ECCESSO NELL’ARBITRARIETÀ DEL PUBBLICO UFFICIALE: REAZIONE DEL PRIVATO LEGITTIMA?
Cassazione, sez. VI Penale, 15 febbraio 2012, n. 5913
La distorsione dell’esercizio dell’autorità da parte del pubblico ufficiale, suscettibile di integrare l’arbitrarietà che rende legittima la reazione del privato, dando ingresso all’esimente già prevista dall’art. 4 D.Lgt. 288/1944 (oggi definita causa di non punibilità dalla innovatrice disposizione di cui all’art. 393 bis c.p.), non richiede né che il pubblico ufficiale agisca con il proposito di commettere un arbitrio, né che questo non possa essere preceduto da un atteggiamento anche provocatorio del privato, che di per sé solo non vale ad elidere l’adeguatezza causale della reazione rispetto alla condotta arbitraria (non legittima) del pubblico ufficiale pur con solo riferimento alle modalità di realizzazione di un atto del suo pubblico ufficio
Cassazione, sez. VI Penale, 15 febbraio 2012, n. 5913
(Pres. De Roberto – Rel. Paoloni)
Motivi della decisione
1. Con conformi sentenze del Tribunale di Catania in data 22.10.2009 (appellata dalla parte civile S..Z. e dal Procuratore Generale di Catania) e della Corte di Appello di Catania in data 17.2.2011 l’imputato M..A. è stato prosciolto dai reati di resistenza e lesioni volontarie aggravate commessi il 7.11.2003 nei confronti dell’ispettore della polizia municipale Z.S. , intervenuto per identificarlo dopo l’esecuzione da parte dell’A. di una manovra autoveicolare vietata (indebita inversione di marcia ad U). Proscioglimento deliberato per insussistenza dei fatti reato sul presupposto della legittima reazione dell’imputato, ai sensi dell’art. 4 D.Lgt. 14.9.1944 n. 288, alla arbitrarietà dell’intervento d’istituto del pubblico ufficiale con specifico riguardo anche alle modalità esecutive dell’arresto e “ammanettamento” del prevenuto da parte dello Z. e dei suoi colleghi sopraggiunti in suo ausilio. Modalità di intervento ed arresto produttive di lesioni personali per lo stesso A. , posto immediatamente in libertà dal procedente p.m. a norma dell’art. 389 co. 1 c.p.p. (l’arresto è stato in seguito convalidato dal g.i.p. con l’imputato in stato di libertà). In particolare la sentenza di appello, respingendo le impugnazioni del P.G. e della parte civile, ha motivato la decisione confermativa dell’assoluzione dell’imputato – nel perdurante contrasto delle difformi versioni dei due protagonisti, non surrogabili con altre fonti testimoniali (i colleghi dello Z. sono giunti sul luogo quando l’episodio è esaurito e l’ispettore Z. , con l’aiuto di un passante rimasto ignoto, sta già ponendo le manette all’imputato) – in base al rilievo che gli elementi di prova generica suffragano le anomalie esecutive dell’arresto dell’imputato alla luce delle lesioni dallo stesso riportate e del pacifico dato che costui non ha tentato di fuggire. Sicché “le modalità di ammanettamento dell’imputato devono ritenersi arbitrarie” e tali da far ravvisare l’esimente di cui all’art. 4 D.Lgt. 288/1944, che sussiste anche quando l’arresto sia legittimo, ma sia eseguito con forme e modi di estrinsecazione dell’attività funzionale del pubblico ufficiale ingiustificati rispetto al fine da raggiungere.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica di Catania ai sensi dell’art. 572 co. 1 c.p.p., nell’interesse della richiedente parte civile, deducendo illogicità e contraddittorietà della motivazione in rapporto all’erronea applicazione della causa di giustificazione prevista dall’art. 4 D.Lgt. 288/1944, i cui presupposti non sono configurabili alla stregua di una più esaustiva ricostruzione della dinamica dell’intera vicenda.
Osserva il ricorrente P.G. che nel comportamento aggressivo o reattivo tenuto dall’imputato difetta il requisito dell’adeguatezza causale, che sola potrebbe giustificare la ravvisabilità della menzionata esimente. Il procedimento instaurato nei confronti dello Z. su denuncia dell’attuale imputato è stato archiviato in ragione del fatto che per arrestare “un soggetto riottoso” è inevitabile che il pubblico ufficiale adoperi un minimo di energia fisica necessario per l’adempimento del doveroso atto di ufficio. L’evenienza, unitamente all’avvenuta convalida dell’eseguito arresto, rende le percosse che l’A. attribuisce all’ispettore Z. prive del “necessario connotato dell’antigiuridicità”, tanto più che la condotta di resistenza dell’imputato deve ritenersi esaurita prima del suo arresto e non può integrare una “reazione” legittima alla presunta condotta arbitraria del pubblico ufficiale.
