicti, ritenendo, alla luce degli elementi rappresentati, l’insussistenza dei presupposti legittimanti il sequestro.
L’ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ovviamente ai giudici di merito ma, allo stato, i prospettati elementi di segno positivo, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, valgono ad escludere la configurabilità del fumus del reato ipotizzato dal ricorrente.
Del resto non va dimenticato che, in tema di misure cautelari reali, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte (prima) del tribunale del riesame e (poi) della Corte di legittimità, non può tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito, concernente la responsabilità del soggetto indagato, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto: ciò in quanto, in tema di misure cautelari reali,. è preclusa ogni valutazione riguardo agli indizi di colpevolezza, alla gravità degli stessi ed alla colpevolezza dell’indagato, risultando inapplicabile il disposto dell’articolo 273 cod. proc. pen., relativo all’applicabilità delle misure cautelari personali. Da ciò conseguendo, in altri termini, che al giudice della cautela reale è preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell’indagato (cfr. Sezioni unite, 27 marzo 1992, Midolini; Sezioni unite, 25 marzo 1993, Gifun; Sezioni unite, 2.3 febbraio 2000, Mariano; più di recente, Sezione II, 13 maggio 2008, Sarica; Sezione VI, 5 maggio 2009, Mirabella ed altri).
P.Q.M.
Rigetta Il ricorso.