3. Il ricorso del Procuratore Generale etneo, formato dalla mera traslitterazione dalla richiesta impugnatoria di parte civile ex art. 572 co. 1 c.p.p., è sorretto da motivi infondati, ove non interdetti nel giudizio di legittimità, nella parte in cui gli addotti vizi di motivazione della sentenza impugnata scaturiscono da una rilettura unicamente fattuale delle fonti di prova non consentita nell’odierno giudizio. Precisato per sola completezza che – come si evince dalla sentenza del Tribunale – lo stesso p.m. aveva sollecitato nel giudizio di primo grado l’assoluzione dell’A. con ampia formula liberatoria dagli ascritti reati, l’infondatezza del ricorso del V.G. emerge per tabulas sotto due interdipendenti profili, uno di natura processuale e l’altro di natura sostanziale.
3.1. Sotto il primo profilo va rilevato che i reati contestati all’imputato A. sono allo stato attinti da causa estintiva per sopravvenuta prescrizione. I reati risalgono al 7.11.2003 ed il relativo termine massimo di prescrizione è maturato, tenuto conto delle sospensioni ex lege (complessivi 5 mesi e 17 giorni) alla data, successiva alla impugnata decisione di appello, del 24.10.2011. L’evenienza produce immediati effetti, di carattere pregiudiziale, sulla trattazione del ricorso. Nel senso che l’intervenuta causa estintiva dei reati preclude la verifica degli eventuali vizi di motivazione della sentenza, quali vanno esclusivamente ritenuti quelli dedotti dal ricorrente P.G. contro l’assoluzione dell’imputato. Il ricorrente lamenta -infatti- una impropria ricostruzione storica e valutativa del contegno dell’imputato e, per ciò, un vizio della motivazione della sentenza, che solo in via derivata assume tradursi in violazione di legge per erronea applicazione dell’esimente di cui all’art. 4 D.Lgt. n. 288/1944. Preclusione indotta, come è evidente, dalla palese incongruenza di un annullamento con rinvio della sentenza impugnata (tale essendo in sede di legittimità l’esito tipico di una rilevata carenza di motivazione della decisione impugnata), che non potrebbe avere altro sviluppo se non l’immediata e cogente declaratoria, ex art. 129 co. 1 c.p.p., della causa estintiva prescrizionale da parte del giudice di eventuale rinvio (Cass. S.U. 28.5.2009 n. 35490, Marino, rv. 244275).
3.2. Sotto il secondo profilo, ove -in ipotesi- si tralasci la precedente notazione pregiudiziale, anche ponendo l’accento sul sottostante interesse risarcitorio della parte civile, nell’interesse della quale il P.G. ha impugnato (agli effetti penali) la sentenza assolutoria di appello, è agevole osservare che il denunciato vizio della motivazione, tralasciati i profili di mero segno fattuale del ricorso, non sussiste.
Le critiche di contraddittorietà e di discrasia interpretativa degli eventi mosse alla sentenza di appello (alle due conformi sentenze di merito, che quella di appello condivide e fa propri gli argomenti decisori articolati dalla prima decisione) non colgono nel segno. La sentenza di secondo grado ha disatteso con adeguata e logica motivazione, aderente alle emergenze istruttorie del giudizio, le ragioni di censura già sollevate con la precedente impugnazione del p.m. (e della parte civile) avverso la sentenza di primo grado ed oggi, in buona sostanza, riproposte con il ricorso per cassazione. Né l’attuale giudizio di legittimità può essere, del resto, la sede per rivisitare la sequenza degli eventi connessi alla regiudicanda che hanno dato luogo alle lesioni oggettivamente riportate nella fase dell’arresto dall’imputato A. . Lesioni che, senza ripercorrere qui le singole sequenze dell’avvenuto arresto (la cui successiva convalida non equivale a giustificarne anche le reali modalità esecutive, sebbene non priva di significato si mostri l’immediata liberazione dell’arrestato disposta dallo stesso p.m.), pur ridimensionate nella loro entità, rimangono – come precisa la sentenza di appello – non pienamente compatibili con un arresto eseguito con “normali” modalità.
Al riguardo del tutto pertinenti vanno giudicati i richiami della sentenza di appello alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui la distorsione dell’esercizio dell’autorità da parte del pubblico ufficiale, suscettibile di integrare l’arbitrarietà che rende legittima la reazione del privato, dando ingresso all’esimente già prevista dall’art. 4 D.Lgt. 288/1944 (oggi definita causa di non punibilità dalla innovatrice disposizione di cui all’art. 393 bis c.p.), non richiede né che il pubblico ufficiale agisca con il proposito di commettere un arbitrio, né che questo non possa essere preceduto da un atteggiamento anche provocatorio del privato, che di per sé solo non vale ad elidere l’adeguatezza causale della reazione rispetto alla condotta arbitraria (non legittima) del pubblico ufficiale pur con solo riferimento alle modalità di realizzazione di un atto del suo pubblico ufficio (cfr, ex multis: Cass. Sez. 6, 26 91995 n 11419, Saetti, rv. 204115; Cass. Sez. 6, 21.6.2006 n. 36009, Tonione, rv. 235430).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.